Se esistesse il verbo

Se esistesse il verbo, chiederei come si fa a rammostrare al teste un documento allegato ad un deposito telematico, specie se il giudice -come a volte accade- non ha il pc e quindi nessun monitor da rammostrare.

Se esistesse il verbo, saprei che -con o senza pc- il documento è rammostrato al teste dall’avvocato stesso che lo ha prodotto telematicamente, ma nella più o meno vera riproduzione cartacea di ciò che riposa nel fascicolo informatico.

Ma, per fortuna, il verbo rammostrare non esiste.

rammostrare

Atto introduttivo in formato telematico (anziché cartaceo) ed in pdf immagine (anziché testuale)

Il reclamo cautelare ha natura di atto di introduttivo del relativo giudizio, sicché non soggiace all’obbligo di deposito telematico, ma può tuttavia legittimamente depositarsi in tale forma pur in assenza di decreto della DGSIA ex art. 325 DM n. 44/2011, trattandosi di mera irregolarità e, comunque, di nullità sanata dal raggiungimento dello scopo. Alle medesime conseguenze, e per le stesse ragioni giuririche, soggiace il deposito telematico di atto principale in pdf immagine (cioè stampato e scansionato) anziché pdf testuale, che è appunto affetto da mera irregolarità o, semmai, da nullità sanabile e perciò mai da inammissibilità.

Tribunale di Vercelli, ordinanza del 31 luglio 2014

NOTA:
In arg., cfr. questo articolo.

PCT: il deposito telematico dell’atto giudiziario in formato pdf immagine anziché pdf testuale

Con provvedimento di rigetto in data 09/06/2014, il Tribunale di Roma (est. Saracino) ha dichiarato l’inammissibilità di un ricorso per decreto ingiuntivo depositato telematicamente in formato pdf immagine (cioè scansionato dal cartaceo) anziché pdf testuale (cioè convertito in pdf direttamente dall’editor di testi).

L’iter logico-giuridico e quindi l’argomentazione addotta dal giudice capitolino può così sintetizzarsi:
1) gli atti del processo sono a forma libera, cioè possono essere redatti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo, solo ove la legge per essi non richieda forme determinate (art. 121 cpc);
2) l’atto giudiziario telematico deve essere redatto secondo le specifiche tecniche della DGSIA del Ministero Giustizia (art. 11 DM 44/2011), le quali stabiliscono che deve trattarsi di un pdf testuale (art. 12);
3) ove la legge richieda forme determinate (cfr. n. 1), come appunto nel caso del PCT (cfr. n. 2), allora il criterio del raggiungimento dello scopo non sana l’eventuale invalidità dell’atto compiuto senza il rispetto delle forme stesse;
4) tale invalidità (non sanata dal raggiungimento dello scopo: cfr. n. 3) si traduce in inammissibilità, mancando l’atto “dei requisiti genetici indispensabili” (ovvero: l’atto giudiziario in pdf immagine “non consente operazioni di selezione e copia di parti”), tanto è vero che “l’ultimo aggiornamento del sistema SICID per il contenzioso civile prevede opportuni accorgimenti tecnici in grado di sbarrare l’accesso al file “intruso” perché non corrispondente al formato richiesto per il tipo di atto”;
5) infine, “non avrebbe senso ipotizzarne la rinnovazione (art. 162 cpc) a fronte della riproponibilità senza limitazioni del ricorso per decreto ingiuntivo (art. 640 u.c., c.p.c.)”.

La pronuncia che qui si annota è certamente di grande interesse, avendo il pregio di esplicitare con diffusa motivazione una inammissibilità che invece altri tribunali si sono finora limitati a dichiarare apoditticamente. Ciò non vuol dire, ovviamente, che la -seppur motivata- decisione romana de qua possa perciostesso condividersi, anzi.

