L'albo professionale: natura e funzioni

Indice:
§ 1: L’albo professionale
§ 1.1: Il trasferimento da un albo ad un altro, la cancellazione e la reiscrizione
§ 2: I requisiti per l’iscrizione negli albi
§ 2.1: Il requisito della cittadinanza
§ 2.2: I requisiti dell’età e del godimento dei diritti civili e politici
§ 2.3: Il requisito della residenza
§ 2.4: Il praticantato
§ 2.5: L’esame di Stato
§ 2.6: Le incompatibilità
§ 2.7: Requisiti specifici
§ 3: Il requisito della buona condotta: ai fini della iscrizione e/o della permanenza nell’albo
§ 4: L’atto di iscrizione all’albo

* * *

§ 1 L’albo professionale

L’iscrizione all’albo professionale è condizione per l’esercizio legittimo della professione intellettuale[1] [2].

Circa il contenuto dell’albo professionale, esso deve riportare in ordine alfabetico il cognome, il nome, la data di nascita unitamente ad altre notizie personali (il domicilio, la data di iscrizione ed il titolo in base al quale è avvenuta l’eventuale specializzazione, ecc.) dei professionisti che hanno ottenuto l’iscrizione[3]. Tale elenco è compilato secondo l’ordine di anzianità d’iscrizione[4] e porta un indice alfabetico che ripete il numero d’origine d’iscrizione.

Tuttavia, l’albo non è un mero elenco di nominativi, bensì “l’elemento caratterizzatore intorno al quale si configura il gruppo”, per cui, sotto il profilo organizzativo, il gruppo, come figura associativa, esiste ed è giuridicamente individuabile nel complesso delle persone iscritte all’albo[5] [6].

Invece, l’albo professionale (denominato “ruolo” per determinate professioni[7]) è messo a disposizione del pubblico gratuitamente affinché chi ha interesse possa prendere conoscenza dei dati ivi contenuti[8], fornendo in tal modo certezza[9] a quanti lo consultano per trovarvi un esperto in una certa materia professionale. Solo in questo caso il terzo, che intende avvalersi dell’opera professionale di uno degli iscritti all’albo, può essere certo dell’esistenza in tali lavoratori autonomi del requisito della professionalità (cioè della capacità tecnica nella propria disciplina, che rappresenta, appunto, la condizione indispensabile per l’iscrizione all’albo), e, quindi, dell’attendibilità e della serietà dei loro pareri e dei risultati della loro attività[10] [11]. Tale funzione informativa rende necessario, per avere un certo grado di attendibilità, che l’albo sia tenuto costantemente aggiornato, cioè sia a revisione permanente. Infatti, le nostre leggi professionali stabiliscono la revisione degli albi ogni uno o più anni per verificare se negli iscritti permangano i requisiti di legge, che li abilitano all’esercizio della professione. A questo riguardo si ritiene che chiunque può chiedere agli Ordini o Collegi certificati, a firma del segretario e del presidente, sull’effettiva qualità professionale degli iscritti[12].

Oltre alla suddetta funzione pubblicitaria, gli albi professionali consentono il controllo e la vigilanza che sui singoli iscritti viene esercitata dagli enti professionali e dalle pubbliche autorità[13].

Il numero dei posti contemplati dall’albo può essere aperto o chiuso o temporaneamente bloccato per motivi contingenti di affollamento professionale[14], che provoca notevoli inconvenienti nell’esercizio professionale (prima fra tutti la disoccupazione). La limitazione dei posti di un albo è, comunque, un provvedimento eccezionale di limitata efficacia temporale[15].

Annessi agli albi sono frequenti particolari elenchi di coloro che hanno un esercizio più limitato e talvolta più esteso della professione. Così l’albo speciale degli abilitati al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori, che è unico per tutto lo Stato, tenuto dal Consiglio Nazionale forense, al quale si può essere iscritti per anzianità di esercizio professionale, per esame, o di diritto (professori universitari ed ex magistrati con determinate qualità) previa iscrizione contemporanea, e ciò per almeno i primi venti anni, anche nell’albo circoscrizionale. Fino a poco tempo fa esisteva inoltre l’albo dei procuratori legali, soppresso dalla L. 24 febbraio 1997, n. 27.

