La spending review di COA e CDD

Ciascuno dei 165 Consigli degli Ordini degli Avvocati avvia ogni anno decine di procedimenti disciplinari a carico dei propri iscritti, a ciascuno dei quali notifica, oltre all’eventuale (perché meramente facoltativo ((Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Merli), sentenza del 21 ottobre 2013, n. 197; Cassazione Civile, sentenza del 09 marzo 2005, n. 5072, sez. U- Pres. Carbone V- Rel. Altieri E- P.M. Martone A (Conf.).))) ‘avvio del procedimento’, anche il capo di incolpazione e quindi la citazione a comparire nonché infine la relativa decisione ((Art. 37, 45 e 50 RDL n. 1578/1933; art. 48 RD n. 37/1934.)).

A parte le prime due comunicazioni (avvio del procedimento e capo di incolpazione), che vengono tradizionalmente effettuate tramite raccomandata (trattandosi ancora di mera fase pre-istruttoria), con riferimento alle altre due notifiche (citazione e decisione), sebbene il RDL n. 1578/1933 non ne specifichi le modalità (ed ammettendosi quindi che esse possano anche avvenire a mezzo raccomandata postale) ((Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. ALPA, rel. ORSONI), sentenza del 16 dicembre 2004, n. 307.)), generalmente (e prudenzialmente) si preferisce effettuarle tramite ufficiali giudiziari.

Ebbene, secondo gli ultimi dati disponibili, i procedimenti disciplinari avviati ogni anno ammontano complessivamente a circa 4000 unità (la media è di 25 procedimenti all’anno per COA). Secondo stime prudenziali (che non tengono ad esempio conto dei procedimenti con più incolpati, per i quali sono necessarie comunicazioni e notificazioni doppie, triple e quadruple, cioè una per ogni incolpato), ciò significa che, solo nell’ambito del procedimento disciplinare, e quindi escluse tutte le altre numerose attività amministrative espletate dai COA territoriali, ogni anno i COA inviano circa 4000 raccomandate a.r. (di avvio procedimento e capo di incolpazione) ed almeno 8000 notifiche a mezzo ufficiali giudiziari (di citazioni a comparire e di decisioni).
In soldoni, ciò comporta un costo annuo complessivo di oltre 100.000 euro (circa € 15.000 per raccomandate e circa € 90.000 per spese di notifica).

Tali numeri, ovviamente, non sono destinati a diminuire dal 01/01/2015, giacché l’introduzione dei Consigli Distrettuali di Disciplina (così come la riduzione del numero dei COA, da 165 a 132, in concomitanza con la c.d. nuova geografia giudiziaria), di per sè non riduce certo il numero delle infrazioni deontologicamente rilevanti e quindi i conseguenti procedimenti disciplinari, né quello delle relative formalità ‘comunicative’ e ‘notificatorie’ in fase preistruttoria e procedimentale in senso stretto ((Cfr. art. 50 e 51 L. n. 247/2012.)), che semmai aumenteranno alla luce delle esigenze logistiche degli enti -circondariale e distrettuale- coinvolti ((In arg. cfr., ad esempio, l’art. 11 del Regolamento CNF 21 febbraio 2014, n. 2 sul Procedimento disciplinare)), sicché occorre chiedersi, anche in un’ottica di spending review, ma soprattutto di maggior efficienza del sistema, se per detti enti sia possibile risparmiare circa 100 mila euro l’anno in comunicazioni/notifiche e, se sì, come.

