Gli ordini e i collegi professionali: le competenze principali e secondarie.

Indice:

Introduzione
§ 1: La funzione di custodia dell’albo
§ 2: La potestà normativa. I c.d. codici deontologici
§ 3: Il potere disciplinare
§ 4: Il potere tariffario
§ 4.1: L’efficacia delle tariffe professionali
§ 5: Il potere tributario
§ 6: Le funzioni secondarie

* * *

Introduzione.

Gli Ordini e i Collegi professionali sono enti autarchici[1] istituiti per legge e dotati di personalità giuridica di diritto pubblico[2], che – in virtù di previsioni legislative che prevedono come obbligatoria l’appartenenza ad essi ai fini dell’esercizio di una certa attività lavorativa – riuniscono in forma associativa gli esercenti le rispettive professioni[3].

A tale riguardo il codice civile, dopo aver stabilito nell’articolo 2229 che “la legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi”, precisa nel successivo articolo 2231 che l’iscrizione nell’albo è tanto essenziale ai fini dell’esercizio della professione che, in mancanza, la prestazione professionale eseguita “da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione”. Rilevante al riguardo è anche quanto dispone il codice penale, che all’art. 348 prevede il reato di “esercizio abusivo di una professione” per la quale sia richiesta una speciale abilitazione rilasciata da un organo dello Stato.

Pertanto, con i termini “Ordine professionale” e “Collegio professionale” si indica un insieme di professionisti iscritti in un albo e raggruppati in una associazione entificata, i quali svolgono professionalmente una medesima attività lavorativa intellettuale.

Interessante è notare che, dal punto di vista concettuale, l’unica differenza tra “Ordine” e “Collegio” trova origine nella disposizione dell’art. 1 del R.D.L. 1924 n. 103, il quale prevede un diverso requisito di corrispondente appartenenza, relativo al diverso livello di formazione scolastica richiesto: negli Ordini rientrano le professioni per il cui esercizio è necessario il diploma di laurea, mentre nei Collegi quelle richiedenti il diploma di istituti superiori. Comunque, tale ripartizione non è sempre rispettata dal legislatore, il quale, in evidente deroga alla suesposta previsione, dispone che i notai siano organizzati in Collegi (nonostante che per l’esercizio della professione sia necessaria la laurea in giurisprudenza) ed i giornalisti in Ordini (nonostante che per l’esercizio della professione non sia veramente obbligatorio alcun titolo di studio: infatti, al titolo di studio di licenza di scuola media superiore, previsto dall’art. 16 del R.D. 26 febbraio 1928, n. 384, si può ovviare – per esplicita previsione dello stesso Regio Decreto – con “titoli culturali, anche non scolastici, giudicati equipollenti dal Comitato chiamato a provvedere sulla domanda di iscrizione”).

Per concludere questa parte relativa agli enti professionali in generale, deve dirsi che essi hanno, generalmente, una dislocazione territoriale prevista su base provinciale, essendo stabilito nelle relative leggi professionali che vi sia un Ordine o Collegio per ogni provincia[4]. Tuttavia, tale assetto territoriale può variare sensibilmente per diverse ragioni. Infatti, può essere disposto che un Ordine o Collegio abbia per circoscrizione due o più province limitrofe[5] o addirittura un’intera regione[6] [7].

§1 La funzione di custodia dell’albo

Tra le funzioni più importanti degli enti professionali, vi è la custodia (o tenuta) degli albi[8].

Tocca infatti ai Consigli degli Ordini e dei Collegi provvedere alla compilazione, conservazione, aggiornamento e pubblicazione degli albi, alla loro comunicazione alle pubbliche autorità indicate dalle leggi (Procuratore della Repubblica presso il Tribunale della circoscrizione, Procuratore Generale della Corte d’Appello del distretto, Prefetto, Camera di commercio, a seconda dei casi)[9].

Questa è la funzione fondamentale a carattere pubblicistico che esercitano gli Ordini o Collegi professionali, anzi l’esistenza di questi è strettamente legata all’esistenza dell’albo, mentre è possibile avere degli albi senza il rispettivo Ordine[10].

§2 La potestà normativa. I c.d. Codici Deontologici

Gli enti professionali, essendo autonomi, godono di un potere regolamentare che ha innanzitutto per oggetto la loro autorganizzazione, cioè la disciplina interna dell’ente, nonché la fissazione di norme indicative di condotta (c.d. “norme deontologiche”), la cui violazione da parte degli iscritti può dar luogo alla irrogazione di sanzioni disciplinari[11].

Le norme deontologiche[12] sono in gran parte norme non scritte, che vivono consuetudinariamente, o che comunque sono desumibili, ad opera di chi deve applicarle (oltre che di chi deve osservarle), dalla opinio dominans in seno alla categoria[13].

A questo sistema di regole dal contenuto prevalentemente etico e che ha origine in antichi usi e costumi professionali i liberi professionisti debbono conformarsi per non incorrere nelle previste (da parte delle varie leggi professionali) sanzioni disciplinari. Si tratta di norme di condotta, inserite in codici deontologici, o più frequentemente di disposizioni regolamentari interne. Tali principi hanno un contenuto molto ampio ed elastico, per cui agli stessi possono essere date le più varie interpretazioni[14].

Principi generali deontologici sono quelli della correttezza, della colleganza, della riservatezza e della conservazione del segreto professionale, dell’informativa, del disinteresse[15].

Il principio di correttezza professionale è forse quello di contenuto più ampio fra i principi deontologici. Inteso in senso lato, li comprende tutti e si riferisce a qualunque comportamento non meramente tecnico tenuto dal professionista nei riguardi del cliente, dei colleghi e dei terzi, in quanto sia in qualche modo riconducibile all’esercizio professionale.

Il principio di colleganza si può considerare un aspetto particolare di quello di correttezza in quanto lo si riferisce solamente ai rapporti fra colleghi di una stessa categoria professionale.

Il principio di riservatezza non si esaurisce nel mantenimento del segreto professionale (che pure ne è cospicua manifestazione), in quanto assume, dal punto di vista deontologico, un contenuto assai vasto che deborda spesso dalle obbligazioni di natura contrattuale e dai doveri sanzionati penalmente.

Il principio di informativa non ha esclusivamente carattere deontologico, in quanto ha grande importanza anche sul piano giuridico in relazione alle obbligazioni che discendono dal contratto d’opera intellettuale. Esso consiste nel dover tenere informato il cliente delle vicende della pratica professionale e di tutto quanto comunque vi può far riferimento. Destinatario dell’informativa è il cliente, ma nel settore della professione medica anche i familiari del paziente devono essere informati nei casi di maggior gravità. Doveri affini dal punto di vista deontologico sono ritenuti quelli di consigliare, di persuadere, di istruire, ovviamente con riferimento esclusivo all’interesse del cliente e in vista della sua più efficiente tutela.

Il principio del disinteresse implica che il professionista deve considerare e tutelare gli interessi individuali del cliente in posizione di distacco, nel senso che non deve farli propri, nonostante che egli sia spesso spinto ad immedesimarvisi, vuoi a causa del suo temperamento personale, vuoi per captare la fiducia e la benevolenza del cliente. Si deve, infatti, evitare una emotiva partecipazione del professionista agli interessi del cliente, se no si corre il rischio di mancanza di obiettività nella prestazione. Pertanto, il c.d. principio del disinteresse va considerato sotto due profili: quello di
dover anteporre l’interesse del cliente all’interesse personale del professionista e quello di dover assumere una posizione obiettiva di valutazione dell’interesse del cliente e dei suoi problemi a prescindere da valutazioni partigiane[16].

§ 2.1 L’efficacia delle norme deontologiche

Sul terreno della deontologia professionale si incontrano e si intrecciano l’ordinamento professionale e quello giuridico generale.

Il legislatore, infatti, avendo conferito agli enti professionali il compito di vigilare sulla condotta degli iscritti e di tutelare il decoro e l’indipendenza della professione, ha fatto implicito rinvio a principi e regole della deontologia professionale attraverso il riferimento a concetti (di per sé insufficienti per eccessiva elasticità e imprecisione), che ha indicato nelle leggi professionali con i termini: decoro, prestigio della professione, correttezza, abusi e mancanze nell’esercizio professionale e simili[17]. Queste espressioni, ripetute più o meno pedissequamente in tutte le leggi professionali, fanno riferimento a concetti astratti di elastico contenuto e suscettibili di disparate interpretazioni: l’abuso, la mancanza (ai doveri professionali), la dignità, il decoro, la reputazione, sono concetti che ricevono un più concreto significato solo se interpretati alla luce delle regole di deontologia professionale codificate dagli enti professionali o comunque vigenti nella comunità professionale come fonti normative non scritte, o tradotte in norme interne specifiche e di dettaglio, cioè in strumenti che permettono una valutazione in concreto del comportamento professionale o privato che si vuole punire con le sanzioni disciplinari[18].

