Premesse generali sul PCT

Print Friendly, PDF & Email

Secondo la Legge ((Art. 16-bis decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221), introdotto dall’art. 1, co. 19, Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge di stabilità 2013).)), il 30 giugno 2014 entra in vigore l’obbligo del deposito telematico degli atti processuali (c.d. PCT a binario unico), salvo eventuali anticipazioni concesse a singoli uffici giudiziari particolarmente informatizzati.

L’obbligo in parola riguarda i procedimenti esecutivi e civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, ivi compresi i giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, innanzi al tribunale.
Il predetto obbligo non riguarda pertanto:
– gli uffici dei GdP, le Corti d’Appello e la Cassazione ((Per tali uffici giudiziari, l’obbligatorietà consegue a specifici decreti ministeriali, previa verifica caso per caso delle funzionalità informatiche degli uffici stessi: art. 16 bis, co. 6, DL 179/2012.));
– le procedure concorsuali (l’obbligo vige solo per gli organi della procedura; l’istanza di ammissione al passivo tramite PEC è fuori dal PCT) ((Art. 16 bis, co. 3, DL 179/2012 cit.)).

Oltre ai CTU, sono tenuti ad osservare l’obbligo in parola,”i difensori delle parti precedentemente costituite”, i quali depositano anche gli atti dei propri CTP (che pertanto non depositano in proprio).
Sono pertanto esclusi dalla suddetta previsione i magistrati, i quali hanno infatti esclusivamente l’obbligo di depositare telematicamente i propri provvedimenti solo nell’ambito delle procedure monitorie (art. 633 cpc e ss.) ((Art. 16 bis, co. 4, DL 179/2012.)), quindi -in difetto di un tale obbligo espressamente previsto anche per loro in via generale così come per le parti processuali- i giudici potranno continuare a depositare sentenze cartacee (e provvedimenti interlocutori in genere, ad es. ordinanze e decreti) anche con riferimento a procedimenti civili telematici.
L’obbligo de quo vige invece per le cancellerie, giacché le comunicazioni di cui all’art. 136 cpc devono effettuarsi esclusivamente per via telematica ((Art. 16, co. 4, DL 179/2012 cit.)).

L’inciso testuale di cui sopra (ovvero “delle parti precedentemente costituite”) ingenera qualche dubbio interpretativo, giacché non è chiaro se gli atti con cui le parti si costituiscono (citazione, comparsa di risposta), ancorché esclusi espressamente dall’obbligo del deposito telematico, possano ciononostante essere facoltativamente depositati in via telematica: la soluzione affermativa, che personalmente condivido, è applicata in diversi tribunali della Repubblica (ad es., Verbania). D’altra parte, diversamente ragionando, cioè ritenendo che dall’assenza dell’obbligo di deposito telematico discenda il divieto del deposito stesso, si incorrerebbe nella c.d. “falsa reciprocità”, e in particolare nella fallacia della negazione dell’antecedente, la quale è la degenerazione del modus tollens, e ha la seguente   struttura inferenziale: “Se P, allora Q; non è P; ergo non è Q” (in tale fallacia incappano frequentemente gli schizofrenici, i quali tendono appunto a trattare tutti i termini relazionali come sempre simmetrici) ((Per un approfondimento, rinvio al mio Tecniche argomentative dell’avvocato.)) ((Oltre alla fallacia logica di cui nel testo, l’assenza di un obbligo è spesso intesa come presenza di un divieto a causa di una vera e propria anfibologia: infatti, la frase “Tizio NON DEVE fare la tal cosa” può significare sia che NON HA L’OBBLIGO di farla, sia che gli è VIETATO farla. Tale equivoco, che non è solo lessicale ma anche concettuale, è più frequente di quanto si creda, specie nell’ambito della pubblica amministrazione, dove la burocrazia miete vittime ogni giorno. Si pensi al ragionevole principio, ispirato al dettato costituzionale del c.d. “buon andamento” (art. 97 Cost.), in forza del quale il cittadino non dovrebbe avere l’OBBLIGO di produrre alla PA i certificati anagrafici, ecc. (che la PA stessa può infatti autonomamente reperire). Ecco, la ragionevole assenza di quell’OBBLIGO è stata normativamente tradotta con la presenza di un DIVIETO: “il cittadino NON DEVE produrre alla PA i certificati anagrafici, ecc.” (art. 40 DPR 445/2000). Le conseguenze di tale stravolgimento della ratio ispiratrice del citato principio, che intendeva appunto agevolare i cittadini esonerandoli da un obbligo inutile ed ha finito invece per danneggiarli stabilendo un corrispondente divieto, sono state che, ad esempio, nei procedimenti di separazione e divorzio le cancellerie non accettavano gli estratti autentici dell’atto di matrimonio, che le parti dovevano quindi autocertificare (ignorando però i dati tecnici dell’atto, come la Serie e la Parte, con conseguente difficoltà di trascrivere poi nei registri stessi i provvedimenti di separazione e divorzio, privi di quei necessari riferimenti, ovviamente ignoti alle parti autocertificanti). Fortunatamente, molte Cancellerie hanno deciso di applicare il motto del Guicciardini, secondo cui in Italia esistono molte leggi draconiane, temperate da una generale inosservanza.)).