Ebbene, come acutamente rilevato dai colleghi Mauro Ferrando e Riccardo Maoli del Foro di Genova, la risposta al suddetto quesito discende da questo elementare sillogismo giuridico:
– l’invio di PEC da parte delle pubbliche amministrazioni equivale in tutto e per tutto, salvo eccezioni espressamente previste, ad una vera e propria notificazione a mezzo posta ex L. n. 890/1982 ((Art. 48 CAD – D.Lgs. n. 82/2005.));
– i COA ed i CDD sono pubbliche amministrazioni ((Art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001; Art. 24, co. 3, legge n. 247/2012.));
– ergo, i COA e i CDD possono effettuare le proprie notifiche semplicemente mediante l’invio di PEC, senza peraltro osservare le formalità di cui alla L. 53/1994 sulle notifiche in proprio anche a mezzo PEC (la quale legge, infatti, non è applicabile, neppure analogicamente o estensivamente, a soggetti diversi dai singoli avvocati, cui soltanto si rivolge), e ovviamente con allegato l’atto da notificare firmato digitalmente dal presidente e dal segretario (((In arg. cfr. Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. SALAZAR – Rel. SICA), sentenza del 30 aprile 2012, n. 82; il principio vale anche per le sentenze del CNF: in arg. cfr. Cassazione Civile, SSUU, sentenza del 10 gennaio 2003, n. 257.)), fermo restando che la mancata firma dell’atto notificato non è comunque causa di nullità ((Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. CRICRI’, rel. PEFETTI), sentenza del 8 novembre 2007, n. 172. Sulla necessità di ammettere che gli enti collettivi possano avere un firma digitale propria, rinvio alle ultime due righe di questo mio articolo.)).

In buona sostanza, poiché gli avvocati sono tutti dotati di PEC ((In arg. cfr. questo mio articolo.)), il risparmio dei suddetti 100.000 euro l’anno sarebbe praticamente un dato di fatto.

A tale impostazione, infine, non pare essere di ostacolo neppure il nuovo ordinamento forense, secondo cui la notifica della citazione a giudizio deve farsi “a mezzo dell’ufficiale giudiziario” ((Art. 59, co. 2, lett. d), L. n. 247/2012.)), giacché tale espressa modalità, ovunque indicata, non costituisce mai l’unica ammissibile ((In arg. cfr., per tutte, Cassazione civile, sez. lav., 02/10/2008, n. 24418.)).

Pagamento telematico delle marche: istruzioni operative

In allegato, le istruzioni per il pagamento telematico delle marche per il rilascio delle copie.

Invio ‘telematico’ delle quietanze di pagamento F23

L’agenzia delle entrate di Modena precisa quanto segue:

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SI INVITANO GLI AVVOCATI E TUTTI COLORO CHE EFFETTUANO I PAGAMENTI AD UTILIZZARE IN VIA PRINCIPALE LA CASELLA DI POSTA DELL’UFFICIO (sotto riportata)  PER L’INVIO DEGLI ATTESTATI DI PAGAMENTO, E SOLO QUANDO CIO’ NON E POSSIBILE,  ALL’USO DEL FAX, IL CUI NUMERO CORRETTO E’ 059/8393060.

CORDIALI SALUTI

 DP.MODENA.UTMODENA@AGENZIAENTRATE.IT

DP.MODENA@PCE.AGENZIAENTRATE.IT

IL DIRETTORE DELL’UFFICIO

Dott. Ettore Nunziatini

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Notifica a mezzo PEC: l’avvocato deve firmare l’atto cartaceo altrui?

Prendendo spunto da una interessante discussione su twitter, a futura memoria è forse il caso di riassumere anche in questa sede, cioè senza i limiti dei 140 caratteri, la questione ivi trattata, che ruota tutta intorno alla seguente domanda:

nella notifica in proprio a mezzo pec, l’avvocato deve apporre la propria firma digitale ai provvedimenti altrui digitalizzati (ad es., una sentenza cartacea poi scanerizzata ai fini della notifica)?

Il quesito si pone stante l’art. 22 co. 1 CAD, rubricato “Copie informatiche di documenti analogici”, secondo cui:

1. I documenti informatici contenenti copia di atti pubblici, scritture private e documenti in genere, compresi gli atti e documenti amministrativi di ogni tipo formati in origine su supporto analogico, spediti o rilasciati dai depositari pubblici autorizzati e dai pubblici ufficiali, hanno piena efficacia, ai sensi degli articoli 2714 e 2715 del codice civile, se ad essi e’ apposta o associata, da parte di colui che li spedisce o rilascia, una firma digitale o altra firma elettronica qualificata. La loro esibizione e produzione sostituisce quella dell’originale.

In altri termini, il comma 1 dell’art. 22 CAD si applica o no alle notifiche in proprio a mezzo PEC?

Fermo restando, ovviamente, il c.d. principio del minimax, secondo cui “una firma in più non costa nulla”, la risposta affermativa alla suddetta domanda, che si basasse su mere ragioni tuzioristiche e prudenziali soddisferebbe ampiamente il pratico ma non appagherebbe del tutto il teorico, il quale non vuol tanto sapere se quella firma in più “costa”, ma piuttosto se è giuridicamente obbligatoria oppure no.