All’albo dei giornalisti sono annessi sia il registro dei praticanti sia due elenchi speciali. Al primo, previo esame di cultura generale per i soli diplomati di scuola media superiore, possono essere iscritti per non più di tre anni quei maggiorenni che abbiano effettivamente iniziata la pratica giornalistica; al secondo sono iscritti i giornalisti di nazionalità straniera residenti in Italia sempre che lo Stato, di cui sono cittadini, pratichi il trattamento di reciprocità, oppure abbiano avuto diritto d’asilo[16]; infine, al terzo elenco sono iscritti coloro che, pur non esercitando l’attività di giornalista, assumano la qualifica di direttore responsabile di periodici o riviste a carattere tecnico, professionale o scientifico, esclusi quelli sportivi o cinematografici. Tutti costoro, oltre a non avere nell’ordine elettorato né attivo né passivo, hanno la legittimazione ad un esercizio professionale più limitato perché non possono essere né direttore, né vicedirettore responsabile di alcun periodico neanche di partito o movimento politico o sindacale, che pure può essere diretto anche da un non giornalista; in tal caso costui, infatti, viene provvisoriamente iscritto all’albo, nell’elenco dei professionisti se si tratta di quotidiano ed in quello dei pubblicisti se si tratta di altro periodico[17].


§1.1 Il trasferimento da un albo ad un altro, la cancellazione e la reiscrizione

Il trasferimento dell’iscritto da un determinato albo in un altro albo della stessa professione posto in diversa circoscrizione territoriale è disciplinato espressamente in taluni ordinamenti e in altri no. Il trasferimento è un fenomeno comune e ricorrente abbastanza spesso in tutte le professioni e deve essere autorizzato, sia in partenza che in arrivo, quando il professionista è tenuto a risiedere nel territorio di competenza dell’ente professionale che tiene l’albo. Egli pertanto viene cancellato da questo albo ed iscritto nell’altro, previo rinnovo della procedura di accertamento dei requisiti da parte del Consiglio dell’Ordine o Collegio della nuova sede[18].

Quando vengono meno i requisiti e le condizioni prescritti dalle leggi per l’iscrizione e la permanenza nell’albo, lo stesso organo che ha proceduto all’iscrizione (il Consiglio dell’Ordine o Collegio) provvede alla cancellazione dell’iscritto, la quale viene effettuata sulla base di un provvedimento. Alla cancellazione si deve procedere di diritto in esecuzione di un provvedimento dell’autorità amministrativa o giudiziaria che ha disposto la revoca dell’abilitazione o l’interdizione dall’esercizio professionale. La cancellazione può avvenire anche su richiesta dell’interessato ed equivale ad un atto di dimissioni che può essere variamente motivato: ragioni di salute, di età, di famiglia, di incompatibilità sopravvenuta e altro. Può essere sollecitata anche dal P.M. presso il Tribunale nei casi di revoca o interdizione sopra ricordati.

Il provvedimento di cancellazione ha natura giuridica eguale a quello di iscrizione. Salvo il caso di dimissioni, esso è preceduto da un procedimento di accertamento dei motivi che la giustificano. Il provvedimento di cancellazione svolge, come quello di iscrizione, funzioni certative e di pubblicità della mutata situazione giuridica che viene a verificarsi per il già iscritto.

Fra le altre cause, ricordiamo che la cancellazione può essere pronunciata per morosità con riguardo al pagamento della tassa d’iscrizione o della quota associative dovute all’ente professionale.

Tuttavia non comporta la cancellazione dall’albo la sospensione dall’eserciz
io professionale per un determinato periodo di tempo a seguito di provvedimenti di natura disciplinare o penale[19].

Il professionista che è stato cancellato dall’albo può esservi reiscritto a sua domanda verificandosi determinate condizioni. Bisogna anzitutto distinguere i motivi in base ai quali la cancellazione è stata disposta. Se, ad es., fu dovuta a motivi di incompatibilità e tali motivi successivamente sono scomparsi, il professionista può chiedere e ottenere la reiscrizione. Come regola generale, alla domanda di reiscrizione fa sempre seguito un procedimento di accertamento vertente su tutti indistintamente i requisiti voluti dalla legge come se si trattasse di procedere all’iscrizione per la prima volta. Se invece la cancellazione è stata determinata da motivi disciplinari, oppure è l’effetto di una sentenza penale, deve intercorrere un certo periodo di tempo dal provvedimento disciplinare e, nel caso di condanna penale, deve essere intervenuta la riabilitazione giudiziale[20]. Tuttavia, la riabilitazione non dà, di per se stessa, diritto alla reiscrizione perché il Consiglio dell’Ordine o Collegio può valutare discrezionalmente i comportamenti precedenti e successivi alla cancellazione[21] [22].