Appare infatti giuridicamente infondato -in quanto esplicitamente smentito dall’art. 156 cpc- l’assunto di cui al citato numero 3, secondo cui la violazione delle forme prescritte dalla legge comporterebbe una invalidità non sanabile dal raggiungimento dello scopo.
Nel caso del PCT, peraltro, la nullità per violazione della forma dell’atto non solo non è espressamente prevista dalla legge (art. 156, co. 1, cpc) ma, quand’anche lo fosse, sarebbe sanata eccome per il raggiungimento dello scopo (art. 156, co. 3, cpc).

Parimenti infondato è l’assunto di cui al citato numero 4, secondo cui in ogni caso l’atto in pdf immagine non raggiunge lo scopo, che -per candida ammissione dello stesso estensore- consisterebbe nelle operazioni di copia/incolla, possibili solo con il pdf testuale: tale affermazione è ancor più sorprendente se sol si pensa che i dati dell’ingiunzione da inserire nel decreto tramite Consolle magistrato sono automaticamente “pescati” dalla nota di iscrizione a ruolo e non dal ricorso (con conseguente inutilità di effettuare dei copia/incolla); ma, se anche così non fosse, e cioè se il giudice del monitorio volesse comunque divertirsi a copincollare il testo del ricorso, appare comunque quantomeno curioso che la violazione di un tale scopo comporti addirittura la sanzione processuale più grave che l’ordinamento prevede: l’inammissibilità della domanda. Inoltre, a nulla rileva -se non come dato controproducente per la stessa tesi qui avversata- che il sistema SICID rifiuti l’atto “intruso”: è, semplicemente, un rifiuto arbitrario anche questo ed anzi ancor di più, poiché aggravato dal fatto che il sistema tecnico del PCT non è legittimato da alcuna norma a sindacare il merito del deposito, fino al punto di poterlo addirittura rifiutare in una sorta di inammissibilità ante causam.

Per quanto riguarda infine l’asserita inoperatività della norma in tema di rinnovazione dell’atto nullo (art. 162 cpc) sol perché il ricorso monitorio è comunque riproponibile senza limitazioni (art. 640 cpc), è sufficiente rilevare che la mera possibilità di riproporre una domanda rigettata ovviamente non giustifica né legittima di per sè il rigetto stesso (il quale potrebbe riguardare anche la domanda riproposta, e così via all’infinito, finché il ricorrente rinunci per stanchezza alla domanda, pur potendo certamente riproporla, ovviamente corrispondendo ogni volta il dovuto contributo unificato). Diversamente ragionando, cioè ritenendo senza alcun valore il tempo ed il costo necessari a proporre una domanda giudiziale sol perché “riproponibile senza limitazioni”, si violerebbe il principio del giusto processo e della ragionevole durata dello stesso (art. 111 Cost.), principio che -incredibilmente- il giudice capitolino ritiene invece violato dall’atto in formato pdf immagine anziché testuale.

In definitiva, la decisione qui in commento non può condividersi, giacché:
a) la nullità per violazione del formato pdf (immagine anziché testuale) non è espressamente prevista da alcuna norma (art. 156 co. 1 cpc);
b) qualora la si volesse ricavare per implicito dall’ordinamento, la nullità stessa sarebbe comunque sanata per raggiungimento dello scopo (art. 156, co. 3, cpc), giacché la finalità processuale del ricorso monitorio non è certo quella di consentire al giudice di fare il copia/incolla del ricorso stesso;
c) in estremo subordine, cioè quand’anche vi fosse una nullità e questa non fosse sanata dal raggiungimento dello scopo, il giudice dovrebbe comunque disporre la rinnovazione dell’atto nullo (art. 162 cpc) e non certo ritenerlo inammissibile, giacché vi è un’ontologica differenza tra invalidità e inammissibilità dell’atto, la quale ultima peraltro -come acutamente rilevato da Reale– è stabilita dal nostro ordinamento processuale in maniera tassativa e nella specie non risulta ovviamente prevista da alcuna norma.

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Ascolta il podcast sull’argomento

L’obbligo del PCT per gli uffici diversi dai Tribunali

Com’è noto, il 30 giugno prossimo il PCT diventerà obbligatorio (in via esclusiva, cioè senza il doppio binario con il deposito cartaceo ovvero analogico tradizionale) per i procedimenti civili ed esecutivi dinanzi al tribunale ((Art. 16 bis DL n. 179/2012.)).