Ebbene, (a mio avviso) non lo è.
E ciò, perché la legge (art. 3bis co. 2 L. n. 53/1994 e art. 18, co. 4, DM n. 44/2011) nello stabilire come si notifica un atto analogico (cioè non informatico nativo, ovvero un documento cartaceo), dispone che l’avvocato ne deve estrarre copia informatica per immagine (tradotto: lo scannerizza), e quindi “compie l’asseverazione prevista dall’articolo 22, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, inserendo la dichiarazione di conformità all’originale nella relazione di notificazione, a norma dell’articolo 3-bis, comma 5, della legge 21 gennaio 1994, n. 53”.

La legge stessa, pertanto, espressamente stabilisce le modalità dell’asseverazione con dichiarazione da farsi “nella relazione di notificazione”, all’uopo limitandosi a richiamare il comma 2 (e non anche il comma 1 cit.) dell’art. 22 CAD, secondo cui:

2. Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono estratte, se la loro conformita’ e’ attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a cio’ autorizzato, con dichiarazione allegata al documento informatico e asseverata secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71.

Ciò, per quanto concerne la lettera della legge.
A tale conclusione, peraltro, si perviene anche avuto riguardo sia alla ratio della legge stessa (che intende infatti attribuire certezza alle notifiche effettuate dagli avvocati, ed all’uopo non è necessario che gli stessi firmino i provvedimenti altrui come ad esempio le sentenze, di cui non intendono ovviamente assumere alcuna paternità), sia all’evoluzione storica della norma (l’art. 18 DM 44/2011 cit. infatti prevedeva ma non prevede più una tale formalità di firma).

Insomma, secondo una interpretazione tanto letterale, quanto teleologica e storica della normativa in parola, l’asseverazione, cioè la dichiarazione di conformità relativa all’atto cartaceo altrui contenuta nella relata di notifica, è requisito necessario e sufficiente alla notifica a mezzo PEC di un documento nato analogico, sicché alla domanda di cui sopra deve a mio avviso darsi risposta negativa.

Firma digitale: il duplicato di sicurezza

Quando entrerà in vigore l’obbligatorietà del pct (binario unico), perdere o rompere la chiavetta della firma digitale significa non poter fare depositi nei termini (l’autorizzazione del giudice al deposito cartaceo, che deve precedere il deposito stesso, potrebbe infatti non arrivare in tempo).

È quindi caldamente consigliabile munirsi di un duplicato della chiavetta: a tal fine, nel dubbio che il certificato digitale non consentisse il rilascio di un doppione, ho personalmente contattato il gestore dal quale ho acquistato il dispositivo di firma (nel mio caso, Lextel), il quale mi ha confermato che il rilascio del duplicato è tecnicamente possibile.

Parcelle & Precetti: foglio di calcolo

Il file excel in attach consente:

– AL FOGLIO 1:
di calcolare gli “accessori” di legge (quindi: Cassa al 4%, IVA al 22% e Ritenuta d’acconto al 20%), sia aggiungendoli ad un imponibile di partenza, sia a ritroso cioè partendo da un totale (calcolo utile, quest’ultimo, nel caso in cui il cliente paghi un acconto “tondo” a forfait che POI bisogna fatturare mediante SCORPORO delle singole componenti). Tali calcoli vengono effettuati con e senza ritenuta d’acconto, nonché con e senza IVA (per i c.d. contribuenti minimi, appunto esenti IVA).

– AL FOGLIO 2:
di calcolare gli importi da precettare: in particolare, una volta inserito il capitale, gli interessi e il compenso, su quest’ultimo il foglio calcola automaticamente gli accessori (cpa, iva, ecc.) che poi somma ai primi due e alle eventuali spese esenti. Nella impostazione di tale foglio ho cercato di tenere conto della nota Giurisprudenza che, in determinate ipotesi, esclude la precettabilità dell’IVA.

Il file è in formato “modello”, per evitare che l’utente sovrascriva inavvertitamente le formule delle celle ad ogni uso del foglio di calcolo (che chiederà appunto di salvare le modifiche con un NUOVO file).

Per scaricare il file, cliccare QUI.