§ 2 I requisiti per l’iscrizione negli albi.

Ai fini dell’iscrizione all’albo professionale, il Consiglio dell’Ordine o Collegio deve accertare in capo al richiedente l’iscrizione la presenza di determinati requisiti, ai quali l’ordinamento subordina l’esercizio della libera professione.

L’elencazione di tali requisiti è contenuta in ciascuna delle leggi professionali, ed in generale essi sono: il possesso della cittadinanza italiana e dei diritti civili; l’avere ottenuto una laurea o titolo equipollente, a seconda delle professioni; l’aver superato l’esame di stato; l’avere residenza nella circoscrizione territoriale ove ha sede il Consiglio dell’ente; il non trovarsi in condizioni di incompatibilità o di indegnità (non aver subito condanne); l’aver una certa età (minima e massima); l’aver un congruo periodo di pratica professionale[23]. Considerazioni particolari devono, inoltre, essere fatte riguardo al requisito della buona condotta.

Analizziamoli più in dettaglio.

§ 2.1 Il requisito della cittadinanza.

Mentre le altre attività lavorative sono, in linea di massima, aperte a tutti, nel vigente diritto positivo, l’esercizio della professione non è consentito a chiunque, ma solo a coloro che siano cittadini dello Stato italiano[24] o di uno Stato dell’Unione Europea[25].

Tuttavia, va posto in evidenza la ammissibilità dell’iscrizione degli stranieri a condizione che siano cittadini di uno Stato con cui il governo italiano abbia stipulato, sulla base della reciprocità, un accordo speciale che consenta ad essi l’esercizio della professione in Italia[26]. La suaccennata condizione di reciprocità “non è richiesta nei confronti del giornalista straniero che abbia ottenuto il riconoscimento del diritto di asilo politico” (art. 36, comma 1, L. 3 febbraio 1963, n. 69). In altre normative sulla professione (avvocato, geologo e biologo) si prevede, altresì, l’iscrizione di italiani “appartenenti a territori non uniti politicamente all’Italia”[27].

§ 2.2 I requisiti dell’età e del godimento dei diritti civili e politici.

L’età minima che si richiede è generalmente quella di 21 anni[28], mentre, per i soli giornalisti, è sufficiente aver compiuto i 18 anni[29]. La previsione di un’età massima (di 75 anni) esiste, invece, per i soli notai[30] [31].

Poco deve dirsi, poi, in merito all’ulteriore requisito del godimento dei diritti civili e politici e dell’assenza di precedenti penali (la quale si dimostra con la presentazione del certificato generale del casellario giudiziario)[32] [33].

§ 2.3 Il requisito della residenza.

Una delle condizioni prescritte da parecchi ordinamenti professionali è quella della residenza del professionista in una determinata circoscrizione territoriale che normalmente corrisponde alla competenza territoriale dell’ente professionale (provinciale, regionale, interregionale)[34].

Rilevante, al riguardo, è la recente giurisprudenza della Cassazione[35], la quale ha ribadito che “la residenza assurge a dignità di requisito non solo per ottenere, ma anche per mantenere successivamente l’iscrizione nell’albo di ogni singolo Ordine, cosicché il professionista il quale trasferisca la propria residenza, deve chiedere il trasferimento dell’iscrizione nell’albo dell’Ordine della circoscrizione della nuova residenza, pena appunto la cancellazione dall’albo”.

Secondo l’ordinamento forense, gli avvocati debbono risiedere “nella circoscrizione del Tribunale nel cui albo l’iscrizione è domandata”[36], ma “possono esercitare la professione davanti a tutte le Corti d’appello, i Tribunali e le Preture della Repubblica”[37].

I giornalisti italiani che abbiano abituale residenza fuori dello Stato (corrispondenti dall’estero) sono iscritti nell’albo del Collegio di Roma. I giornalisti stranieri maggiorenni residenti in Italia possono ottenere l’iscrizione nell’elenco speciale purché lo Stato di cui sono cittadini pratichi il trattamento di reciprocità, ma tale condizione non è richiesta al giornalista straniero che abbia ottenuto il riconoscimento del diritto di asilo politico[38].

