Avvocati extra districtum e (asserito) obbligo di notifica a mezzo PEC

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Com’è noto, gli avvocati possono esercitare la professione anche al di fuori della circoscrizione del tribunale presso cui ha sede l’Ordine professionale che custodisce l’albo in cui sono iscritti ((Art. 2, co. 3, L. n. 247/2012, già art. 4 RDL n. 1578/1933.)), ma, qualora esercitino extra districtum, devono eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso; in mancanza, il loro domicilio si intende eletto presso la Cancelleria (art. 82 RD n. 37/1934), con la conseguenza che ivi possono (e non già devono ((Cass. nn. 9225/2005, 12064/1995.))) essergli fatte tutte le comunicazioni e notificazioni di causa ((Tale norma è stata ritenuta costituzionalmente legittima dalla Consulta con pronuncia n. 5/2007.)).

Com’è altrettanto noto, il novellato codice di procedura civile prevede ora che l’avvocato debba dichiarare in giudizio la propria PEC (art. 125 cpc), alla quale possono farsi le comunicazioni e notificazioni di causa (art. 149 bis cpc).

Alla luce di tale quadro normativo, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 10143/2012 (cui hanno poi aderito –acriticamente– Cassazione sentenza n. 26696 del 28 novembre 2013, Cassazione, sentenza 7 maggio 2014 n. 9876, nonché la Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 687/2014), ha affermato che “l’art. 82 RD n. 37/1934, tuttora vigente e non abrogato neppure per implicito, si applica solo se il difensore non abbia indicato la propria PEC ex art. 125 cpc”.
In altri termini, secondo la Corte, se l’avvocato extra districtum ha indicato la PEC, allora tutte le comunicazioni e notificazioni di causa devono essergli fatte a quell’indirizzo e non in Cancelleria.

Tale principio di diritto, seppur ispirato da intenzioni condivisibili, è ovviamente infondato, ove lo si intenda applicare non solo alle Cancellerie ma anche agli avvocati per le notifiche da effettuarsi tra loro (ad es., opposizione a decreto ingiuntivo, notifica della sentenza ai fini del decorso del termine breve, ecc.).
Anzitutto, l’art. 149 bis cpc stabilisce una mera facoltà e non un obbligo di notifica a mezzo PEC, quindi è arbitrario ed antiletterale estendere a tale norma l’obbligo -del tutto diverso- di indicare la PEC nei propri atti ex art. art. 125 cpc. Insomma, in difetto di una norma di legge che imponga un siffatto obbligo, ma anzi con una norma -l’art. 149 bis cpc- che espressamente lo esclude, il principio affermato dalla citata “giurisprudenza creativa” non appare condivisibile.
In secondo luogo, non tutti gli avvocati hanno l’abilitazione alle notifiche in proprio a mezzo PEC ((Di fronte al problema creato da tale giurisprudenza, nel corso dell’evento “I Fori fanno Rete” del 24/5/2014, organizzato da CNF e Cassa Forense, si è ritenuto opportuno suggerire, quantomeno, che tutti gli avvocati siano abilitati ex lege alle notifiche in proprio, cioè senza bisogno di essere previamente autorizzati dal COA di appartenenza.)), per le quali è prevista una speciale autorizzazione da parte del COA di appartenenza, la quale non è rilasciabile né in tempi brevi né a tutti (non possono ottenerla, ad esempio, gli avvocati sotto procedimento disciplinare o già sanzionati con la sospensione seppur già scontata). Se così è -ed è così senz’altro- l’obbligo di notifica a mezzo PEC “creato” dalla citata Cassazione renderebbe impossibile proporre, ad esempio, opposizione ad un decreto ingiuntivo entro i termini, perché insufficienti ad ottenere l’autorizzazione alle notifica via PEC (sempreché l’avvocato dell’opponente possa oggettivamente ottenerla). Né, del resto, sarebbe possibile ovviare a tale inconveniente notificando a mezzo PEC tramite Ufficiali Giudiziari, i quali non sono ancora pronti ed attrezzati a notificare a mezzo PEC (e hanno limiti di competenza territoriale, quindi l’avvocato dell’opponente non può scegliersi gli ufficiali giudiziari che in Italia fossero già pronti a tale notifica).

In buona sostanza, la notifica a mezzo PEC è e rimane una forma facoltativa di notifica (art. 149 bis cpc), e non può certo diventare obbligatoria, peraltro ad insindacabile giudizio dell’avvocato di controparte che, agendo extra districtum, (appositamente) non elegga domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria. Infatti, come si è affermato con buon senso, “La normativa in tema di processo civile telematico non ha abrogato la figura del domiciliatario, né ha stabilito l’esclusività delle notificazioni e comunicazioni al difensore dotato di indirizzo PEC se anche il domiciliatario ne sia dotato, e ciò a prescindere da quale PEC sia indicata negli atti di parte, stante la possibilità per la Cancelleria di accedere al REGINDE” ((Tribunale di Modena (pres. e rel. Rovatti A.), decreto del 19 settembre 2013)).

Auspico pertanto che la citata Cassazione (non trovi ulteriore seguito e) riveda al più presto il suddetto principio di diritto, nel contempo evitando, per quanto possibile, di introdurre obblighi non previsti dalla legge, pur comprendendo nella specie il suo “disagio nel continuare a fare applicazione di una norma processuale datata perché risalente negli anni”, norma alla quale tuttavia -se vige ancora il principio della separazione dei poteri- la magistratura stessa è comunque, suo malgrado, sottoposta (art. 102 Cost.).