[video] La notifica in proprio a mezzo PEC

Per ragioni tecniche, le istruzioni testuali contenute nelle annotazioni a video non risultano visibili da iPad.

E’ possibile migliorare la risoluzione del video (fino ad HD), cliccando sulla rotellina dell’ingranaggio che compare in basso a destra nel video stesso dopo aver premuto play.

Avvocati extra districtum e (asserito) obbligo di notifica a mezzo PEC

Com’è noto, gli avvocati possono esercitare la professione anche al di fuori della circoscrizione del tribunale presso cui ha sede l’Ordine professionale che custodisce l’albo in cui sono iscritti ((Art. 2, co. 3, L. n. 247/2012, già art. 4 RDL n. 1578/1933.)), ma, qualora esercitino extra districtum, devono eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso; in mancanza, il loro domicilio si intende eletto presso la Cancelleria (art. 82 RD n. 37/1934), con la conseguenza che ivi possono (e non già devono ((Cass. nn. 9225/2005, 12064/1995.))) essergli fatte tutte le comunicazioni e notificazioni di causa ((Tale norma è stata ritenuta costituzionalmente legittima dalla Consulta con pronuncia n. 5/2007.)).

Com’è altrettanto noto, il novellato codice di procedura civile prevede ora che l’avvocato debba dichiarare in giudizio la propria PEC (art. 125 cpc), alla quale possono farsi le comunicazioni e notificazioni di causa (art. 149 bis cpc).

Alla luce di tale quadro normativo, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 10143/2012 (cui hanno poi aderito –acriticamente– Cassazione sentenza n. 26696 del 28 novembre 2013, Cassazione, sentenza 7 maggio 2014 n. 9876, nonché la Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 687/2014), ha affermato che “l’art. 82 RD n. 37/1934, tuttora vigente e non abrogato neppure per implicito, si applica solo se il difensore non abbia indicato la propria PEC ex art. 125 cpc”.
In altri termini, secondo la Corte, se l’avvocato extra districtum ha indicato la PEC, allora tutte le comunicazioni e notificazioni di causa devono essergli fatte a quell’indirizzo e non in Cancelleria.

Tale principio di diritto, seppur ispirato da intenzioni condivisibili, è ovviamente infondato, ove lo si intenda applicare non solo alle Cancellerie ma anche agli avvocati per le notifiche da effettuarsi tra loro (ad es., opposizione a decreto ingiuntivo, notifica della sentenza ai fini del decorso del termine breve, ecc.).
Anzitutto, l’art. 149 bis cpc stabilisce una mera facoltà e non un obbligo di notifica a mezzo PEC, quindi è arbitrario ed antiletterale estendere a tale norma l’obbligo -del tutto diverso- di indicare la PEC nei propri atti ex art. art. 125 cpc. Insomma, in difetto di una norma di legge che imponga un siffatto obbligo, ma anzi con una norma -l’art. 149 bis cpc- che espressamente lo esclude, il principio affermato dalla citata “giurisprudenza creativa” non appare condivisibile.
In secondo luogo, non tutti gli avvocati hanno l’abilitazione alle notifiche in proprio a mezzo PEC ((Di fronte al problema creato da tale giurisprudenza, nel corso dell’evento “I Fori fanno Rete” del 24/5/2014, organizzato da CNF e Cassa Forense, si è ritenuto opportuno suggerire, quantomeno, che tutti gli avvocati siano abilitati ex lege alle notifiche in proprio, cioè senza bisogno di essere previamente autorizzati dal COA di appartenenza.)), per le quali è prevista una speciale autorizzazione da parte del COA di appartenenza, la quale non è rilasciabile né in tempi brevi né a tutti (non possono ottenerla, ad esempio, gli avvocati sotto procedimento disciplinare o già sanzionati con la sospensione seppur già scontata). Se così è -ed è così senz’altro- l’obbligo di notifica a mezzo PEC “creato” dalla citata Cassazione renderebbe impossibile proporre, ad esempio, opposizione ad un decreto ingiuntivo entro i termini, perché insufficienti ad ottenere l’autorizzazione alle notifica via PEC (sempreché l’avvocato dell’opponente possa oggettivamente ottenerla). Né, del resto, sarebbe possibile ovviare a tale inconveniente notificando a mezzo PEC tramite Ufficiali Giudiziari, i quali non sono ancora pronti ed attrezzati a notificare a mezzo PEC (e hanno limiti di competenza territoriale, quindi l’avvocato dell’opponente non può scegliersi gli ufficiali giudiziari che in Italia fossero già pronti a tale notifica).

