La Posta Elettronica Certificata (PEC)

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INDICE:

§ 1. Che cos’è?

§ 2. È obbligatoria?

§ 3. È necessaria al PCT?

 

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§ 1. Che cos’è?

La Posta Elettronica Certificata (PEC) è una particolare e-mail, avente formato digitale “.eml”, rilasciata, a chiunque ne faccia richiesta, da uno qualsiasi dei Gestori PEC iscritti nell’elenco tenuto dall’Agenzia per l’Italia Digitale (ex DigitPA, a sua volta ex CNIPA).

Qualora una PEC sia spedita ad un altro indirizzo PEC ((Art. 5, co. 1, lett. g) e h), DPR 11 febbraio 2005, n. 68 (Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell’articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3.)) (non è quindi sufficiente che la PEC sia inviata ad una email non certificata, o che quest’ultima sia trasmessa ad una PEC, giacché è infatti necessario che gli indirizzi di posta elettronica, del mittente e del destinatario, siano entrambi PEC), essa fornisce “al mittente documentazione elettronica attestante l’invio e la consegna” ((Art. 1, co. 2, lett. g) e h), DPR 11 febbraio 2005, n. 68 (Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell’articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3.)).

Infatti, la trasmissione (invio e ricezione) di una PEC è valida agli effetti di legge ((Art. 4, co. 1, DPR 68/2005.)), siccome attestata rispettivamente dalle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna ((Art. 4, co. 6, DPR 68/2005.)), che vengono generate in base alla seguente procedura: la PEC spedita dal mittente passa prima dal suo gestore di posta, che gli rilascia anzitutto la ricevuta di accettazione e quindi inoltra la PEC al gestore di posta del destinatario, il quale mette anzitutto la PEC a disposizione del destinatario nella sua casella di posta e quindi rilascia al mittente la ricevuta di consegna, che certifica in modo opponibile ai terzi sia la consegna della PEC sia il momento della consegna stessa al destinatario (cd data certa), e ciò indipendentemente dall’avvenuta sua lettura da parte del destinatario medesimo ((Artt. 4, 5, 6 e 10 DPR 68/2005.)), giacché “il documento informatico trasmesso per via telematica si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore” ((Art. 14, co. 1, DPR 28 dicembre 2000, n. 445.)).

In altri termini, la PEC ha lo stesso valore legale di una raccomandata cartacea con avviso di ricevimento (ma, si noti bene, nel senso di veicolo, cioè di “contenitore”), purché -come detto- la trasmissione avvenga tra due PEC, ovverosia quella del mittente e quella del destinatario. A tal proposito è bene avvertire che, ove la dichiarazione allegata come file alla PEC (o la PEC stessa ((Difatti, anche il contenuto, cioè il testo della PEC, e non solo i file allegati alla stessa, può essere sottoscritto digitalmente, attraverso i certificati digitali della firma: cfr., PEC, voce wikipedia, nonché questa immagine di esempio.))) non sia stata sottoscritta mediante firma digitale, è come spedire una raccomandata cartacea non firmata, cioè priva di “contenuto” giuridico senz’altro riferibile al mittente titolare della PEC. Tale principio, che distingue concettualmente il “contenente” dal “contenuto”, ha trovato recente conferma nella circolare n. 3/2014 Ragioneria generale dello Stato ((Cfr. Paladino Antonio G., La firma digitale batte la Pec, su ItaliaOggi.it del 31/01/2014)) nonché conforto in Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 7337 del 17 febbraio 2014.

§ 2. È obbligatoria?

L’attivazione di una casella PEC è facoltativa per i privati cittadini (appunto liberi di costituire, con essa, un proprio domicilio digitale), mentre è obbligatoria per le imprese, sia individuali ((Art. 5, co. 1, Decreto-Legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221.)) sia collettive ((Art. 16, co. 6, Decreto-Legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2.)), che devono appunto comunicare alla CCIAA il proprio indirizzo PEC, a pena di sanzione amministrativa ((Art. 2630 cc.)). A tal proposito, il Ministero dello Sviluppo economico, con propria circolare n. 77684 del 9 maggio, ha chiarito che ad ogni impresa deve corrispondere un indirizzo di PEC alla stessa esclusivamente riconducibile, pena la cancellazione d’ufficio della PEC stessa ex art. 2191 c.c. e conseguente applicazione della sanzione amministrativa di cui sopra ((In arg. cfr. questo articolo e questo.)).