I dottori agronomi, poi, che «si trasferiscono all’estero, potranno conservare l’iscrizione nell’albo dell’Ordine nel quale figuravano iscritti prima dell’espatrio»[39], mentre i biologi e i geologi italiani già residenti all’estero possono essere esonerati, per l’iscrizione nell’albo, dal requisito della residenza in Italia se «dimostrino di risiedere all’estero al servizio», in tale qualità, «di enti od imprese che operano fuori del territorio dello Stato»[40].

Gli attuari non residenti in Italia che esercitano all’estero funzioni di consulenza e di tutela in favore di nostri connazionali all’estero, sono iscritti in Italia[41].

Va inoltre tenuto presente che il professionista che intende trasferire la propria residenza, al fine di evitare la cancellazione dall’albo di origine per difetto del requisito della residenza, ha l’onere di chiedere il trasferimento dell’iscrizione presso l’Ordine della circoscrizione della nuova residenza, prima ancora di aver ottenuto la nuova iscrizione e di essersi effettivamente trasferito, tanto più che, in caso di mancata assunzione della nuova residenza, seguirà la cancellazione dell’albo, previa audizione dell’interessato[42] [43] [44].

§ 2.4 Il praticantato.

Lo svolgimento della pratica professionale viene generalmente riconosciuto come indispensabile strumento per la corretta applicazione nei casi concreti di nozioni teoriche apprese in precedenza in vista dell’esercizio di una determinata professione. Il modo con cui si svolge la pratica permette, fra l’altro, la possibilità di accrescimento e perfezionamento delle conoscenze teoriche possedute, nonché l’inserzione di fatto nei gruppi professionali e la conoscenza delle regole di deontologia che li disciplinano.

La durata del praticantato è di solito fissata in un biennio e si svolge, salvo alcune eccezioni, dopo il conseguimento del titolo di studio.

L’oggetto del praticantato consiste non solo nell’assistere allo svolgimento, nel suo concreto modo d’essere, della professione, ma anche nel parteciparvi assiduamente sotto la guida e la responsabilità di chi si è assunto l’onere di impartire al praticante le nozioni, le direttive, i consigli che si riferiscono allo svolgimento di una determinata professione.

Il praticante non riceve retribuzioni per l’opera da
lui svolta, tuttavia può ricevere un compenso, non però a titolo di controprestazione. Disposizioni particolari e di dettaglio sono stabilite per il praticantato nelle singole professioni[45].

In particolare a proposito della professione forense, è previsto che i praticanti abbiano compiuto lodevolmente e proficuamente un periodo di pratica, frequentando lo studio di un avvocato ed assistendo alle udienze civili e penali della Corte d’appello o del Tribunale[46], periodo non inferiore a due anni[47] nel corso del quale sono iscritti in uno speciale registro tenuto dal Consiglio dell’ordine[48].

Per quanto concerne, invece, i medici è ritenuto obbligatorio che «per essere ammessi a sostenere l’esame di Stato di abilitazione all’esercizio professionale, i laureati in medicina e chirurgia devono aver compiuto un anno di tirocinio, in qualità di interni, presso gli istituti clinici universitari, o presso gli ospedali regionali o presso altri ospedali riconosciuti idonei a tal fine con decreto del Ministro per la sanità di concerto con il Ministro per la pubblica istruzione»[49]. Durante tale tirocinio i suddetti laureati «sono autorizzati ad esercitare le attività necessarie per il conseguimento di una adeguata preparazione professionale sotto il controllo dei direttori delle cliniche universitarie o dei primari ospedalieri» (art. 46).

La legge sulla stampa del 3 febbraio 1963, n. 69, stabilisce, con riferimento ai giornalisti, che la loro pratica «deve svolgersi presso un quotidiano, o presso il servizio giornalistico della radio o della televisione, o presso un’agenzia quotidiana di stampa a diffusione nazionale e con almeno 4 giornalisti professionisti redattori ordinari» (art. 34, 1° comma) per almeno 18 mesi (art. 29). Dopo tale periodo, «a richiesta del praticante, il direttore responsabile della pubblicazione gli rilascia una dichiarazione motivata sull’attività giornalistica svolta» da allegare alla domanda di iscrizione.

I notai, invece, sono tenuti a compiere “pratica per due anni continui, dopo l’iscrizione” tra i praticanti presso un consiglio notarile, da “un notaio del distretto, designato dal praticante, col consenso del notaio stesso e coll’approvazione del Consiglio”[50].