Com’è altrettanto noto, per gli uffici diversi dai tribunali (Corti d’Appello, GdP, Cassazione) l’obbligatorietà del PCT è subordinata a specifici decreti aventi natura non regolamentare del Ministro della Giustizia, previa verifica della funzionalità telematica dell’ufficio giudiziario da abilitare di volta in volta ((Art. 16 bis, co. 6, DL n. 179/2012.)).

Con riferimento a tali uffici, l’obbligatorietà parte, non dal 30 giugno 2014, bensì “dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dei [suddetti] decreti, aventi natura non regolamentare” ((Art. 16 bis cit.)).
In un primo tempo avevo pensato che i decreti autorizzativi fossero quelli pubblicati per ciascun ufficio sul PST, ma in realtà tali decreti non sono quelli del Ministero Giustizia previsti dalla citata norma, bensì quelli della DGSIA del Ministero Giustizia ex art 35 dm 44/2011, sicché non sono idonei a far decorrere il termine quindicinale per l’entrata un vigore del PCT a binario unico.

Il protocollo PCT di Catanzaro

Il protocollo PCT di Catanzaro (che è possibile scaricare cliccando qui) intende sopperire, attraverso le cosiddette best practices, alle lacune normative e regolamentari del processo civile telematico.

Sicuramente degni di rilievo sono i punti che qui di seguito segnalo, rinviando per il resto al testo integrale del protocollo:

1) Il pdf immagine e gli atti ammessi al PCT
Secondo i principi generali stabiliti dal protocollo, “gli atti ammessi al deposito telematico” sono esclusivamente quelli individuati dai decreti DGSIA; inoltre, “non è ammesso” il deposito di atto principale in pdf immagine.
Considerazioni:
In merito alla (presunta) inammissibilità del deposito effettuato con modalità non consentite ovvero in formato digitale non ammesso, segnalo le considerazioni fatte in questo articolo.

2) La procura alle liti
Il protocollo prevede che la procura alle liti sia sottoscritta dall’avvocato sia di pugno nel cartaceo (poi scansionato), sia digitalmente nel file successivamente scansionato in pdf.
Osservazioni:
La doppia firma non pare (giuridicamente) necessaria.

3) Il deposito telematico della citazione cartacea.
Il protocollo prevede che al deposito telematico dell’atto (in pdf testuale) e della relativa notifica (in pdf immagine, se eseguita dall’ufficiale giudiziario), segua il deposito in cancelleria dell’originale cartaceo al fine di consentire al Cancelliere di effettuare i “dovuti” controlli di conformità tra quanto trasmesso telematicamente e quanto effettivamente notificato al convenuto.
Osservazioni:
La verifica di corrispondenza del deposito telematico non appare (giuridicamente) necessario né opportuno, giacché vanifica i benefici del PCT ed evidenzia una sfiducia della Cancelleria per l’avvocato (non solo telematico).

4) Esecuzioni immobiliari
Il protocollo prevede che l’atto di pignoramento sia depositato in pdf testuale (quindi il deposito è a cura dell’avvocato del creditore procedente, che dispone appunto del file) entro 5 giorni dalla richiesta dell’esecuzione all’ufficiale giudiziario; a pignoramento eseguito, l’ufficiale deposita il tutto in cancelleria, che provvede ad iscrivere a ruolo il procedimento; il pagamento del contributo unificato e della marca amministrativa avviene al momento del deposito (telematico) dell’istanza di vendita.
Osservazioni:
Il coordinamento tra cpc e pct incontra le maggiori difficoltà in sede di esecuzioni immobiliari, ma il protocollo di Catanzaro mi pare offra una interessante soluzione, senz’altro condivisibile, sebbene rimanga comunque auspicabile che i predetti problemi di coordinamento vengano risolti, una volta per tutte, in sede normativa (possibilmente di rango primario e non meramente regolamentare).