Lo stesso obbligo vige per “i professionisti iscritti in albi”, che infatti comunicano la propria PEC ai rispettivi ordini o collegi di appartenenza ((Art. 16, co. 7, Decreto-Legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2.)). Per questi ultimi, tuttavia, l’obbligo in parola non è stato esteso agli enti collettivi ed in particolare alle associazioni e studi professionali ((Per quanto riguarda le STP, l’obbligo di PEC discende e si ricava invece dal fatto che le stesse, oltre ad essere iscritte in albi, sono iscritte anche nel registro del imprese, e trovano quindi applicazione le norme sulle società, tra cui appunto quella di indicare la PEC ai fini dell’iscrizione stessa. In arg. cfr. Società tra professionisti: guida completa.)).

Tale esclusione delle associazioni professionali dall’obbligo di munirsi di PEC (esenzione che ovviamente non può che essere apprezzata da chiunque prediliga una impostazione liberale dello Stato, e ritenga perciò preferibile limitare l’introduzione statuale di obblighi e doveri allo stretto necessario), non appare tuttavia concettualmente giustificata e sconta un certo pregiudizio, ormai anacronistico, verso l’esercizio della professione in forma associata, di cui pure si dà atto in albi.

Infatti, per limitare l’esame alla professione forense, le intimazioni stragiudiziali, e comunque le notifiche a mezzo PEC in generale, quindi anche di atti giudiziari, per non parlare degli atti processuali in senso stretto, specie se all’interno del sistema PCT, sono tradizionalmente sempre atti individuali ((Nell’ambito del PCT, anzi, la stessa semplice codifesa è fonte di problemi, ad esempio con riferimento all’apposizione della plurima sottoscrizione digitale dell’atto.)), nonostante l’incarico fosse in thesi attribuito all’associazione di cui il singolo professionista facesse parte. Simmetricamente, per il recupero del credito nei confronti del cliente moroso o per l’insinuazione al relativo passivo fallimentare, la legittimazione è sempre presuntivamente del singolo professionista associato e non della associazione, salvo appunto specifica prova contraria ((In arg. cfr. quanto pubblicato su GiurisprudenzaModenese.)).

Ma, appunto nel caso di tale prova contraria, e cioè nel caso fosse proprio l’associazione professionale ad agire per un proprio credito o resistere per un proprio obbligo, potrebbe allora essere necessario o quantomeno opportuno inviarle o notificarle una PEC, ovviamente all’indirizzo dell’associazione, che tuttavia -come abbiamo visto- potrebbe (ingiustificatamente) mancare.

Insomma, da un lato, non c’è alcuna ragione di tipo fisico/concettuale per escludere l’obbligo della PEC per gli enti professionali collettivi (così come per le società), e, dall’altro, sarebbe invece opportuno che tale obbligo ci fosse (proprio al fine di consentire una piena dialettica stra- e giudiziale tra le parti, che potrebbero così dialogare ad armi pari, ai fini di reciproche intimazioni e notifiche a mezzo PEC: si pensi all’associazione professionale di avvocati che agisse in giudizio in proprio ex art. 86 cpc).

Gli stessi ostacoli, tutti di tipo concettuale, si riscontrano del resto (e stavolta anche per le imprese e società), con riferimento alla firma digitale, tradizionalmente intesa come riferibile esclusivamente al singolo.
Ma il fatto che ci voglia quella del legale rappresentante persona fisica anziché quella della società (che il legale rappresentante appone in nome e per conto dell’ente) è, semplicemente, un dogma.
Si è infatti creata la finzione della persona giuridica (rinvio, in proposito, al testo del compianto prof. Galgano, Le insidie del linguaggio giuridico – Saggio sulle metafore nel diritto), non si comprende allora perché non si potrebbe creare anche quella, certamente meno trascendentale, della firma digitale della persona giuridica e degli enti collettivi in genere.