Per quanto riguarda i farmacisti, d’altra parte, è stabilito che, dopo il superamento di tutti gli esami speciali, essi devono svolgere un anno di pratica presso una farmacia autorizzata[51].

Per quanto riguarda i ragionieri, inoltre, l’art. 2, 2° comma, lett. d), L. 15 luglio 1906, n. 327[52] stabilisce che essi, successivamente al conseguimento del diploma, devono far pratica per due anni presso un ragioniere collegiato e superare un non specificato esame di carattere pratico[53].

§ 2.5 L’esame di Stato.

Oltre al possesso del relativo titolo di studio[54], occorre di regola (fanno eccezione i giornalisti) aver superato il relativo esame di Stato.

Esso è previsto e disciplinato dall’art. 33, comma 5, della Costituzione, che stabilisce: «È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi, e per l’abilitazione all’esercizio professionale». Tale esame mira a controllare che il candidato possegga non solo una preparazione teorica ma anche e specialmente quella di carattere pratico che, con la prima, è destinata a costituire il bagaglio delle cognizioni che servono per l’esercizio di fatto della professione[55].

Le Commissioni giudicatrici, secondo la legge 8 dicembre 1956 e il D.M. 9 settembre 1957, sono nominate dal Ministro della pubblica istruzione, sono presiedute da un professore universitario di ruolo, fuori ruolo o in pensione, e sono composte da un numero variabile di membri, a seconda della professione (da 4 a 11), nominati dallo stesso Ministro, il quale li presceglie ciascuno da una terna designata dal competente Ordine professionale. La designazione sarà fatta fra gli iscritti all’albo, o comunque dei professionisti del ramo, che abbiano non meno di quindici anni di lodevole esercizio professionale.

Gli esami hanno luogo ogni anno, in una sola sessione, e possono svolgersi soltanto nelle città sedi di Ordini professionali e di Università o Istituti superiori. Per la professione di medico-chirurgo è necessario anche che la città sia sede di un ospedale di prima categoria (art 28 dec. min. cit.)[56]. Non è consentito sostenere, nella stessa sessione, esami per l’abilitazione all’esercizio di più di una professione (art. 3 dec. min. cit.). Il candidato dichiarato non idoneo può ripetere l’esame nella sessione immediatamente successiva, ma, qualora nemmeno in questa consegua l’idoneità, non potrà ripetere l’esame se non con l’intervallo di una sessione (art. 19 dec. min. cit.)[57].

§ 2.6 Le incompatibilità.

L’iscrizione negli albi professionali è anche condizionata da particolari incompatibilità variamente e tassativamente determinate nelle singole leggi professionali o in altre fonti[58] in relazione alla natura e alle finalità della professione regolamentata.

Il diniego di iscrizione o la cancellazione dagli albi per incompatibilità va basata sulla situazione di fatto esistente al momento della decisione e non in quello dell’inizio del procedimento[59] [60].

È opportuno soffermarsi sulla ratio dell’esistenza di tali incompatibilità. Va, innanzitutto, detto che esse sono finalizzate oltre che a tutelare l’indipendenza e il decoro professionale, anche a tutelare l’interesse pubblico collegato alla correttezza e moralità del professionista nello svolgimento dell’attività professionale. Esattamente è stato ritenuto che tali incompatibilità non contrastano con le norme della Costituzione (artt. 4 e 41) sulla libera scelta dell’attività professionale[61] [62].

Per quanto riguarda le conseguenze derivanti dal rilievo da parte del Consiglio dell’ordine circa la sussistenza di cause di incompatibilità, dobbiamo evidenziare l’orientamento oscillante della giurisprudenza che talvolta ha ritenuto di dover affermare che nel caso in cui l’incompatibilità sia preesistente alla iscrizione all’albo si dovrà procedere all’annullamento dell’originario provvedimento di iscrizione per illegittimità dovuta all’assenza di uno dei requisiti essenziali[63] con successiva trasmissione degli atti al pubblico ministero onde verificare se nel contempo sia stata illegittimamente svolta la professione, talaltra, invece, ha sostenuto che nel caso di incompatibilità, preesistente non si dovrà procedere ad una dichiarazione di nullità dell’originario atto di iscrizione, bensì ad una cancellazione dall’albo[64].