In buona sostanza, la notifica a mezzo PEC è e rimane una forma facoltativa di notifica (art. 149 bis cpc), e non può certo diventare obbligatoria, peraltro ad insindacabile giudizio dell’avvocato di controparte che, agendo extra districtum, (appositamente) non elegga domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria. Infatti, come si è affermato con buon senso, “La normativa in tema di processo civile telematico non ha abrogato la figura del domiciliatario, né ha stabilito l’esclusività delle notificazioni e comunicazioni al difensore dotato di indirizzo PEC se anche il domiciliatario ne sia dotato, e ciò a prescindere da quale PEC sia indicata negli atti di parte, stante la possibilità per la Cancelleria di accedere al REGINDE” ((Tribunale di Modena (pres. e rel. Rovatti A.), decreto del 19 settembre 2013)).

Auspico pertanto che la citata Cassazione (non trovi ulteriore seguito e) riveda al più presto il suddetto principio di diritto, nel contempo evitando, per quanto possibile, di introdurre obblighi non previsti dalla legge, pur comprendendo nella specie il suo “disagio nel continuare a fare applicazione di una norma processuale datata perché risalente negli anni”, norma alla quale tuttavia -se vige ancora il principio della separazione dei poteri- la magistratura stessa è comunque, suo malgrado, sottoposta (art. 102 Cost.).

Il “deposito” degli atti di causa mediante notifica telematica all’avversario?

Ho letto con molto interesse questo articolo, secondo cui il deposito delle memorie di causa potrebbe effettuarsi mediante notifica degli atti stessi alla controparte, e precisamente:

l’avvocato autorizzato alle notifiche in proprio potrà semplicemente notificare la memoria via PEC al collega di controparte a norma dell’art. 170 c.p.c. ultimo comma per poi depositare in tutta tranquillità “il cartaceo” alla prima occasione (magari in udienza).

A mio modesto avviso, tuttavia, la tesi non può essere (purtroppo) condivisa.

L’art. 170 cpc, infatti, si riferisce espressamente alle “notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento” (che devono farsi al procuratore costituito, eventualmente mediante notifica), e non anche al deposito degli atti di parte in corso di causa, che deve pur sempre effettuarsi in cancelleria e deve appunto trattarsi di un “deposito” (cfr. artt. 183 co. 6, 190 co. 1 cpc) entro ben precisi termini.

Si tratta quindi di attività distinte (cfr. art. 87 disp.att.cpc) ed aventi peraltro finalità diverse: una è il deposito dell’atto in Cancelleria; l’altra è la comunicazione del deposito stesso alla controparte (che, ex art. 170 cpc, si fa generalmente mediante il deposito in cancelleria di una copia ulteriore, di solito denominata “copia scambio”, “copia per collega avversario” ecc., oppure -ma molto più raramente perché antieconomico prima della PEC- attraverso la notifica).

In altri termini, se è vero che la comunicazione all’avversario può farsi mediante deposito in Cancelleria (o notifica), non vale però l’inverso, cioè il deposito dell’atto in Cancelleria non può farsi mediante la mera comunicazione dell’atto stesso all’avversario.

In definitiva, ritengo che la notifica (tradizionale o telematica) delle memorie di causa al collega avversario non sia equiparabile al deposito dell’atto stesso in cancelleria, ed è quindi attività non idonea all’osservanza dei termini processuali previsti a pena di decadenza.

Software: contratto avvocato/cliente

L’Unione Triveneta degli Avvocati ne ha fatta un’altra delle sue…

Dopo il programma Antiriciclaggio per avvocati, ha rilasciato un altro software (multipiattaforma windows-linux-mac), che consente di predisporre con pochi clic il contratto tra avvocato e cliente, scaricabile (gratuitamente)  da qui e con tanto di istruzioni video su youtube.

Eccezionale.

Adde:
il software in questione ha anche l’upgrade automatico, che all’avvio del programma controlla in background ed installa eventuali nuove versioni:triveneto