5) L’ora del deposito.
Il protocollo stabilisce che il cancelliere accetta la busta entro le ore 10 del giorno successivo al deposito, precisando che questo si intende effettuato il giorno dopo se successivo alle ore 14.
Osservazioni:
Con riferimento all’orario del deposito, il protocollo riproduce il contenuto dell’art. 13 comma 2 e 3 del DM 44/2011, così implicitamente contravvenendo al principio espresso da Tribunale Milano, sez. IX, sentenza 05.03.2014 n° 3115.
La scelta, in quanto prudenziale, appare condivisibile (sebbene giuridicamente opinabile).

6) Il rifiuto del deposito da parte del cancelliere.
Il protocollo stabilisce che il cancelliere possa rifiutare il deposito nel caso di errori bloccanti (ad es., assenza di procura alle liti o firma dell’atto).
Osservazioni:
La tesi non è condivisibile. In argomento, rinvio a questo articolo

7) La mancata comunicazione di cancelleria per problemi alla pec dell’avvocato destinatario
Il protocollo prevede che, ove la comunicazione telematica della cancelleria non sia possibile per causa imputabile al destinatario (ad es., per problemi alla sua pec), la cancelleria avvisi telefonicamente il destinatario del deposito in cancelleria dell’atto stesso.
Osservazioni:
La previsione in esame stabilita dal protocollo, conforme all’art. 16 co. 6 DL n, 179/2012 nella parte in cui prevede il deposito in cancelleria dell’atto che non sia stato possibile comunicare a mezzo pec per causa imputabile al destinatario, si discosta benevolmente dalla previsione normativa nella parte in cui prevede che tale deposito sia accompagnato da un avviso telefonico di cortesia.

PCT: il deposito in formato o con una modalità non consentite

INDICE:
§ 1. Premessa.
§ 2. Il deposito in formato non consentito.
§ 3. Il deposito con modalità non consentite.

§ 1. Premessa.

In questa sede cercheremo di rispondere a due quesiti, tra loro connessi:
1) il deposito giudiziario tramite PCT di atti o documenti non conformi ai formati ammessi;
2) il deposito giudiziario di atti o documenti con modalità diverse da quelle consentite (ovvero: telematicamente anziché in cartaceo, o viceversa)

In entrambi i casi, comunque, il rifiuto del deposito non potrà mai (legittimamente) avvenire ad opera del Cancelliere, come già precisato altrove.

§ 2. Il deposito in formato non consentito.

Su delega avente rango di fonte primaria ((Art. 16 bis DL n. 179/2012.)), la normativa regolamentare del PCT stabilisce che:
– l’atto giudiziario (o atto principale) deve essere in pdf testuale ((Art. 11 DM n. 44/2011 e art. 12 Specifiche Tecniche 16/04/2014.))
– gli eventuali documenti possono essere in formato pdf, rtf, txt, jpg, gif, tiff, xml, eml o msg (purché contenenti file nei formati precedenti), e nei formati compressi zip, rar, arj (purché contenenti file nei formati precedenti) ((Art. 12  DM n. 44/2011 e art. 13 Specifiche Tecniche 16/04/2014.)).

Quid juris, allora, nel caso in cui non vengano rispettati tali prescrizioni relative al formato dell’atto o dei documenti?
L’ipotesi più frequente, ad esempio, è il deposito di un atto giudiziario in pdf immagine (cioè stampato e scansionato) anziché pdf testuale (cioè “convertito” in pdf direttamente dall’editor di testo Word, OpenOffice, ecc.).

In argomento, si segnalano alcune pronunce secondo le quali un tale deposito sarebbe inammissibile.

La tesi non può essere condivisa.

Infatti, poiché il vizio de quo riguarda la forma dell’atto, l’eventuale nullità dovrebbe essere espressamente prevista dalal legge ((Art. 156 co. 1 cpc.)) e, quand’anche lo fosse, sarebbe sanata per il raggiungimento dello scopo ((Art. 156, co. 3, cpc.)), ed in ogni caso non potrebbe comportare rigetto per inammissibilità dovendo infatti il giudice disporre la rinnovazione dell’atto nullo ((Art. 162 cpc.)).