Il legislatore, infatti, si è limitato a dare delle indicazioni generiche, che sarebbero di per se stesse di troppo ardua applicazione se non fossero integrate dalle regole deontologiche e dalla specifica normazione interna dell’ente professionale, la quale svolge pertanto la funzione di integrare la legislazione statuale nei punti in cui questa è lacunosa o insufficiente[19].

Va da sé che i precetti professionali, quale che ne sia il valore giuridico, non sono applicabili se contrastano con le norme statuali e che in queste ultime possono ritrovarsi dei principi generali in materia[20].

È discusso in dottrina se le norme deontologiche abbiano l’efficacia di vere e proprie norme giuridiche, ovvero siano delle norme interne al gruppo professionale prodotte dallo stesso in via autonoma.

Alcuni ritengono, infatti, che l’ente professionale non sarebbe titolare di una potestà normativa con efficacia giuridica esterna, perché nell’ordinamento statuale manca un conferimento esplicito in tal senso. Di conseguenza, secondo questa impostazione, i codici di deontologia professionale, pur se indubbiamente ammissibili nel nostro ordinamento, non avrebbero valore precettivo: il professionista, non meno degli organi esponenziali della categoria, sarebbe dunque tenuto ad osservarli soltanto in quanto conformi alle convinzioni morali del gruppo, vigenti in un certo momento[21].

Altri negano, invece, che il potere in oggetto sarebbe solo di accertamento e documentazione[22], in quanto le norme deontologiche si connoterebbero per essere norme intrinsicamente giuridiche e quindi obbligatorie per i professionisti, anche indipendentemente dalla rilevanza che rivestono nell’ordinamento statuale[23].

Secondo questa diversa opinione dottrinale, quindi, l’attività normativa dei gruppi professionali, anche se di natura extragiuridica, sarebbe rilevante anche per l’ordinamento giuridico statuale: si pensi alla irrogazione di alcune sanzioni disciplinari previste dai regolamenti interni professionali (la sospensione dall’esercizio professionale, la radiazione, la destituzione), le quali incidono sull’esercizio di un diritto soggettivo del cittadino (nel caso, al professionista iscritto viene sospeso o soppresso l’esercizio del diritto a lavorare nel settore di sua competenza). In sostanza, l’autonomia dell’ente professionale sarebbe esercitabile in vario modo, e cioè, oltre che con la raccolta e la codificazione di regole tradizionali di comportamento (a prescindere dalla formulazione del loro contenuto: criteri di massima, direttive generali, norme specifiche e di dettaglio), anche con la prefissazione di norme dirette a regolare nuove esigenze dell’esercizio professionale o nuove vicende del rapporto intersoggettivo col cliente e in relazione alle mutate condizioni di rapporti e dell’ambiente economico-sociale. In ogni caso, destinatari dei regolamenti professionali sono solamente i professionisti iscritti nell’albo e fintanto che dura l’iscrizione. Inoltre, le disposizioni contenute nei regolamenti predetti devono essere in armonia non solo con i fini istituzionali dell’ente, ma anche con i principi generali dell’ordinamento giuridico e quindi, nel disciplinare le vicende professionali, non potranno mai ledere in concreto l’esercizio del diritto alla libera esplicazione dell’attività dei professionisti, che è un diritto di libertà costituzionalmente garantito, ma sarà lecito introdurre delle ragionevoli limitazioni nell’interesse settoriale e generale che non lo menomino nella sua sostanza[24].

§3 Il potere disciplinare

Il potere disciplinare è forse il più importante fra i poteri attribuiti agli enti professionali per il raggiungimento dei loro fini istituzionali, cioè la tutela del decoro e dell’indipendenza della professione.

Attraverso tale potere, infatti, il Consiglio dell’Ordine o Collegio controlla l’operato del professionista alla stregua delle norme giuridiche e deontologiche al fine di assicurare il corretto esercizio della professione[25].

Per attribuire detto potere agli enti professionali il legislatore ha adottato formule svariate. A volte ha statuito esplicitamente che il Consiglio esercita il potere disciplinare[26], più spesso che il Consiglio prende (o adotta, o delibera) i provvedimenti disciplinari[27]. Tuttavia, a prescindere dal significato delle diverse espressioni usate dal legislatore nelle leggi professionali (ed anche se il legislatore avesse addirittura taciuto al riguardo), agli enti professionali un siffatto potere spetta in quanto strumentale per la realizzazione dei propri fini istituzionali[28].

In sostanza, gli enti professionali hanno il compito di vigilare sul decoro della professione e conseguentemente di intervenire esercitando il potere disciplinare, affinché i professionisti interessati si adeguino alle regole di comportamento[29].

Prima di passare oltre, è necessario stabilire i confini di tale potere.

A questo riguardo, bisogna anzitutto precisare che destinatari del potere disciplinare sono esclusivamente gli iscritti nell’albo. In altri termini, i provvedimenti punitivi disciplinari colpiscono il singolo soltanto in quanto appartenente a quella particolare collettività, perché mirano a far valere solo l’osservanza dei doveri specifici che il singolo stesso ha nei confronti di quest’ultima.

In secondo luogo, esso investe sia il comportamento del professionista, che si esplica nell’esercizio della professione, sia certi aspetti della vita privata del professionista a condizione che essi incidano, secondo una valutazione non sempre facile, sulla reputazione personale, in modo da compromettere la dignità della professione e il prestigio della categoria professionale[30]. E proprio questa particolare incidenza è il limite entro il quale si può esercitare il potere disciplinare relativamente alla valutazione della condotta privata del professionista[31].

A tal proposito è utile citare quanto previsto nell’ordinamento notarile, all’art. 147 della legge 16 febbraio 1913, n. 89: «il notaio che in qualunque modo comprometta con la sua condotta nella vita pubblica e privata la sua dignità e reputazione e il decoro e prestigio della classe notarile
, è punito, ecc.».

In buona sostanza l’iscritto, che si renda colpevole di azioni poco corrette, attenta al decoro ed alla dignità professionali, ancorché tali azioni non siano compiute nell’esercizio della professione ma in ambito privato[32].

Un interrogativo su cui è necessario soffermare la nostra attenzione è se l’esercizio del potere disciplinare sia lasciato o meno alla discrezionalità degli enti professionali.

A questo riguardo può essere utile citare la sentenza della Cassazione civile[33], secondo cui: “L’accertamento di una mancanza disciplinare nei confronti di un notaio attribuisce al Consiglio notarile, preposto al relativo giudizio, non la facoltà discrezionale, ma il dovere di punire il trasgressore, non esistendo nella legge notarile alcuna disposizione da cui si possa desumere che al Consiglio notarile sia attribuita la facoltà discrezionale di applicare ai notai le pene disciplinari di sua competenza”[34] [35].

In relazione alle finalità per cui è stato attribuito il potere disciplinare (l’indipendenza della professione e l’esercizio della stessa secondo i principi di correttezza e di dignità professionale, anche alla stregua di criteri deontologici) e alle quali è riconosciuto carattere pubblicistico, l’esercizio del detto potere è vincolato al raggiungimento delle menzionate finalità. Pertanto, se è vero che il potere disciplinare è attribuito all’ente per il raggiungimento di determinate finalità d’Ordine pubblico, qualora sia riscontrato che tali finalità sono compromesse o contraddette dai propri iscritti, è chiaro che l’ente pubblico verrebbe meno ai suoi doveri istituzionali qualora non esercitasse quei poteri che tali finalità presidiano. In questi casi, quindi, l’ente professionale ha il dovere, non la facoltà, di prendere il provvedimento disciplinare che ritiene più confacente alla fattispecie[36].

Si tratta, in sostanza, di un potere-dovere, perché il suo esercizio è doveroso per gli enti professionali (non facoltativo o discrezionale, in quanto esercitabile a discrezione dell’ente) quando ricorrano gli elementi di fatto che concretino un’infrazione alle regole di comportamento, per cui il mancato esercizio di questo potere da parte degli organi rappresentativi dell’ente a cui è demandato di esercitarlo è fonte di responsabilità amministrativa[37].