Per quanto riguarda le specifiche incompatibilità, si possono citare il R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 sull’ordinamento della professione forense secondo il quale “l’esercizio della professione di avvocato è incompatibile con l’esercizio della professione di notaio, con la qualità di ministro di qualunque culto avente giurisdizione o cura di anime, di giornalista professionista, di direttore di banca, di mediatore, di agente di cambio, di sensale, di ricevitore del lotto, di appaltatore di un pubblico servizio o di una pubblica fornitura, di esattore di pubblici tributi o d’incaricato di gestioni esattoriali” nonché “con ogni altro impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o di consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario” (art. 3, 1° e 3° comma).

La L. 16 febbraio 1913, n. 89 sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili stabilisce che «l’ufficio di notaio è incompatibile con la professione di avvocato, di procuratore, di direttore di banca, di commerciante, di mediatore, agente di cambio o sensale, di ricevitore del lotto, di esattore di tributi o incaricato della gestione esattoriale e con la qualità di Mini
stro di qualunque culto» (art. 2, 1° comma).

Il D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067 sull’ordinamento della professione di dottore commercialista dispone che “l’esercizio della professione di dottore commercialista è incompatibile con l’esercizio della professione di notaio, con l’esercizio del commercio in nome proprio o in nome altrui, con la qualità di ministro di qualunque culto, di giornalista professionista, di mediatore, di agente di cambio, di ricevitore del lotto, di appaltatore di servizio pubblico, di esattore di pubblici tributi e di incaricato di gestioni esattoriali” (art. 3, 1° comma).

La L. 11 gennaio 1979, n. 12 sull’ordinamento della professione di consulente del lavoro prevede che “l’iscrizione nell’albo dei consulenti del lavoro non è consentita ai dipendenti degli istituti di patronato o delle associazioni sindacali dei lavoratori, agli esattori di tributi, ai notai e ai giornalisti professionisti” (art. 4).

Condizioni d’incompatibilità sono, poi, in generale indicate per gli impiegati statali nel D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 il quale così statuisce: “L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per i quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente” (art. 60). Per i dipendenti degli enti locali la legge comunale e provinciale del 3 marzo 1934, n. 383 dispone testualmente che “con la qualità d’impiegato dei comuni è incompatibile l’esercizio di qualunque professione” (art. 241, 3° comma).

Infine, al quesito se il professionista dipendente possa svolgere o meno contemporaneamente attività pubblica e attività privata, deve in generale rispondersi negativamente salvo espresse eccezioni previste nelle leggi professionali. Così, ad es., per il medico è considerata lecita la coesistenza della libera professione con un rapporto impiegatizio intercorso con un ente pubblico[65], come pure è consentito al professore ed al ricercatore universitari e degli altri istituti superiori con contratto a tempo definito lo svolgimento della professione di avvocato[66]. In alcuni rapporti di pubblico impiego, poi, come ad es. quelli di ingegnere e di architetto, l’esercizio professionale può essere autorizzato dal superiore gerarchico[67] [68].

§ 2.7 Requisiti specifici.

Oltre ai requisiti sino ad ora indicati se ne devono segnalare altri, specifici e caratteristici di determinate professioni. Così, procedendo ad una loro breve elencazione ai possono ricordare: a) la registrazione dell’iscrizione, relativa alle professioni sanitarie, da compiersi nell’ufficio comunale del luogo dove si ha intenzione di svolgere la propria attività professionale (art. 100 T.U. leggi sanitarie); b) la prestazione del giuramento per gli avvocati (art. 12, 2° comma, R.D.L. 1578/1933) e per i notai (art. 18, n. 2, L. 89/1913); c) la dichiarazione di non essere iscritto né di aver fatto domanda di iscrizione in altro albo da parte degli ingegneri e degli architetti (art. 7, lett. f, R.D. 2537/1925); d) la precisazione del proprio stato giuridico professionale da parte del dottore agronomo o del dottore forestale (art. 31, lett. f, L. 3/1976); e) copia dello stato di servizio militare, o del foglio matricolare o del foglio di congedo illimitato, o certificato di esito di leva, debitamente vidimato, o di iscrizione nelle liste di leva e dichiarazione con la quale l’aspirante si impegna, in caso di nomina a cessare dalle altre sue attività incompatibili con la professione scelta per gli agenti di cambio (rispettivamente lett. h e m della parzialmente abrogata L. 515/1956); f) dazione di una cauzione per il notaio (art. 18, n. 1, L. 89/1913) e per il mediatore marittimo (art. 7, lett. f, L. 12 marzo 1968, n. 478)[69].