Allo stato dell’arte, pertanto, il rigetto per inammissibilità dell’atto o documento non conforme alle specifiche dei formati digitali deve ritenersi abnorme ed illegittimo.

L’argomento è stato ulteriormente approfondito in questo articolo.

§ 3. Il deposito con modalità non consentite.

Per alcune tipologie di atti, il deposito telematico, oltre a non essere obbligatorio (ad es., agli atti di costituzione), non è proprio consentito (ad es., atti introduttivi in assenza di decreto autorizzativo della DGSIA).
Parimenti, dal 30 giiugno 2014 in poi, a non essere consentito (se non debitamente autorizzato dal Giudice), sarà il desposito cartaceo degli atti endoprocessuali.

Quid juris, allora, nel caso in cui, in violazione di detti principi, venga ad esempio depositato un atto introduttivo per via telematica, oppure un atto endoprocessuale per via cartacea? ((In arg. segnalo il pregevole articolo del Collega Maurizio Reale, I pericoli dell’avvocato troppo telematico!))

In argomento, si segnalano alcune pronunce secondo le quali un tale deposito sarebbe inammissibile.

La tesi è assai discutibile.

Il deposito in giudizio attraverso uno strumento non previsto è, anche qui, un problema giuridico trasversale, che non riguarda solo il PCT.

Infatti, la stessa identica diatriba inamissibilità/nullità sussiste con il deposito effettuato a mezzo raccomandata cartacea (cui la PEC del PCT è del tutto equiparabile) al di fuori dei procedimenti espressamente previsti dalla legge (ovvero: ricorsi per cassazione, tributari e contro contravvenzioni).
Al riguardo, la Cassazione ha dato una risposta schizofrenica:
a) il deposito a mezzo posta sarebbe affetto da nullità, addirittura insanabile, quindi equiparabile alla inesistenza giuridica che legittima appunto la dichiarazione di inammissibilità (Cassazione n. 12391/2013);
b) il deposito a mezzo posta integrerebbe una mera “irritualità” e, semmai, una nullità comunque sanabile dall’evidente (ed immancabile) raggiungimento dello scopo (Cass. SSUU n. 5160/2009).

Personalmente ritengo preferibile questa seconda opzione, anche a prescindere dal fatto che sia stata stabilita dalle Sezioni Unite.

Infatti, la tesi dell’inammissibilità si fonda sostanzialmente su questa convinzione:
– il PCT è una forma di realtà virtuale
– le regole tecniche creano questa realtà virtuale
– ergo, tutto ciò che non è previsto da dette regole è al di fuori di quella realtà (virtuale), quindi non esiste.

Da qui, la ritenuta inesistenza giuridica del deposito PCT non espressamente consentito dalle regole tecniche e dai decreti ministeriali.

E’ una tesi sostenibile.

A mio avviso, invece, il deposito tramite PCT non è altro che la spedizione di una PEC alla cancelleria, la quale non ha bisogno di una norma per esistere: esiste e basta.
L’assenza di una norma che la preveda e consenta, quindi, non comporta inesistenza ma, semmai, nullità.
Con tutto ciò che ne consegue in termini di possibile sanatoria della stessa.
Esattamente come avviene nel caso in cui il deposito sia effettuato con raccomandata (cartacea, anziché digitale): in entrambi i casi, il principio giuridico è infatti il medesimo.

Il protocollo PCT di Genova

Il protocollo PCT di Genova (che è possibile scaricare cliccando qui) intende sopperire, attraverso le cosiddette best practices, alle lacune normative e regolamentari del processo civile telematico.