Del resto, un’interpretazione letterale delle espressioni adottate dal legislatore nelle singole leggi professionali a proposito del fondamento del suddetto potere sta a confermare la doverosità dell’esercizio stesso. Infatti, il legislatore non si esprime ipotizzando la possibilità o una mera facoltà dell’ente di sottoporre a procedimento disciplinare il colpevole, ma fa chiaramente intendere che il procedimento si deve aprire[38] [39].

§ 4 Il potere tariffario

Gli enti professionali sono titolari di un potere regolamentare tariffario[40] che è espressione dell’autonomia di cui sono dotati come enti pubblici [41].

L’elaborazione delle tariffe è stata in passato di competenza quasi esclusiva degli enti professionali. Attualmente, però, si registrano tendenze limitatrici:

a) a volte la tariffa proviene direttamente dal legislatore, al quale l’ente professionale si limita ad esprimere un parere, ovviamente non vincolante[42];

b) a volte la tariffa è semplicemente proposta dall’ente al ministro che la fa propria [43];

c) in alcuni settori professionali, i Consigli nazionali hanno facoltà di fissare i criteri per la determinazione dei compensi, da approvarsi poi dal Ministro di Grazia e Giustizia, il quale esercita un controllo di mera legittimità (così è per gli avvocati[44] ed i notai), o con DPR su proposta del ministro competente (così è per i consulenti del lavoro, per i commercialisti e per i geometri)[45].

§ 4.1 L’efficacia delle tariffe professionali

Soffermiamoci, ora, sul problema dell’efficacia delle tariffe, ed in particolare sull’individuazione dei soggetti nei cui confronti le disposizioni tariffarie esplicano la propria efficacia (c.d. efficacia soggettiva). Queste norme regolamentari, secondo una parte della dottrina[46], valgono unicamente nei riguardi degli iscritti agli albi. Ne conseguirebbe che solo questi ultimi, nella richiesta di onorari al cliente, sarebbero vincolati dalla tariffa, mentre questa sarebbe inefficace nei confronti dei clienti e dei professionisti non iscritti all’albo (naturalmente per le attività che questi possono lecitamente esplicare)[47].

Altra dottrina[48], invece, riconosce natura di norma giuridica vera e propria (per quanto regolamentare) alle tariffe professionali, le quali svolgerebbero in ogni caso la loro efficacia non soltanto nei confronti degli appartenenti al gruppo professionale, ma anche nei confronti di soggetti completamente estranei, quali sono i clienti.

Esaminiamo ora la dibattuta questione dell’inderogabilità o meno delle tariffe professionali (c.d. efficacia oggettiva).

A tal proposito, è preliminarmente necessario sottolineare che, a volte, le tariffe prevedono soltanto i minimi del compenso, essendo lasciata perciò alla libera contrattazione delle parti la pattuizione di compensi superiori. Altre volte, invece, esse indicano sia i minimi che i massimi entro i quali oscilla la determinazione in concreto del compenso secondo le intese delle parti.

Bisogna pertanto distinguere quelle due opposte ipotesi di convenzioni sull’onorario professionale: quelle con cui cliente e professionista si accordino per un compenso che superi la misura delle tariffe, e quelle con cui, viceversa, si stabilisca un compenso inferiore ai minimi contemplati dalle tariffe stesse.

Il primo genere di convenzioni non dà luogo ad eccessive difficoltà in quanto, salvo espresse limitazioni, alle parti non è vietato concordare compensi superiori ai massimi, specialmente quando si può dedurre che le parti hanno voluto attribuire un compenso straordinario o speciale (come nel caso del palmario[49]). Tuttavia, qualche autore[50] ha evidenziato che la mancanza di un’estesa inderogabilità dei massimi delle tariffe, parallelamente a quella che è sancita per i minimi, costituisce una grave lacuna del sistema, dalla quale derivano conseguenze particolarmente gravi a causa del monopolio professionale: i privati cittadini sono obbligati ad avvalersi dell’opera dei professionisti, i soli legittimati a compiere determinate attività lavorative, per cui le loro prestazioni devono essere accessibili a tutti, anche da un punto di vista economico e di fatto, e non soltanto giuridico[51].

Più complessa è, invece, la situazione con riferimento alla violazione dei minimi tariffari.

A questo riguardo, si deve anzitutto premettere che “al professionista è consentita la prestazione gratuita della sua attività professionale per i motivi più vari, che possono consistere in considerazioni d’Ordine sociale o di convenienza, anche con riguardo ad un personale e indiretto vantaggio”[52], purché la prestazione gratuita non costituisca espediente diretto a conseguire scopi deontologicamente riprovevoli[53].

Sullo specifico tema della inderogabilità dei minimi tariffari, vi sono contrasti tra giurisprudenza e dottrina nel riconoscere all’ente professionale un potere disciplinare da esercitarsi nei confronti del professionista che violi la tariffa.

Infatti la dottrina[54] ritiene che la tariffa mira a predisporre una disciplina il più possibile uniforme della materia dei compensi, sia nell’interesse generale (in sostanza dei destinatari delle prestazioni[55]), sia nell’interesse della categoria dei professionisti, proprio al fine di evitare una concorrenza scorretta fra colleghi e impedire che ne soffra il prestigio della professione a causa di richieste di compenso troppo esose. Pertanto, la violazione delle tariffe professionali da parte del professionis
ta porrebbe in essere un comportamento da qualificarsi come professionalmente scorretto, in quanto pregiudizievole per il decoro della categoria, e come tale punibile con le sanzioni disciplinari. Secondo la dottrina, infatti, il compenso delle prestazioni non può discendere al di sotto di certi livelli senza avvilire la natura della prestazione stessa e, quindi, senza offendere la dignità del professionista e il prestigio della professione. Perciò l’esercizio del potere disciplinare per violazione dei regolamenti predetti, in quanto sostanzialmente diretto alla salvaguardia della dignità e del decoro di una categoria, sarebbe pienamente legittimo perché esplicato nei limiti ed in vista delle finalità per cui è stato concesso dal legislatore.

Merita, infine, particolare attenzione le tesi di quella dottrina[56], la quale, con riferimento allo specifico tema delle tariffe professionali, fa esplicito riferimento all’art. 2233 c.c., in cui si legge: “Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene”. Questa norma pone, infatti, una gerarchia di carattere preferenziale fra i vari criteri di liquidazione del compenso delle prestazioni d’opera intellettuale: il corrispettivo è determinato dalla volontà delle parti; in mancanza di questa, si ricorre alle tariffe; infine, se anche queste mancano, si ricorre alla determinazione del giudice. Nella materia in discorso, quindi, il contratto costituisce il fondamentale punto di partenza per la fissazione dell’onorario dovuto al prestatore d’opera intellettuale[57].

La norma dell’art. 2233 c.c. fa riferimento ad un regime tipicamente privatistico, che vige in mancanza di più specifiche norme di diritto pubblico. Infatti, la situazione cambia radicalmente quando esplicite norme di diritto pubblico rendano le tariffe inderogabili. In tal caso, la determinazione del compenso è rimessa soltanto parzialmente alla volontà delle parti, perché al compimento dell’attività deve corrispondere il pagamento dell’onorario, fissato nella tariffa e non derogabile dalle parti. Infatti, il contratto di prestazione d’opera professionale è un contratto privato, passibile di una serie di limitazioni pubblicistiche, delle quali quella della determinazione del corrispettivo è una delle più importanti[58]. Ciò accade quando il legislatore ritiene opportuno che i compensi delle prestazioni professionali ammontino ad una determinata cifra per evitare che, lasciato interamente alla volontà delle parti, il corrispettivo di prestazioni, che costituiscono servizi di pubblica utilità[59], sia troppo gravoso per i privati, che devono avvalersi dell’opera del professionista; o troppo basso, con conseguente sleale concorrenza nei confronti dei colleghi, e lesione del decoro e della dignità della classe professionale, nonché danno economico degli altri professionisti. Nell’una e nell’altro caso, qualora si tratti di non-osservanza di tariffe inderogabili, la violazione del decoro e della dignità professionale è in re ipsa. Di conseguenza, qualunque violazione delle tariffe che risultano inderogabili dà luogo ad un illecito disciplinare, il cui accertamento e la cui punizione competono ai Consigli degli Ordini e dei Collegi. Quando l’inderogabilità è disposta per legge o per regolamento l’infrazione punibile disciplinarmente è necessariamente presente, in quanto è insita nell’aver contraddetto all’inderogabilità autoritativamente disposta.[60]

