PCT: il deposito in formato o con una modalità non consentite

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INDICE:
§ 1. Premessa.
§ 2. Il deposito in formato non consentito.
§ 3. Il deposito con modalità non consentite.

§ 1. Premessa.

In questa sede cercheremo di rispondere a due quesiti, tra loro connessi:
1) il deposito giudiziario tramite PCT di atti o documenti non conformi ai formati ammessi;
2) il deposito giudiziario di atti o documenti con modalità diverse da quelle consentite (ovvero: telematicamente anziché in cartaceo, o viceversa)

In entrambi i casi, comunque, il rifiuto del deposito non potrà mai (legittimamente) avvenire ad opera del Cancelliere, come già precisato altrove.

§ 2. Il deposito in formato non consentito.

Su delega avente rango di fonte primaria ((Art. 16 bis DL n. 179/2012.)), la normativa regolamentare del PCT stabilisce che:
– l’atto giudiziario (o atto principale) deve essere in pdf testuale ((Art. 11 DM n. 44/2011 e art. 12 Specifiche Tecniche 16/04/2014.))
– gli eventuali documenti possono essere in formato pdf, rtf, txt, jpg, gif, tiff, xml, eml o msg (purché contenenti file nei formati precedenti), e nei formati compressi zip, rar, arj (purché contenenti file nei formati precedenti) ((Art. 12  DM n. 44/2011 e art. 13 Specifiche Tecniche 16/04/2014.)).

Quid juris, allora, nel caso in cui non vengano rispettati tali prescrizioni relative al formato dell’atto o dei documenti?
L’ipotesi più frequente, ad esempio, è il deposito di un atto giudiziario in pdf immagine (cioè stampato e scansionato) anziché pdf testuale (cioè “convertito” in pdf direttamente dall’editor di testo Word, OpenOffice, ecc.).

In argomento, si segnalano alcune pronunce secondo le quali un tale deposito sarebbe inammissibile.

La tesi non può essere condivisa.

Infatti, poiché il vizio de quo riguarda la forma dell’atto, l’eventuale nullità dovrebbe essere espressamente prevista dalal legge ((Art. 156 co. 1 cpc.)) e, quand’anche lo fosse, sarebbe sanata per il raggiungimento dello scopo ((Art. 156, co. 3, cpc.)), ed in ogni caso non potrebbe comportare rigetto per inammissibilità dovendo infatti il giudice disporre la rinnovazione dell’atto nullo ((Art. 162 cpc.)).

Allo stato dell’arte, pertanto, il rigetto per inammissibilità dell’atto o documento non conforme alle specifiche dei formati digitali deve ritenersi abnorme ed illegittimo.

L’argomento è stato ulteriormente approfondito in questo articolo.

§ 3. Il deposito con modalità non consentite.

Per alcune tipologie di atti, il deposito telematico, oltre a non essere obbligatorio (ad es., agli atti di costituzione), non è proprio consentito (ad es., atti introduttivi in assenza di decreto autorizzativo della DGSIA).
Parimenti, dal 30 giiugno 2014 in poi, a non essere consentito (se non debitamente autorizzato dal Giudice), sarà il desposito cartaceo degli atti endoprocessuali.

Quid juris, allora, nel caso in cui, in violazione di detti principi, venga ad esempio depositato un atto introduttivo per via telematica, oppure un atto endoprocessuale per via cartacea? ((In arg. segnalo il pregevole articolo del Collega Maurizio Reale, I pericoli dell’avvocato troppo telematico!))

In argomento, si segnalano alcune pronunce secondo le quali un tale deposito sarebbe inammissibile.

La tesi è assai discutibile.

Il deposito in giudizio attraverso uno strumento non previsto è, anche qui, un problema giuridico trasversale, che non riguarda solo il PCT.

Infatti, la stessa identica diatriba inamissibilità/nullità sussiste con il deposito effettuato a mezzo raccomandata cartacea (cui la PEC del PCT è del tutto equiparabile) al di fuori dei procedimenti espressamente previsti dalla legge (ovvero: ricorsi per cassazione, tributari e contro contravvenzioni).
Al riguardo, la Cassazione ha dato una risposta schizofrenica:
a) il deposito a mezzo posta sarebbe affetto da nullità, addirittura insanabile, quindi equiparabile alla inesistenza giuridica che legittima appunto la dichiarazione di inammissibilità (Cassazione n. 12391/2013);
b) il deposito a mezzo posta integrerebbe una mera “irritualità” e, semmai, una nullità comunque sanabile dall’evidente (ed immancabile) raggiungimento dello scopo (Cass. SSUU n. 5160/2009).

Personalmente ritengo preferibile questa seconda opzione, anche a prescindere dal fatto che sia stata stabilita dalle Sezioni Unite.

Infatti, la tesi dell’inammissibilità si fonda sostanzialmente su questa convinzione:
– il PCT è una forma di realtà virtuale
– le regole tecniche creano questa realtà virtuale
– ergo, tutto ciò che non è previsto da dette regole è al di fuori di quella realtà (virtuale), quindi non esiste.

Da qui, la ritenuta inesistenza giuridica del deposito PCT non espressamente consentito dalle regole tecniche e dai decreti ministeriali.

E’ una tesi sostenibile.

A mio avviso, invece, il deposito tramite PCT non è altro che la spedizione di una PEC alla cancelleria, la quale non ha bisogno di una norma per esistere: esiste e basta.
L’assenza di una norma che la preveda e consenta, quindi, non comporta inesistenza ma, semmai, nullità.
Con tutto ciò che ne consegue in termini di possibile sanatoria della stessa.
Esattamente come avviene nel caso in cui il deposito sia effettuato con raccomandata (cartacea, anziché digitale): in entrambi i casi, il principio giuridico è infatti il medesimo.