Dalla Scuola di Mileto al PCT, andata e ritorno

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Come ai tempi della Scuola di Mileto, in cui le domande erano migliori delle risposte (ci si chiedeva, infatti, come facesse a star su il mondo; tuttavia rispondendosi che esso poggiava su un mare), il PCT pone questioni di non facile soluzione.

Com’è noto, l’avvocato può autenticare, in proprio e senza pagare marche o diritti di cancelleria, gli atti ed i provvedimenti che lui stesso estrae dal fascicolo d’ufficio informatico (art. 52 DL “Orlando” n. 90/2014, conv. con L. n. 114/2014, che ha modificato l’art. 16 bis DL 179/2012).

Quindi, può ad esempio scaricare e autenticare la sentenza da depositare in appello, copia autentica che parte della giurisprudenza di legittimità ritiene necessaria.

Ma, a quest’ultimo proposito, siccome la realtà supera ogni previsione della fantasia, è allora opportuno chiedersi quid juris nell’ipotesi, non così rara, in cui per l’appello la parte decida di affidarsi ad altro difensore, con revoca del mandato al precedente: quest’ultimo, difatti, non è più difensore della parte, mentre il nuovo non lo è mai stato in primo grado, ditalché a nessuno dei due sarebbe consentito effettuare l’autentica della sentenza in parola e, più in generale, di atti e provvedimenti che si trovano appunto nel fascicolo informatico di primo grado (tra cui, come non trascurabile esempio, gli atti di parte del precedente difensore, da questi depositati telematicamente), e ciò quand’anche al nuovo difensore fosse attribuita la cd. visibilità: non è questa, infatti, che attribuisce il potere di autentica ma la nomina a difensore in uno specifico procedimento, che nella specie è tuttavia già concluso.
Il problema, insomma, è se “il difensore” cui la legge attribuisce i poteri di autentica di atti e provvedimenti del fascicolo debba essere il difensore costituito in “quel” fascicolo o se, invece, sia sufficiente essere “il difensore” della parte a prescindere dalla relativa costituzione in giudizio e, in particolare, nel fascicolo informatico in cui si trovano gli atti e provvedimenti da autenticare. Il tenore letterale dell’art. 83 cpc, che fa espresso riferimento al giudizio (e non potrebbe essere diversamente, trattandosi appunto di un codice di procedura), potrebbe far propendere per la prima ipotesi, con conseguente difetto del potere di autentica del nuovo difensore incaricato per l’appello e non costituito in primo grado.

All’impasse dovrebbe semplicemente potersi ovviare mediante l’intervento tradizionale delle Cancellerie, le quali tuttavia tendono, altrettanto semplicemente, a rifiutare il rilascio di copie autentiche dal fascicolo informatico, specie se si tratta di atti di parte, nella convinzione che l’avvocato possa, quindi debba, farsele da sè (tale prassi è, ovviamente, illegittima giacché l’attribuzione del potere di autentica agli avvocati è una mera facoltà, che non ha pertanto escluso né vietato il rilascio delle copie alle Cancellerie).

Talete, forse, concorderebbe.