Con riferimento alla giurisprudenza reperibile in argomento, l’orientamento della Cassazione, confortato da una parte della dottrina, si può così riassumere:

1) Dai compiti istituzionali dei consigli dell’Ordine dei medici esula ogni compito di tutela di interessi economici o sindacali degli iscritti. Da ciò deriva che non soltanto la legge non attribuisce ai Consigli di un Ordine o Collegio la potestà di fissare tariffe per gli onorai con efficacia obbligatoria nei confronti di estranei (clienti del professionista), ma neppure conferisce loro il potere di stabilire dei minimi di tariffa che abbiano valore imperativo nei confronti degli iscritti e la cui inosservanza costituisca, ipso iure, illecito disciplinare. Non può, tuttavia, negarsi che il Consiglio abbia la facoltà di stabilire direttive che servano di guida agli iscritti, anche per quanto riguarda la richiesta degli onorari dovuti per la prestazione della loro opera, indicando massimi e minimi di tariffa; ma lo stesso Consiglio non può legittimamente fissare le dette tariffe a tutela di interessi sindacali o di interessi economici dei professionisti e, tanto meno, esercitare il suo potere disciplinare a protezione di detti interessi[61].

2) Non può qualificarsi infrazione disciplinare, passibile della relativa sanzione, la inosservanza della tariffa come necessaria conseguenza diretta e immediata di un comportamento che non rivesta altri caratteri. Tuttavia, il potere disciplinare può essere esercitato anche in occasione di un’inosservanza della tariffa allorché il fatto, per le sue peculiarità e per le modalità che lo caratterizzano, possa ritenersi lesivo delle norme di correttezza, decoro e dignità professionale. In tale ipotesi però, occorre che l’accusa mossa al professionista sottoposto a procedimento disciplinare contenga tutti gli elementi idonei a legittimare l’intervento del Consiglio dell’Ordine, indipendentemente dal fatto della inosservanza della tariffa[62]. Pertanto, le violazioni tariffarie da parte del professionista sono disciplinarmente perseguibili solo se si concretino in manifestazioni tali, per qualità, numero e caratteristiche peculiari, da menomare la dignità, il decoro e il prestigio dell’Ordine e della professione[63].

§ 5 Il potere tributario

L’autonomia dell’ente, oltre che in materia di autorganizzazione e di tariffe professionali, si esplica pure in materia di contribuzioni associative e di oneri vari che possono essere imposti per l’iscrizione all’albo e per il rilascio di certificati[64].

Infatti, ai sensi dell’art. 7 del D.Lg.Lt. n. 382 del 23 novembre 1944 (relativo alle professioni sanitarie e riprodotto sostanzialmente in tutte le altre leggi professionali), i Consigli degli Ordini o Collegi con propri regolamenti possono stabilire, “entro i limiti strettamente necessari a coprire le spese” (2° comma) “una tassa annuale[65], una tassa per l’iscrizione nel registro dei praticanti e per l’iscrizione nell’albo, nonché una tassa per il rilascio dei certificati e dei pareri per la liquidazione degli onorari” (3° comma)[66].

Tali contribuzioni non hanno carattere volontario, dato che il loro inadempimento produce la sospensione dall’esercizio professionale; né hanno natura privatistica, discendendo dall’appartenenza necessaria dell’iscritto all’ente professionale[67].

Quanto al sistema di riscossione, esso è variamente attuato e, comunque, non influisce sulla determinazione della natura del contributo. Solamente l’ordinamento delle professioni sanitarie prevede in proposito l’applicazione della legge sulla riscossione delle imposte dirette[68].

La gestione dei fondi ricavati da tali imposizioni è attribuita in genere al Consiglio, che è controllato dall’assemblea in sede di approvazione del bilancio. Manca ogni forma di controllo esterno anche di natura finanziaria[69].

Il mancato pagamento dei contributi nel termine prescritto comporta la sospensione dell’esercizio professionale[70], la quale, tuttavia, viene revocata con effetto immediato quando il professionista dimostri di aver pagato le somme dovute.

A chi[71] afferma la natura disciplinare della suddetta sospensione dall’esercizio professionale si oppone quella parte della dottrina[72] che nega, invece, tale natura alla sanzione in oggetto. Secondo quest’ultimo orientamento, infatti,
la legge fa richiamo soltanto alle “forme del procedimento disciplinare” con cui la sospensione viene inflitta, mentre, in caso contrario, non avrebbe esitato a definire “addebito disciplinare” la insolvenza. Secondo tale dottrina, pertanto, la sanzione avrebbe carattere fiscale, anche se nel nostro ordinamento (non però in quelli stranieri) mancano esempi di sanzioni fiscali diverse dal pagamento di una somma di denaro: multe, ammende, pene pecuniarie, soprattasse. Indurrebbe a tale convincimento, oltre al difetto del requisito della colpa nel fatto del mancato pagamento[73], anche la circostanza che la sanzione in esame non ha alcuna influenza negativa ai fini dell’applicazione di eventuali future sanzioni disciplinari, come sarebbe invece logico nel caso opposto.

§ 6 Le funzioni secondarie

§ 6.1 La funzione di designazione e rappresentanza.

La funzione di designazione e rappresentanza[74] consiste nella designazione di iscritti all’albo in rappresentanza dell’ente professionale (e, come si ritiene, anche della categoria professionale) presso autorità ed enti pubblici, commissioni, uffici, ecc., e ciò a seguito della richiesta fatta da pubbliche autorità in vista della composizione di organi, commissioni, apparati amministrativi e altri organismi nei quali sia prescritta la partecipazione di soggetti qualificati tecnicamente in materia professionale ai fini della loro collaborazione all’attività dell’organo alla cui composizione sono chiamati[75].

Così, ad esempio, compete al consiglio direttivo e al comitato centrale della federazione dei sanitari designare rispettivamente «i rappresentanti dell’Ordine o Collegio presso commissioni, enti e organizzazioni di carattere provinciale o comunale» (art. 3, lett. e D.Lg.C.P.S. n. 233 del 1946) e «i rappresentanti della federazione presso commissioni, enti od organizzazioni di carattere interprovinciale o nazionale» (art. 15 lett. d del citato D.Lg.C.P.S.).

Rientra, inoltre, tra le attribuzioni degli Ordini designare i membri delle commissioni esaminatrici per gli esami di Stato relativi alle professioni di ingegnere, architetto, chimico, agronomo, attuario, medico, veterinario, farmacista, dottore commercialista, biologo, geologo, commercialista, procuratore legale (oggi: avvocato), consulente del lavoro[76] [77].

§ 6.2 La funzione di archiviazione e di deposito.

La funzione di archiviazione mira alla conservazione degli atti e documenti che comprovano l’attività dell’ente (verbali delle delibere, atti dei procedimenti disciplinari, ecc.) agli effetti della loro documentazione (attraverso la certificazione o l’esibizione in giudizio, a seguito di ordine del giudice, ecc.).

La funzione di deposito (svolta dai Consigli periferici) si distingue dalla precedente perché il deposito si riferisce agli atti e documenti di proprietà del cliente del professionista che a quest’ultimo erano stati consegnati per ragione dell’incarico affidatogli[78]. Tale ultima funzione è assai rilevante se si considera che i professionisti non possono ritenere atti e documenti a loro consegnati dalla clientela per ragioni professionali, nemmeno in caso di mancato pagamento delle spese ed onorari (art. 2235 c.c.). In tali ipotesi, pertanto, il professionista deve depositare gli atti e i documenti presso il Consiglio dell’Ordine o Collegio, il quale si attiva per conciliare la vertenza.

§ 6.3 La funzione consultiva.

La funzione consultiva degli enti professionali si esplica nella formulazione di pareri. Tale funzione spetta alle organizzazioni professionali sulla base di un principio generalissimo, per cui è da ritenere che essa sia ammissibile anche al di là di un’esplicita previsione del legislatore: per qualunque provvedimento amministrativo o legislativo adottato che interessi la categoria, alla categoria stessa è data la possibilità di esprimere la propria opinione[79].