Tale tesi, come peraltro recentemente segnalato dal collega Sileni ((30 giugno 2014 – Obbligo di deposito digitale.)), è espressamente confermata dallo stesso Ministero, il quale infatti rilascia autorizzazioni al deposito telematico anche di (facoltativi) atti introduttivi, come ad esempio gli atti di citazione, le comparse di costituzione e quelle di intervento, i ricorsi ex art. 317 bis cc, ecc.
In definitiva, non v’è quindi dubbio che il deposito telematico degli atti introduttivi, seppur non obbligatorio, sia comunque facoltativo e non vietato.
A quest’ultimo proposito, come acutamente rilevato ((Cfr. Reale.)), tale facoltà concessa alle parti svolge l’importantissima funzione di sollevare la Cancelleria dall’obbligo di digitalizzare gli atti ed i documenti depositati in formato non elettronico ((Art. 9, co. 1, e art. 14 DM n. 44/2011 nonché art. 11, co. 1, Specifiche Tecniche.)), il che richiederebbe una quantità di risorse umane e di tempo da parte delle Cancellerie stesse che finirebbe per vanificare, in un colpo solo, tutti i vantaggi del PCT proprio in termini di risparmio di tempo e personale.

Appurato ciò, occorre tuttavia rispondere ad un quesito fondamentale ((La questione di cui a breve nel testo è stata posta dal collega Reale, componente della FIIF del CNF e massimo esperto di PCT.)), ovvero se l’abilitazione al deposito (facoltativo) di tali atti introduttivi richieda o meno una qualche specifica ed espressa autorizzazione regolamentare, giacché “L’attivazione della trasmissione dei documenti informatici da parte dei soggetti abilitati esterni è preceduta da un decreto dirigenziale che accerta l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio” ((Art. 35 DM 44/2011.)).

Il problema diventerà a breve di grande attualità, ma dare una risposta certa ed univoca al quesito non è semplice.
Possiamo tuttavia tentare la seguente ipotesi interpretativa.
Poiché la citata norma regolamentare non distingue tra atti telematici facoltativi ed obbligatori, l’autorizzazione in parola deve anzitutto ritenersi necessaria per entrambi, quantomeno fino al 30 giugno 2014. In difetto, l’atto stesso dovrebbe ritenersi affetto da un vizio processuale, astrattamente configurabile come inesistenza ovvero come invalidità o mera irritualità (solo questi, e non altri, sono i possibili vizi processuali di un atto giudiziario).

Il quesito cui l’interprete dovrà sempre più frequentemente rispondere sarà appunto il seguente:
“l’atto depositato in forma non consentita (ad es., in pdf immagine anziché testuale, oppure in formato telematico anziché cartaceo, ma anche viceversa) è affetto da inesistenza, invalidità o mera irritualità?”.
A me pare che, in tutti gli accennati casi, debba parlarsi di mera irritualità o tutt’al più di invalidità, e mai di inesistenza (la quale ultima soltanto mi pare legittimi la pronuncia di inammissibilità) ((Tribunale di Foggia, decisione del 10.4.2014.)).
Infatti, secondo l’art. 20 del CAD (d.lgs. 82 del 2005), “Il documento informatico da chiunque formato, la registrazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici conformi alle regole tecniche di cui all’articolo 71 sono validi e rilevanti agli effetti di legge” ((Sull’applicabilità dell’art. 20 CAD cit. al processo, cfr. Tribunale di Milano (Consolandi), sentenza del 14 gennaio 2010.)).
Sul termine “validi” mi pare che ci sia poco da discutere: è una nullità, quindi -nella specie- sanabile per raggiungimento dello scopo (art. 156 cpc), fatta comunque salva la rinnovazione dell’atto nullo stesso (art. 162 cpc).
Sull’espressione “rilevanti agli effetti di legge”, invece, ho meno certezze: tutto è rilevante agli effetti di legge, perfino la nullità.
A meno che, appunto, la “irrilevanza agli effetti di legge” non si interpreti nel senso di “atto inesistente”.
Allo stato dell’arte, in defintiva, mi pare che il rigetto per inammissibilità dell’atto non conforme alle regole del PCT presupponga quindi che l’atto stesso sia (giuridicamente) inesistente e non meramente nullo o irrituale, del che personalmente dubito assai.
Ritengo pertanto illegittimo il rigetto per inammissibilità tanto dell’atto in pdf immagine anziché testuale, così come dell’atto telematico anziché cartaceo e, perfino, dell’atto cartaceo anziché telematico.