Sicuramente degni di rilievo sono i punti che qui di seguito segnalo, rinviando per il resto al testo integrale del protocollo:

§ 1. L’accettazione manuale della busta telematica.
Il protocollo stabilisce che il cancelliere accetta la busta entro le 24 ore successive al deposito, precisando che questo si intende effettuato il giorno dopo se successivo alle ore 14.
Osservazioni:
Con riferimento all’orario del deposito, il protocollo riproduce il contenuto dell’art. 13 comma 2 e 3 del DM 44/2011, così implicitamente contravvenendo al principio espresso da Tribunale Milano, sez. IX, sentenza 05.03.2014 n° 3115. La scelta, in quanto prudenziale, appare condivisibile (sebbene giuridicamente opinabile).

§ 2. Il deposito dell’atto principale in formato non consentito dalle regole tecniche.
Il protocollo stabilisce che il deposito dell’atto in formato non consentito è “invalido”.
Osservazioni:
Trattandosi di invalidità, quindi di nullità, il protocollo implicitamente ammette una sanatoria della nullità stessa ex art. 156 cpc, ovvero una rinnovazione del deposito ex art. 162 co. 1 cpc, perciò escludendo la possibilità di un rigetto per inammissibilità (che presuppone, invece, una inesistenza giuridica del deposito in formato non consentito).

§ 3. Il deposito superiore a 30 MB.
Il protocollo ammette il deposito di buste multiple nel caso in cui gli allegati superino il limite dei 30 MB.
Osservazioni:
Il protocollo non chiarisce se gli invii successivi al primo debbano tutti effettuarsi entro l’unico termine processuale di decadenza, né quid juris nell’ipotesi in cui l’invio multiplo riguardi la costituzione nel rito del lavoro (per la quale il termine si consuma al momento della prima costituzione con la conseguenza che tutti gli invii successivi, seppur riferiti alla medesima costituzione, potrebbero doversi ritenere tardivi, con ciò che ne consegue rispetto alle relative produzioni documentali).

§ 4. La sottoscrizione del teste e del CTU.
A differenza di quanto (forzatamente) previsto dal protocollo di Firenze, il protocollo di Genova prevede che la firma del teste e del CTU possa (giustamente) essere raccolta solo di pugno, quindi stabilisce che il verbale d’udienza redatto a computer venga stampato al fine, appunto, di raccogliere la loro sottoscrizione.
Osservazioni:
De jure condito, la soluzione adottata dal protocollo di Genova è l’unica giuridicamente ammissibile.

Il protocollo PCT abruzzese

Il protocollo PCT abruzzese (che è possibile scaricare cliccando qui) intende sopperire, attraverso le cosiddette best practices, alle lacune normative e regolamentari del processo civile telematico.

Il protocollo PCT di Firenze

Il protocollo PCT di Firenze (che è possibile scaricare cliccando qui), presentato al pubblico il 05/12/2013, intende sopperire, attraverso le cosiddette best practices, alle lacune normative e regolamentari del processo civile telematico.

Tale approccio, sicuramente meritorio, presenta numerosi aspetti interessanti, molti dei quali positivi (insiti nella ratio stessa del protocollo) ed altri negativi (insiti nella natura stessa di siffatta raccolta di prassi locali, che costituisce, da un lato, una ulteriore frammentazione del rito civile in base al luogo in cui il processo è celebrato e, dall’altro, in alcuni casi, una violazione della gerarchia delle fonti).

Ad ogni modo, sicuramente degni di rilievo sono i punti che qui di seguito segnalo, rinviando per il resto al testo integrale del protocollo:

1) Le deduzioni a verbale. Nel prevedere che anche il verbale d’udienza sia telematico, cioè redatto a computer (si ricorda, comunque, che per il verbale di causa non non v’è l’obbligo di redigerlo telematicamente), il protocollo stabilisce le modalità con cui gli avvocati possono in tal caso provvedere al deposito digitale del vecchio “foglio da considerarsi parte integrante del verbale d’udienza”, stabilendo appunto che le deduzioni d’udienza possono essere presentate su supporto informatico (chiavetta usb, ecc.), che il Giudice inserisce nel verbale telematico d’udienza.