L’art. 14, comma 2, del D.Lg.Lt. n. 382 del 1944 dispone che i Consigli nazionali “danno parere sui progetti di legge e di regolamento che riguardano le rispettive professioni e sulla loro interpretazione, quando ne sono richiesti dal Ministro di grazia e giustizia”[80].

Tra le funzioni consultive v’è anche quella di dare parere all’autorità giudiziaria in merito alla liquidazione degli onorari dovuti ai professionisti: “Il giudice, se non rigetta il ricorso” del professionista, ritenendo insufficientemente giustificata la domanda, “deve attenersi al parere” (che pertanto diventa vincolante) dell’ente professionale, “nei limiti della somma domandata” (art. 636, 2° comma, c.p.c.)[81].

All’interno di una più generale funzione collaborativa, spetta agli Ordini e Collegi professionali nei confronti dell’autorità giudiziaria, oltre al suindicato potere di dare parere sulla liquidazione degli onorari, quello di collaborare per la repressione dei reati di esercizio abusivo della professione[82].

§ 6.4 La funzione conciliativa

La funzione conciliativa viene esercitata, su richiesta consensuale delle parti, in occasione di dissensi fra cliente e professionista (per lo più riguardanti la misura del compenso e la responsabilità del professionista), fra gli stessi iscritti all’albo, o fra questi e gli appartenenti a diverso albo (per motivi di competenza), o fra iscritti ed enti vari (p. es. istituti previdenziali)[83].

Si tratta di un’attività che qualunque Ordine o Collegio professionale può compiere, perché la possibilità di un intervento, a questi fini, oltre, eventualmente, ad essere prevista nelle varie leggi professionali, si deduce dai principi. Infatti, giova certamente alla tutela del decoro della professione che il minor numero possibile delle suddette eventuali controversie venga portato all’esame dell’autorità giudiziaria, con la conseguente negativa pubblicità. Inoltre, come già si è visto a proposito della funzione consultiva, gli enti professionali hanno il compito di concorrere nell’interpretazione ed attuazione delle norme giuridiche riguardanti le rispettive professioni, norme che il più delle volte sono quelle oggetto delle controversie insieme alle altre norme che gli stessi enti emanano, di guisa che essi sono i soggetti più qualificati ad arbitrare le vertenze medesime[84].

Degno di menzione al riguardo è l’art. 66 della legge professionale degli avvocati (R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578), che recita testualmente: “Gli avvocati [e i procuratori] non possono ritenere gli atti della causa e le scritture ricevute dai clienti per il mancato pagamento degli onorari e dei diritti loro dovuti o per il mancato rimborso delle spese da essi anticipate. Su reclamo dell’interessato il Consiglio dell’Ordine ordina all’avvocato [o al procuratore] di depositare gli atti e i documenti nella propria sede, e si adopera per la composizione amichevole della controversia. Nel caso in cui riesca la conciliazione ne è redatto verbale il quale ha valore, a tutti gli effetti, di sentenza passata in giudicato. Il verbale di conciliazione è depositato nella cancelleria del Tribunale locale, che a richiesta ne rilascia copia in forma esecutiva. Se la conciliazione non ha luogo, i clienti non possono ritirare gli atti della causa e le scritture prima che il Consiglio dell’Ordine abbia proceduto all’accertamento delle spese ed alla liquidazione degli onorari. Nei casi di urgenza il Presidente del Consiglio dell’Ordine può adottare tutti i provvedimenti che valgano a conciliare i legittimi interessi dell’avvocato [o del procuratore] con quelli del cliente”[85].

Nel caso in cui la controversia riguardi professionisti che non dipendono dallo stesso Consiglio la conciliazione è promossa dal Consiglio che sia stato per primo richiesto di effettuarla[86].

§ 6.5 La funzione di vigilanza

A monte del potere disciplinare e con questo in molti casi collegato si p
one il potere di vigilanza che gli enti professionali possono esercitare sugli iscritti nell’albo al fine di controllare (e conseguentemente di intervenire nel modo più opportuno ai sensi di legge) eventuali comportamenti (in ambito pubblico e, a volte, anche in quello privato) dei singoli iscritti che non sono conformi ai principi della deontologia professionale e comunque tali da gettare discredito sulla professione. Questo potere, che si evince da espresse disposizioni contenute nelle leggi professionali a proposito delle attribuzioni conferite ai Consigli degli Ordini e dei Collegi, è autonomo rispetto al potere disciplinare, sebbene di esso spesso necessario presupposto. A prescindere dal suo effettivo esercizio, l’attribuzione di questo potere svolge un’evidente azione intimidatrice. La sua giustificazione è ovvia, mirando esso a garantire la regolarità e la correttezza dell’esercizio della professione[87].

Quasi tutte le leggi professionali lo annoverano, come ad esempio quella del 29 maggio 1967 n. 402 riguardante gli agenti di cambio che, all’art. 7, con formula quanto mai ampia, prevede che il Consiglio dell’Ordine «vigila sul decoro professionale degli iscritti, sull’adempimento degli obblighi imposti dalla legge e sul rigoroso rispetto dell’etica professionale»[88] [89].

§ 6.6 La funzione di promozione tecnico-culturale

La funzione di promozione tecnico-culturale svolta dai Consigli nazionali degli Ordini o Collegi è diretta ad accrescere le conoscenze e la preparazione proprie di ciascun iscritto e ad assicurarne l’aggiornamento[90].

Essa riguarda l’organizzazione di manifestazioni, e comunque di attività che si propongono di elevare il livello culturale della classe professionale nello specifico campo nel quale ciascuna di esse ha competenza. Questa funzione è prevista espressamente nelle leggi professionali più recenti, ma si tratta chiaramente di un’attività che ogni ente professionale può porre in essere, anche in mancanza di un’esplicita previsione legislativa[91].

Così stabiliscono gli artt. 3, lettera d), e 15 lettera c), del D.Lg.C.P.S. n. 233 del 1946 (relativi all’ordinamento dei sanitari) che spetta ai Consigli direttivi promuovere e favorire tutte le iniziative intese a facilitare il progresso culturale degli iscritti e al Comitato centrale promuovere e favorire sul piano nazionale le iniziative stesse. L’ordinamento dei dottori commercialisti dispone che il Consiglio nazionale coordina e promuove le attività dei Consigli per favorire le iniziative intese al miglioramento ed al perfezionamento professionale (art. 25, lettera b)[92].

§ 6.7 La funzione certificatrice.

Il potere di rilasciare certificati, conseguenziale alla tenuta degli albi e alle finalità di pubblicità che questi svolgono, è attribuito espressamente agli enti professionali dalle singole leggi oppure risulta implicitamente dalla previsione del pagamento di una tassa per il rilascio di un certificato[93].

§ 6.8 Altre funzioni

Agli enti professionali competono, infine, diverse funzioni di carattere amministrativo interno inerenti alla corretta tenuta della contabilità[94] ed all’amministrazione ordinaria e straordinaria dell’ente professionale medesimo[95].

[1] Con il termine ‘autarchia’ si indica la legittimazione di alcuni enti diversi dallo Stato (p. es., oltre agli enti professionali, le Regioni, le Province, i Comuni) ad emanare atti amministrativi che posseggono la stessa efficacia, nei confronti dei cittadini, dei corrispondenti atti statali. Tale legittimazione trova fondamento nel fatto che lo Stato attribuisce agli enti una funzione che gli è propria (quella amministrativa). Espressioni dell’autarchia dell’ente pubblico sono, oltre al detto potere di agire emanando atti amministrativi equiparati, nel regime giuridico, agli atti amministrativi dello Stato: il potere di certificazione; il potere di autorganizzazione interna dell’ente; la prerogativa dell’autotutela, cioè della possibilità di risolvere eventuali conflitti con altri soggetti, conseguenti all’emissione di propri provvedimenti. Cfr., sul punto, Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, p. 196, il quale dopo aver definito l’autarchia come “la caratteristica degli enti diversi dallo Stato di disporre di potestà pubbliche”, aggiunge che “sono sicuramente manifestazioni di autarchia gli atti amministrativi che comminano sanzioni amministrative o dispongono misure cautelari nell’attesa della conclusione di procedimenti sanzionatori”. Per una disamina approfondita sulle competenze “autarchiche” degli enti professionali, v. Cap. I, Sez. II.

[2] Per tutti v. Giuliano, Ordini ed albi professionali, Roma, 1960, p. 22.

[3] Sul concetto d i “professione intellettuale” vedi Cap. I, Sez. I.