Inoltre, ove l’ufficio giudiziario abbia ottenuto l’autorizzazione dirigenziale di cui sopra ma limitatamente al deposito telematico di specifici atti nominativamente individuati (siano essi introduttivi -cioè facoltativi- ovvero successivi a quelli -cioè obbligatori), deve ritenersi che il deposito stesso sia effettuabile in via telematica solo nei limiti dell’autorizzazione medesima, la quale peraltro non pare violare la gerarchia delle fonti in quanto espressamente richiamata dalla legge, che appunto rinvia al “rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici” ((Art. 16 bis DL. n. 179/2012.)). Ciò è tanto più vero ove si consideri che, con specifico riferimento agli atti introduttivi, la norma regolamentare che ne escludesse l’autorizzazione al deposito non violerebbe alcun obbligo di Legge, che appunto manca trattandosi come detto di deposito “facoltativo”.

In definitiva, anche gli atti introduttivi, al pari di quelli successivi, possono essere depositati telematicamente, purché in presenza di una autorizzazione dirigenziale, specifica (secondo la prassi attualmente vigente, che indica esattamente quali atti è possibile depositare tramite PCT), ovvero -come sarebbe preferibile- generale ed omnicomprensiva, che valga cioè indistintamente per tutti gli atti del processo, dalla citazione all’istanza ex art. 186 ter cpc, dalla comparsa di costituzione al reclamo ex art. 178 cpc, e quindi non soltanto per quegli atti nominativamente indicati dall’autorizzazione stessa.
In buona sostanza, non solo per gli atti introduttivi, ma anche al fine di evitare dubbi di ammissibilità con riferimento al deposito telematico di atti successivi non espressamente menzionati dall’autorizzazione dirigenziale de qua, è pertanto auspicabile che le future autorizzazioni dirigenziali siano generiche, ossia decrètino l’attivazione dei depositi telematici senza limitarli a specifici atti ma per tutti quelli processualmente ammissibili. Da ciò consegue che le autorizzazioni rilasciate finora con effetti limitati ad alcuni atti soltanto, dovranno essere in ogni caso integrate in modo da comprendere il deposito degli atti attualmente non contemplati, a meno che non intervenga la legge stessa a stabilire che tutti gli uffici sono autorizzati alla trasmissione telematica di tutti indistintamente gli atti, salvo eventuali specifiche eccezioni, stabilite anche in via regolamentare ((Tale auspicabile soluzione è acutamente suggerita dal collega Pontecorvo, membro della FIIF del CNF.)).

Infine, quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza, il presidente del tribunale può autorizzare il deposito con modalità non telematiche ((Art. 16 bis cit. comma 4.)). La stessa autorizzazione può essere data anche dal giudice del procedimento, sia per ragioni specifiche ((Si noti che per tale ipotesi l’art. 16 bis cit. comma 8 non parla di autorizzazione ma di ordine.)) (ad es., il deposito di una scarpa, e non della sua rappresentazione digitale, in un processo in tema di brevetti), sia quando i sistemi informatici del ministero non funzionano: per tale ultima ipotesi, a differenza dell’autorizzazione presidenziale, non è anche richiesta l’indifferibile urgenza. Entrambe le accennate autorizzazioni al deposito non telematico (presidenziale e del giudice) non pare debbano senz’altro precedere il deposito stesso, giacché la lettera della legge non impone senz’altro che l’autorizzazione sia necessariamente preventiva (e non anche successiva), così come pare inoltre doversi escludere che una autorizzazione del genere possa essere concessa solo caso per caso, cioè di volta in volta, e non anche con provvedimento generale all’inizio del processo (si pensi all’accennata causa per brevetti): le ragioni che stanno alla base della tesi qui avversata, cioè quella secondo cui una tale autorizzazione preventiva e generale non potrebbe concedersi (al fine di scongiurare che tale esonero generalizzato e magari automatico dall’obbligo del deposito telematico possa compromettere la riuscita stessa del PCT per le troppe deroghe concesse dai giudici), seppur umanamente condivisibili, non sembra abbiano il necessario fondamento giuridico, trovando esclusivamente conforto nel desiderio di ciò che dovrebbe essere (sollen), anziché nella constatazione di ciò che invece è (sein) ((Il tema, caro ai filosofi, è ben riassunto in questa pagina della Treccani.)).