Osservazioni: La previsione in commento è sicuramente positiva. L’unico dato da rilevare è lo scollamento (di cui il protocollo prende implicitamente atto) tra codice di rito (secondo cui verbale è redatto dal Cancelliere: art. 130 cpc) e realtà processuale (la presenza del Cancelliere in udienza è un evento più unico che raro): la violazione della legge è ufficialmente entrata nella prassi.

2) La sottoscrizione del teste. Nel prevedere che anche il verbale d’udienza sia telematico, cioè redatto a computer (si ricorda, comunque, che per il verbale di causa non non v’è l’obbligo di redigerlo telematicamente), il protocollo affronta la (delicata) questione della sottoscrizione del teste, stabilendo che: a) ove il teste sia provvisto di firma digitale, gli si fa firmare il verbale telematico; b) ove il teste ne sia invece sprovvisto, le alternative protocollari sono: b1) il giudice stampa il verbale e raccoglie la sottoscrizione di pugno del teste; b2) con il consenso dei difensori, dichiara che il teste è impossibilitato a sottoscrivere facendone menzione nel verbale telematico (art. 126 cpc).

Osservazioni: Le soluzioni “telematiche” proposte dal protocollo non appaiono condivisibili. Quanto alla soluzione sub a), siccome il verbale telematico è redatto sulla consolle del magistrato, non si capisce come possa un terzo (nella specie, il teste) ivi apporre la propria firma digitale, per non parlare dei problemi di sicurezza legati all’uso di una chiavetta USB (potenziale portatrice di virus) nel computer del giudice; quanto alla soluzione sub b2), la norma dell’impossibilità a sottoscrivere è chiaramente inapplicabile alla fattispecie, tant’è vero che lo stesso protocollo richiede il consenso espresso e preventivo dei difensori all’applicazione della citata norma; tuttavia, il consenso degli avvocati ad applicare una norma inapplicabile (che si traduce alla rinuncia a far valere la nullità ex art. 157 co. 3 cpc) contrasta con il principio del corretto svolgimento del processo: il giudice dovrebbe evitare di compiere irregolarità ed atti nulli ancorché con il consenso delle parti. Se a ciò si aggiunge che, come detto, il verbale di causa non rientra tra gli atti che devono necessariamente farsi per via telematica, la forzatura processuale che precede appare ancora più aberrante, senza peraltro parlare del “retropensiero” che sta alla base della richiesta di consenso (rectius, di rinuncia alla nullità), ovverosia: “l’avvocato che si azzarda a non consentire, se ne pentirà in sentenza”, al pari di quanto sovente denunciano le Camere Penali con riferimento al consenso alla rinnovazione degli atti.

3) Il giuramento del CTU. Il protocollo prevede che, ove il CTU sia sprovvisto di firma digitale e non possa quindi sottoscrivere il verbale d’udienza telematico, il giudice si limita a darne atto a verbale.

Osservazioni: In proposito valgono le considerazioni già fatte con riferimento alla sottoscrizione del teste, con la precisazione che, nel caso del CTU (ed a differenza del teste), la sua firma non è espressamente e specificamente prevista dal codice di rito (che, è bene ricordarlo, occupa una posizione preminente rispetto alle varie regole tecniche e protocollari), sicché la mancata raccolta della sua firma appare stridere meno con la legge (la quale tuttavia, prevede comunque un generico obbligo di sottoscrizione da parte dei soggetti intervenuti in udienza ex art. 126 cpc).

4) La firma digitale del giudice. Il protocollo ricorda che la firma digitale del magistrato è un file esterno (meramente) associato al documento informatico sottoscritto, e quindi non presente nel file .pdf ma solo nei registri della Cancelleria.

Osservazioni: Tale rilievo conferma la tesi secondo cui, in difetto di specifica normazione, sarà difficile poter utilizzare direttamente il file allegato alle comunicazioni di cancelleria (ad es., ai fini della relativa notifica), giacché -quand’anche ritenuto “autentico” o comunque autenticabile (magari dallo stesso difensore)- sarebbe pur sempre un file privo di sottoscrizione del giudice.