[4] Cfr. Piscione, Ordini e collegi professionali, Milano, 1959, p. 23.

[5] Per l’Ordine degli architetti e degli ingegneri ciò avviene nel caso in cui il numero dei professionisti iscritti sia minore di venticinque; per i commercialisti, i ragionieri, i periti agrari, i dottori agronomi ed i dottori forestali, nel caso in cui il cui numero dei professionisti iscritti sia minore di quindici. Cfr. Piscione, op. cit., p. 30.

[6] Cfr., ad es., l’art. 5 della legge n. 56 del 18 febbraio 1989 (relativa alla professione di psicologo), in cui si dispone che l’Ordine degli psicologi “è strutturato a livello regionale e, limitatamente alle province autonome di Trento e di Bolzano, a livello provinciale”; nel successivo art. 6, tuttavia, si aggiunge che “qualora il numero degli iscritti all’albo in una regione superi le mille unità e ne facciano richiesta almeno duecento iscritti residenti in province diverse da quella in cui ha sede l’Ordine regionale e tra loro contigue, può essere istituita una ulteriore sede nell’ambito della stessa regione. L’istituzione avviene con decreto del Ministro di grazia e giustizia, sentito il Consiglio nazionale dell’Ordine”.

[7] Altre ipotesi di deroga alla circoscrizione provinciale dell’ente professionale riguardano: a) l’Ordine degli avvocati ed il Collegio dei notai, che sono costituiti per ciascun circondario di Tribunale. Inoltre, con riferimento al solo Collegio notarile, quando siano assegnati al distretto meno di quindici notai, oppure le condizioni lo consiglino, può essere costituito un distretto riunito, con un unico Collegio; b) l’Ordine dei giornalisti, che è organizzato su base sia regionale, che nazionale (l’Ordine dei giornalisti su base regionale deve essere composto di almeno quaranta giornalisti di cui non meno di 20 professionisti); c) i dottori agronomi e forestali, organizzati in Ordini locali ed in un unico Ordine nazionale; d) gli attuari, i biologi ed i geologi, probabilmente a causa del loro ristretto numero, sono organizzati in un unico Ordine nazionale, non articolato in circoscrizioni locali.

[8] Ciò risulta in modo esplicito dall’art. 2229, comma 2, c.c., secondo cui “l’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi e negli elenchi, la tenuta dei medesimi…sono demandati alle associazioni professionali”. Degli albi professionali ci occuperemo più dettagliatamente nel cap. II, al quale facciamo rinvio.

[9] Cfr. Lega, Ordinamenti professionali, in Nss. D. I., XII, Torino, 1965, p. 6 ss. Cfr. Gessa, Ordini e Collegi professionali, Enc. Giur., XXII, Roma, 1991, pp. 1-7. Cfr. Gasparri, Natura giuridica e attribuzioni degli Ordini dei medici, in Foro amm., 1955, IV, p. 17 ss. Cfr. Levi, Libertà fondamentali del professionista e Ordini professionali, Riv. trim. dir. pubbl., 1976, 906 ss. Cfr. Catelani, Gli Ordini e i Collegi professionali nel diritto pubblico, Milano, 1976, p. 33 ss.

[10] Cfr. Teresi, Ordini e Collegi professionali, Dig. (Disc. Pubbl.), X, Torino, 1995, p. 449 ss.

[11] Cfr. Teresi, Ordini e Collegi prof
essionali, cit., p. 449 ss.

[12] Il termine è stato usato per la prima volta da Bentham, in Deontologia o scienza della moralità, del 1834.

[13] Cfr. Gasparri, op. cit., p. 17 ss. Cfr. Piras, Le professioni intellettuali. I profili amministrativi, in AA. VV., Le professioni intellettuali, Torino, 1987, p. 129 ss.

[14] Cfr. Di Cerbo, Le professioni intellettuali nella giurisprudenza, Milano, 1988, p. 34 ss.

[15] Cfr. Lega, Ordinamenti professionali, cit., p. 6 ss.

[16] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali nelle leggi e nella giurisprudenza, Milano, 1974, p. 69 ss.

[17] La legislazione dispone infatti, in genere che l’ente professionale possa irrogare sanzioni disciplinari a carico del professionista che si renda colpevole di abusi o mancanze nell’esercizio della professione o comunque di fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale, oppure quando con la sua condotta abbia gravemente compromesso la propria reputazione e la dignità della professione. Espressioni del genere, salvo lievi varianti di forma, sono contenute in molte leggi professionali. (ad es., dei dottori commercialisti, dei ragionieri, degli avvocati, dei sanitari, ecc.).

[18] Anche in altre fonti legislative non di contenuto professionale è dato di riscontrare disposizioni che per implicito rinviano alle regole deontologiche della professione. Ad esempio l’art. 88 cod. proc. civ. impone ai difensori di comportarsi in giudizio «con lealtà e probità», due concetti il cui contenuto è prevalentemente deontologico dato che essi vengono in rilievo a proposito della valutazione della condotta di professionisti nell’esercizio delle proprie mansioni. Analogamente l’art. 32 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282, sul gratuito patrocinio, sancisce che il difensore d’ufficio deve comportarsi «secondo scienza e coscienza», prendendo a prestito un concetto di natura squisitamente deontologica.

[19] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 265 ss.

[20] Cfr. Levi, Libertà fondamentali del professionista e Ordini professionali, Riv. trim. dir. pubbl., 1976, p. 906 ss. Cfr. Roversi Monaco, Disciplina delle forme associative tra liberi professionisti nell’ordinamento italiano, Bologna, 1977, p. 165 ss.

[21] Cfr. Catelani, op. cit., p. 195 ss. Secondo il Gasparri (op. cit., p. 17 ss.) non si tratterebbe di vere e proprie norme vincolanti, ma di criteri direttivi non privi di importanza, oltre che pratica, giuridica, in quanto, “ove in sede di applicazione delle sanzioni disciplinari ci se ne allontani, si dovrà quanto meno dare ragione di questo allontanamento”.

[22] Cfr. Piscione, Professioni (disciplina delle), in Enc. Dir., XXXVI, Milano, 1987, 1040 ss.; e, dello stesso Autore, Ordini e Collegi professionali, Milano, 1959, p. 79 ss.

[23] Cfr. Migliarese, Il potere disciplinare degli Ordini dei medici chirurghi. Contenuto e limiti, Riv. it. Med. Leg., VII, 1985, p. 734 ss. Cfr. Teresi, op. cit., p. 449 ss.

[24] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 265 ss. Cfr. Roversi Monaco, Disciplina delle forme associative tra liberi professionisti nell’ordinamento italiano, Bologna, 1977, p. 165 ss.

[25] Per le professioni di notaio e di agente di cambio, a causa della loro più spiccata natura pubblica, l’esercizio del potere in questione è svolto dai Consigli soltanto per quanto si riferisce alle infrazioni di minor conto punibili con le sanzioni più lievi del richiamo, dell’avvertimento e della censura; è rimesso, invece, all’autorità giudiziaria (così è per i notai) o al Ministro del tesoro (così è, invece, per gli agenti di cambio) per le infrazioni di particolare gravità.

[26] Artt. 3, 8, 15 del D.Lg.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233, relativo alle professioni sanitarie. Anche nell’ordinamento forense (art. 54 R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1378) è espressamente statuito che «il Consiglio nazionale forense… esercita il potere disciplinare nei confronti dei propri membri».

[27] Nell’ordinamento forense (art. 38) si usa la locuzione «La competenza a procedere disciplinarmente appartiene… al Consiglio dell’Ordine, ecc.».

[28] Il Consiglio di Stato, Sez. V, 23 gennaio 1953, n. 38, in Cons. Stato, 1953, I, 55, ha stabilito che il potere disciplinare di un ente pubblico sussiste anche in assenza di espresse norme al riguardo.

[29] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 293 ss.

[30] Cfr. Cass., S.U., n. 6312 del 22 giugno 1990, in Rep. Foro it., 1990, voce “Professioni intellettuali”, n. 123; id., id., n. 7543 del 6 luglio 1991, ivi, 1991, voce “Professioni intellettuali”, n. 134; id., id., n. 12165 del 10 dicembre 1993, ivi, 1993, voce “Professioni intellettuali”, n. 136. In quest’ultima pronuncia la Suprema Corte ha stabilito che “hanno rilevanza disciplinare altri fatti o comportamenti realizzati dal professionista, anche se non direttamente connessi con la qualifica professionale. Infatti il potere degli organi professionali di emanare, nell’esercizio delle proprie attribuzioni di autoregolamentazione, norme interne di deontologia vincolanti per gli iscritti, implica anche la facoltà di valutazione negativa, rispetto al decoro della professione, di determinati fatti e comportamenti direttamente riprovevoli e suscettibili, in quanto tali, ancorché non integranti abusi e mancanze strictu sensu in diretta relazione con la professione, di essere disciplinarmente sanzionati”.