Ad ogni modo, per il momento, l’uso della PEC è, di fatto, limitato al territorio italiano, giacché l’impresa estera, che non abbia sede o non operi in Italia, non ha l’obbligo di dotarsi di tale strumento e ben difficilmente ne è dotata, in quanto non costituisce uno standard (informatico) internazionale.

§ 3. È necessaria al PCT?

Per poter effettuare un deposito giudiziario tramite PCT è necessario che i soggetti esterni (CTU, avvocati) abbiano un indirizzo di Posta Elettronica Certificata, la cui casella deve avere una capacità di almeno 1GB ((Art.  20, co. 4, DM 44/2011; art. 21 Specifiche tecniche 18/7/2011.)) e può essere modificata solo dal primo gennaio al 31 luglio di ogni anno ((Art. 20, co. 6, DM 44/2011.)) fatta salva l’ipotesi di cessazione dell’attività da parte del gestore PEC ((Art. 20, co. 7, DM 44/2011.)).

In particolare, la PEC da utilizzare per i suddetti depositi telematici è (esclusivamente) quella iscritta nel Registro Generale Indirizzi Elettronici (Reginde), che è uno dei cinque pubblici elenchi delle PEC individuati dalla legge ((Art. 16 ter DL n. 179/2012.)), nel quale confluiscono tutti gli indirizzi PEC pubblicati negli altri elenchi pubblici (istituiti ed istituendi), da cui appunto la definizione di “registro generale”, che è utilizzato dalla cancelleria per le sue comunicazioni ex art. 136 cpc, ed è raggiungibile, previa autenticazione crittografica, all’interno dell’area riservata del Portale del Ministero della Giustizia dedicato al processo telematico.

reginde

I meccanismi attualmente presenti impongono una relazione tra l’indirizzo di PEC del mittente e il firmatario dell’atto depositato telematicamente. A tal proposito, una interessante novità (per ora solo) annunciata dal documento esplicativo a corredo delle specifiche tecniche del 16 aprile 2014 ((Provvedimento DGSIA 16 aprile 2014.)) è la c.d. “PEC di Studio”, cioè la possibilità di usare per il deposito telematico di un atto una pec non associata necessariamente allo stesso soggetto che appone la firma digitale all’atto stesso. Come spiega lo stesso documento, “è il caso tipico di avvocati appartenenti a uno stesso studio legale che condividono un uguale indirizzo PEC comunicato sul ReGIndE” ((In arg., si rinvia al sito del laboratorio degli avvocati di Bari, che per primo ha dato la notizia.)). La preannunciata novità si pone in contrasto con la previsione che la PEC sia esclusivamente riconducibile ad un solo soggetto, come recentemente affermato dal  Ministero dello Sviluppo economico, con propria circolare n. 77684 del 9 maggio ((In arg. cfr. questo articolo e questo.)).

Fin qui si è parlato di necessità giuridica, giacché vi sono appunto norme e regolamenti che espressamente impongono l’uso della PEC per effettuare depositi telematici tramite PCT.
Tutt’altro discorso deve farsi, invece, sulla opportunità (rectius, ragionevolezza) di tale necessità giuridica, ovvero se sia davvero indispensabile imporre per il PCT l’uso di uno strumento così farraginoso e limitante (si pensi alla capacità massima dei 30 MB) come la PEC, peraltro gestito da terzi (i “gestori PEC” appunto), anziché adottare uno strumento molto più semplice ed efficiente come ad esempio l’upload dei file, previa banalissima autenticazione in una apposita pagina di caricamento del PCT.

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Tale sistema consentirebbe di entrare, previa autenticazione tramite firma digitale, nella pagina web del PCT contenente il fascicolo telematico (repository), che sarebbe visualizzato sotto forma di cartelle ad albero con i depositi già fatti dalle parti e dal giudice; per effettuare un nuovo deposito in tale repository sarebbe sufficiente una banalissima finestra di upload con il tasto sfoglia, magari scegliendo da un menù a cascata il tipo di deposito (ad es., memoria 183 n. 1 cpc).

No, troppo semplice, comodo e funzionale. Meglio fare tutto tramite PEC.

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