5) I biglietti di cancelleria. Il protocollo ricorda che il biglietto di cancelleria inviato a mezzo pec deve contenere in allegato il testo integrale del provvedimento che si offre in comunicazione; in difetto, cioè ove l’allegato manchi, o non sia integrale, la parte ha diritto alla rimessione in termini (art. 153, co. 2, cpc).

Osservazioni: Nessuna.

6) Il deposito di atto principale in formato non consentito dalla specifiche tecniche. Secondo il protocollo, “non è consentito” il deposito di atto principale  in pdf immagine anziché pdf testuale.

Osservazioni: Il protocollo non chiarisce, in diritto, quid juris allorché l’atto sia stato depositato in formato “non consentito”, ovvero se il deposito stesso debba in tal caso ritenersi inammissibile, invalido, irrituale.

La citazione dei testimoni in proprio a mezzo PEC

Com’è noto, in ambito civile ((In ambito penale cfr. invece l’art. 152 cpp e 56 disp.att.cpp.)), l’avvocato può notificare l’atto di intimazione ai testimoni in proprio, cioè a mezzo raccomandata, Posta Elettronica Certificata o addirittura fax ((Artt. 250 cpc e 103 disp.att.cpc.)).

Limitando il presente esame alla modalità di notifica dell’atto a mezzo PEC, sebbene la norma parli di “notifica” ((Cfr. Art. 250 co. 3 cpc.)) si deve ritenere che non sia necessario osservare le formalità della notifica in proprio stabilite dalla L. n. 53/1994, che è legge speciale eccezionale quindi non applicabile neppure per analogia a casi diversi da quelli espressamente disciplinati ((Art. 14 preleggi.)).

Se così è (ed in questi anni non si è mai dubitato che lo sia), da quanto sopra consegue che tale intimazione in proprio a mezzo PEC:
1) non presuppone alcuna autorizzazione da parte del COA;
2) non abbisogna di una relata di notifica in senso stretto;
3) non richiede che le due PEC (cioè quella dell’avvocato mittente e quella del teste destinatario) risultino necessariamente da un elenco pubblico.
4) non richiede la certificazione di conformità prevista dall’art. 9, co. 1 bis, L. 53/1994, che -come detto- non si applica alla fattispecie.

A quest’ultimo proposito, inoltre, poiché la legge richiede l’attestazione di conformità all’originale con esclusivo riferimento alle intimazioni notificate a mezzo raccomandata cartacea ((Art. 250, co. 4, cpc.)), tale formalità -proprio in quanto non prevista (né ammessa ((Si ricorda che l’avvocato non ha poteri certificatori generali, sicché una sifatta autentica, apposta in difetto di Legge, se non inefficace potrebbe addirittura essere illecita.))) dalla legge- non appare quindi necessaria (né possibile ((Si veda nota precedente.))) per la notifica effettuata a mezzo PEC.
In defintiva, nel caso di intimazione a teste “notificata” a mezzo PEC, l’attestazione di conformità all’originale non è necessaria:
– né nel caso di deposito in cancelleria in formato cartaceo, giacché l’art. 250 cpc la dispone per le sole notifiche a mezzo raccomandata
– né nel caso di deposito in cancelleria tramite PCT ((((In arg. cfr. l’art. 13, Provvedimento DGSIA 16 aprile 2014, in vigore dal 15/5/2014.))., giacché la legge sulle notifiche in proprio (quand’anche si applicasse) la dispone per le sole notifiche depositate in formato cartaceo.

Tale differente trattamento tra le intimazioni cartacee e quelle digitali si giustifica perché, nel caso della raccomandata, l’originale (cartaceo) è quello spedito al teste destinatario, mentre l’avvocato mittente ne ha appunto una copia; invece, nel caso di invio a mezzo PEC, il file dell’intimazione che il teste ha ricevuto è originale quanto quello che l’avvocato mittente ha nel proporio computer, ditalché non può tecnicamente parlarsi di copia e di originale e, conseguentemente, di attestazione di conformità della prima rispetto alla seconda.