[31] Cfr. Catelani, op. cit., Milano, 1976, p. 153 ss.

[32] Cfr. Magrone, L’Ordine forense, Roma, 1959, p. 127 ss.

[33] Sez. III, 17 giugno 1961, n. 1415, in Giust. Civ., 1961, I, 1118.

[34] La sentenza succitata, che nel caso specifico è relativa all’ordinamento della professione notarile, può riferirsi, in interpretazione estensiva, a tutti gli ordinamenti professionali. Per l’ordinamento delle professioni forensi risulta dagli artt. 40, 41, 42, 44, del R.D.L. 1578/1933, che il Consiglio dell’Ordine ha il dovere, non la facoltà, di irrogare le pene disciplinari. Analogamente è disposto per le professioni sanitarie (artt. 3, 15, 18 del D.Lg.C.P.S. 233/1946), per le professioni di dottore commercialista (artt. 10, 35, 44 DPR 1068/1953) e di ragioniere (artt. 10, 35, 44, DPR 1068/1953). Lo stesso dicasi per le professioni più recenti: cfr., ad es., art. 39, n. 2, L. n. 59 del 18 gennaio 1994 (tecnologo alimentare), e art. 27, n. 1, L. n. 56 del 18 febbraio 1989 (psicologo).

[35] Cfr., inoltre, Cass., S.U., n. 4672 del 26 maggio 1997 in cui si afferma che “non esiste una norma che consenta al Consiglio dell’Ordine, dopo aver autonomamente valutato condotte ritenute violatrici di norme deontologiche, di applicare a discrezione “una sanzione disciplinare.

[36] Cfr. Lega, Sul potere-dovere degli enti pubblici professionali di reprimere le infrazioni disciplinari, Giur. it., 1961, I, 1, p. 1169 ss.

[37] Le norme disciplinari mirano a tutelate un bene che appartiene all’Ordine (il decoro della professione), per cui, in caso di comportamenti (sia verso il cliente, sia verso i terzi e i colleghi) che possono effettivamente ledere il decoro e il prestigio della professione, il Consiglio dell’Ordine ha il potere-dovere di intervenire onde reprimerli a salvaguardia di tale bene, come è suo compito istituzionale. Diversamente contrae una responsabilità amministrativa che può giungere fino al provvedimento ministeriale di scioglimento del Consiglio.

[38] Cfr. l’art. 19 della Legge 29 maggio 1967, n. 402: “Gli agenti di cambio cui siano contestati abusi o mancanze… sono sottoposti a provvedimenti disciplinari da parte del competente Consiglio dell’Ordine” (conformi: art. 35 DPR 27 ottobre 1953, n. 1068 per i ragionieri; art. 35 DPR 27 ottobre 1953, n. 1067 per i dottori commercialisti; l’art. 38 della legge forense; art. 48 legge 3 febbraio 1963, n. 69 per i giornal
isti). L’art. 38 DPR 5 aprile 1950, n.221 dispone: “I sanitari che si rendano colpevoli di abusi o mancanze… sono sottoposti a procedimento disciplinare”; l’art. 37 della legge 28 marzo 1968, n. 434: “Al perito agrario che si rende colpevole di abusi o mancanze… si applicano le sanzioni disciplinari previste nel presente Titolo”.

[39] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 274 ss.

[40] Le tariffe professionali sono fonti normative di diversa natura che prescrivono in modo uniforme per una determinata categoria professionale e alla stregua di criteri variamente adottati il modo con cui determinare il compenso dovuto al professionista per una o più prestazioni specificate o per il loro complesso riferito a particolari settori di attività o a pratiche determinate. Pertanto esse possono contenere sia l’indicazione in concreto del compenso, sia quella dei criteri con cui computarlo: cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 274 ss.

[41] Cfr. Lega, Ordinamenti professionali, cit., p. 6 ss.

[42] Così è per i periti industriali, per i periti agrari, per i dottori agronomi e per i medici: cfr. Teresi, voce Ordini e Collegi professionali, cit., p. 449 ss.

[43] Così è per i biologi, i chimici, gli ingegneri e gli architetti, i geologi e i geometri: cfr. Teresi, voce Ordini e Collegi professionali, cit., p. 449 ss.

[44] Per quanto riguarda la professione forense, le tariffe in materia civile sono generalmente stabilite in ragione del valore delle controversie e del grado delle autorità adite, mentre per quelle in materia penale si tiene conto della durata del processo, delle udienze di dibattimento e di altri criteri. Per la materia stragiudiziale si tiene invece conto dell’entità dell’affare: Magrone, L’Ordine forense, Roma, 1959, p.167 ss.

[45] Cfr. Catelani, Gli Ordini e i Collegi professionali, cit., p. 177 ss.

[46] Cfr. Lega, Osservazioni in tema di potere tariffario degli Ordini dei medici e di vigilanza del Prefetto sull’esercizio della professione sanitaria, in Giur. it., 1962, I, 1, p. 873.

[47] Singolare è la posizione contrattuale del cliente: egli è libero di dar vita al contratto di lavoro col professionista, ma per quanto riguarda la determinazione della controprestazione egli, di fatto, subisce la volontà dell’altra parte. Il compenso, infatti, in pratica viene unilateralmente determinato nel suo ammontare dal professionista, il quale è tenuto ad adeguarsi alla tariffa regolamentare in virtù del vincolo associativo. Avviene qui qualcosa di simile a quel che si verifica in molti altri contratti (di assicurazione, di trasporto, ecc.), in cui il contraente più forte e meglio organizzato impone la propria volontà all’altro. Tuttavia, nel caso nostro, al cliente, non essendo vincolato dal regolamento professionale, è lecito scendere a pattuizioni e concordare, se gli riesce, condizioni diverse da quelle fissate dalla tariffa. Se il professionista aderisce a svolgere la sua attività per un compenso inferiore alla tariffa sarà passibile di sanzioni disciplinari, ma il contratto intervenuto col cliente è perfettamente valido. Cfr. Lega, Osservazioni in tema di potere tariffario, cit., p. 873.

[48] Cfr. Piscione, voce Professioni (disciplina delle), cit., p.1040 ss.

[49] Il palmario è un compenso straordinario (pattuito con privata convenzione) che, in aggiunta a quello calcolato a sensi della tariffa, viene corrisposto all’avvocato in caso di vittoria nella lite (il nome si riferisce, per l’appunto, alla palma che si dava al soldato vittorioso). Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 274 ss.

[50] Cfr. Catelani, op. cit., p. 177 ss.

[51] Con particolare riguardo alle professioni sanitaria e forense, che toccano interessi strettamente inerenti alla persona umana, è significativo che questa esigenza sia stata avvertita dal legislatore costituente, il quale ha previsto, al riguardo, appositi rimedi per i cittadini. Infatti, l’art. 32 Cost. sancisce: “La Repubblica garantisce cure gratuite agli indigenti”. Ed analogamente, per la difesa in giudizio, dispone il 3 co. dell’art. 24 Cost.: “Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”.

[52] Cass., Sez. I, 6 luglio 1976 n. 2507, in Giust. Civ. Mass., 1976, p. 1087.

[53] Cfr. Teresi, op. cit., p. 449 ss.

[54] Cfr. Catelani, op. cit., p. 177 ss. Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 274 ss. Cfr. Lega, Sui poteri tariffari e disciplinari degli Ordini dei medici, in Dir. lav., 1959, II, p. 466. Cfr. Piscione, voce Professioni (disciplina delle), cit., p.1040 ss.

[55] Tuttavia, gli orientamenti emergenti dalla giurisprudenza comunitaria in materia escludono che la fissazione di tariffe minime costituisca lo strumento appropriato per mantenere un livello qualitativo minimo del servizio. In particolare, si ritiene che in nessun caso l’imposizione di un prezzo minimo sia di per sé strumento idoneo a determinare l’innalzamento della qualità del servizio. Cfr. Gnes – Orlando, Gli Ordini professionali all’esame dell’antitrust, in Giorn. dir. amm., 1995, p. 934.

[56] Cfr. Catelani, op. cit., p. 177 ss.

[57] Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 294 ss.

[58] Dato che le tariffe sono una parte sussidiaria di determinazione del compenso rispetto alla pattuizione che è, invece, la parte principale, una limitazione di questa portata all’autonomia contrattuale delle parti non sarebbe legittima se non in forza di un’apposita legge speciale: Cass., sez. I, 3 luglio 1971 n. 2073, in Giust. Civ., 1971, I, 1573; Cass., Sez. I, 18 ottobre 1972 n. 3123, in Rep. Foro it., nn. 110 e 114, p. 2198; Cass., sez. II, 24 aprile 1981 n. 2454, in Giust. Civ. mass., 1981, I, 931; Cass., sez. II, 27 gennaio 1982 n. 530, in Giust. Civ. mass., 1982, I, 187; Cass, sez. lav., 14 dicembre 1983 n. 7374, in Giust. Civ. mass., 1983, II, 2512; Cass., sez. lav., 13 gennaio 1983 n. 260, in Giust. Civ. mass., 1983, I, 99. Cfr. Latella, Le professioni intellettuali. I profili costituzionalistici, in AA: VV., “Le professioni intellettuali”, Torino, 1987, p. 31 ss.

[59] Cfr. Catelani, op. cit., p. 177 ss.

[60] Cfr. Catelani, op. cit., p. 177 ss.

[61] Cass. Sez. Un., 21 ottobre 1961 n. 2312, in Foro amm., 1962, II, 162. Cass. sez. I, 22 gennaio 1970 n. 135, in Giust. Civ. mass., 1970, 81. Cass., sez. I, 28 luglio 1969 nn. 2841 e 2843, in Giust. Civ. mass., II, pp. 1468-1469.

[62] Cfr. Pelaggi, Sindacato ed Ordini professionali, in Giur. agr. it., 1966, p. 592. Ivi numerosi riferimenti giurisprudenziali.

[63] Concorda con tale giurisprudenza Latella, op. cit., p. 31 ss., e Migliarese, Il potere disciplinare degli Ordini dei medici chirurghi. Contenuto e limiti, in Riv. it. Med. Leg., VII, 1985, p. 734. Critiche giungono invece da Lega (Le libere professioni intellettuali, op. cit., p. 274 ss.), al quale appare contraddittorio ammettere, al contempo, la possibilità che gli Ordini elaborino tariffe con la precisa indicazione del compenso o con la fissazione di minimi e di massimi altrettanto precisi e (ammettere) la liceità della violazione di esse, salvo far risultare la illiceità di questa attraverso la considerazione dei comportamenti che il professionista tiene nel compiere la violazione stessa.

[64] Cfr. Lega, Ordinamenti professionali, op. cit., p. 6 ss.

[65] La tassa annuale, cui qui accenna il legislatore, non è propriamente una tassa cui corrisponda una controprestazione (come negli altri due casi subito indicati nella citazione testuale del 3° comma dell’art. 7), ma una contribuzione periodica (eventualmente suddivisibile in quote o rate nell’anno) della cui natura si discute in dottrina: cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 282 ss. Secondo Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 122, si tratterebb
e, invece, di vera e propria imposta.

[66] Ben si può parlare di “tassa” iniziale di iscrizione e di “tassa” per il rilascio di pareri e certificati, giacché corrisposte a fronte di un servizio fornito dall’ente, seppure richiesto obbligatoriamente: cfr. Latella, op. cit., p. 31 ss.

[67] Cfr. Teresi, op. cit., p. 449 ss. Piscione, voce Professioni (disciplina delle), cit., p.1040 ss.

[68] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 282 ss.

[69] Cfr. Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 119 ss.

[70] Il contenuto della sanzione è la sospensione dall’esercizio di tutti i diritti attribuiti dallo status professionale e non anche la sospensione dai relativi doveri verso l’Ordine, al quale il sospeso continua ad appartenere. Pertanto, le colpe disciplinari eventualmente da lui commesse nel periodo della sospensione potranno comunque dare luogo ad un relativo procedimento una volta che la sospensione sia stata revocata: cfr. Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 119 ss.

[71] Cfr. Lega, Ordinamenti professionali, cit., p. 6 ss.

[72] Cfr. Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 119 ss., e, dello stesso autore, Professioni (disciplina delle), cit., p.1040 ss.

[73] Non si può ravvisare una “scorrettezza professionale” nel non aver pagato il contributo annuale, ad es. per sopravvenuto, sia pur momentaneo, pauperismo: cfr. Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 119 ss.

[74] Non in tutti gli ordinamenti professionali è prevista questa funzione di designazione, ma ciò non significa che l’ente professionale non possa esercitarla quando ne è sollecitato da pubbliche autorità.

[75] Cfr. Lega, Ordinamenti professionali, cit., p. 6 ss.

[76] Cfr. Teresi, op. cit., p 449 ss.

[77] Vedasi, inoltre, l’art. 10 DPR 27 ottobre 1953 n. 1068 sui ragionieri e periti commerciali; art. 12 lett. h e i L. 28 marzo 1968 n. 434 sui periti agrari. Cfr. Catelani, op. cit., p. 203 ss.

[78] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 288 ss.

[79] Cfr. Catelani, op. cit., p. 203 ss.

[80] Disposizioni analoghe sono contenute in molte leggi professionali: si veda, ad esempio, l’art. 25 DPR n. 1067 e n. 1068 del 1953 per i dottori commercialisti; l’art. 20 lett. a) della L. n. 69 del 1963 per i giornalisti; l’art. 26 lett. a) della L. 28 marzo 1968 n. 434 per i periti agrari; l’art. 2 lett. a) L. 3 agosto 1949 n. 577 per i notai (tale articolo stabilisce addirittura che il Consiglio nazionale del notariato ha, oltre alla funzione consultiva, un diritto di iniziativa, e cioè di presentare al Ministro di Grazia e Giustizia o alle altre autorità competenti, proposte in materia di notariato o relative all’attività notarile).

[81] Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 299 ss.

[82] Cfr. Piscione, “Professioni (disciplina delle)”, cit., 1040 ss.

[83] Questa attività ha motivi di analogia con quella esercitata dagli arbitri amichevoli compositori quando le parti conferiscono all’ente mandato di comporre la controversia. Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 288 ss.

[84] Secondo qualche autore, la posizione dell’Ordine o Collegio non può, in questi casi, essere tacciata di parzialità, perché si tratta di enti pubblici che, come tali, rappresentano gli interessi professionali solo in quanto questi siano coincidenti con quelli dell’intera collettività statale, e quindi anche di quanti si servono dell’opera dei professionisti. Cfr. Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p.109 ss.

[85] Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 85 ss.

[86] Cfr. Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p.109 ss.

[87] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 288 ss.

[88] Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 87 ss.

[89] L’art. 5 della legge del 1923 sull’ordinamento della professione di ingegnere e di architetto dispone che il Consiglio dell’Ordine “vigila sulla tutela dell’esercizio professionale e sulla conservazione del decoro dell’Ordine”. Analogamente nelle leggi del 1953 sull’ordinamento delle professioni di ragioniere e di dottore commercialista è previsto che “vigila per la tutela del titolo, per il legale esercizio della professione, per il decoro e la indipendenza dell’Ordine o Collegio”. Cfr., inoltre, l’ordinamento professionale degli psicologi (art. 12, lett. h) e dei tecnologi alimentari (art. 13, lett. b).

[90] Cfr. Teresi, op. cit., p 449 ss.

[91] Cfr. Catelani, op. cit., p. 203 ss.

[92] L’art. 2, lett. D, della legge del 3 agosto 1949 n. 577 sancisce che il Consiglio nazionale del notariato assume e promuove iniziative per lo studio di argomenti che riguardano il notariato ed i suoi istituti, compresi quelli relativi alle forme di previdenza e assistenza dei notai. Nell’ordinamento dei giornalisti è stabilito che il Consiglio nazionale coordina e promuove le attività culturali dei Consigli degli Ordini per favorire le iniziative intese al miglioramento e al perfezionamento professionale. Cfr., sul punto, Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p.109 ss.

[93] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 288 ss.

[94] Per quanto riguarda la gestione patrimoniale gli organi dell’ente devono osservare il principio di buona amministrazione, anche da un punto di vista di tecnica contabile.

[95] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 288 ss.

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