§ 3 Il requisito della buona condotta: ai fini dell’iscrizione e/o della permanenza nell’albo.

Come anticipato, considerazioni particolari devono essere fatte con riferimento al requisito relativo alla condotta morale.

Recente dottrina[70] ha opportunamente evidenziato come, a differenza di quanto previsto dalle leggi più risalenti[71], nelle recenti leggi professionali non si faccia più alcun cenno al requisito della buona condotta[72].

Questo dato negativo ci obbliga ad una preliminare considerazione, e cioè se tale mancata previsione debba intendersi come una vera e propria lacuna legislativa, ovvero come una voluta omissione del requisito in questione, ritenuto dal legislatore non più indispensabile ai fini dell’iscrizione nell’albo.

Il problema non è di poco conto.

Nel primo caso, infatti, si dovrà valutare se possa ritenersi che il legislatore abbia fatto un rinvio implicito alle precedenti leggi professionali[73], con la ovvia conseguenza che l’ente professionale, nel momento di procedere all’iscrizione nell’albo di un soggetto che ne faccia richiesta, dovrà comunque tenere conto del requisito della buona condotta anche in mancanza di un esplicito riferimento legislativo in tal senso. E tale ipotesi, a mio avviso, è da escludersi anche in considerazione del fatto che la previsione meticolosa di altri requisiti relativamente meno importanti, in relazione ai fini istituzionali dell’ente professionale, (come ad es. la residenza) mal si concilierebbe con tale supposta dimenticanza da parte del legislatore.

Non resterebbe, quindi, che accogliere la seconda ipotesi, e cioè che il legislatore abbia volutamente omesso la necessità di una valutazione sul requisito della buona condotta.

Tuttavia, la prospettata seconda alternativa merita di essere meglio considerata, soprattutto in considerazione del fatto che il requisito della buona condotta previsto dalle più risalenti leggi professionali appariva strettamente legato all’essenza ed ai fini dell’ente professionale, il cui compito era (ma è ancora adesso!) proprio quello di tutelare la professione nel decoro e nel prestigio, i quali sono evidentemente collegati alla condotta morale degli iscritti.

A mio avviso è pertanto imprescindibile un dato di diritto positivo.

Nelle recenti leggi professionali se da un lato è vero che non viene più richiesta ai fini dell’iscrizione una valutazione da parte dell’ente professionale della buona condotta del soggetto richiedente l’iscrizione medesima, dall’altro ad esso si fa inconfutabilmente riferimento a proposito delle sanzioni disciplinari, e cioè con riferimento alla permanenza dell’iscritto nell’albo, quando si afferma che “all’iscritto nell’albo che si renda colpevole di abuso o mancanza nell’esercizio della professione o che comunque si comporti in modo non conforme alla dignità o al decoro professionale (…) può essere inflitta da parte del Consiglio” persino la sanzione disciplinare della cancellazione dall’albo[74].

Pertanto, consentire all’ente professionale di infliggere ad un proprio iscritto la sanzione della cancellazione dall’albo in ragione di fatti non conformi alla dignità e al decoro della professione altro non equivale che riconoscere all’ente stesso di vagliare la buona condotta dell’iscritto al fine di consentirgli la permanenza nell’albo e quindi l’esercizio legittimo della professione.

In sostanza, il requisito della buona condotta è presente anche in quelle leggi professionali che non lo prevedano come requisito di iscrizione ma di permanenza nell’albo, dato che la valutazione della condotta morale dell’iscritto è procrastinata ad un momento successivo all’avvenuta iscrizione.

Tuttavia, il punto cruciale della recente legislazione professionale è se ai fini della cancellazione dell’iscritto dall’albo, la valutazione della condotta morale debba riguardare esclus
ivamente il comportamento dell’iscritto dal momento in cui acquisisce lo status professionale (cioè con l’iscrizione), ovvero possa estendersi a valutazioni precedenti quel momento. In altri termini, può l’ente professionale cancellare dall’albo quel professionista che, prima dell’iscrizione abbia tenuto un comportamento non conforme al decoro e alla dignità professionale? A mio avviso, consentire all’ente professionale una valutazione del genere equivarrebbe proprio a superare i (nuovi) limiti che il legislatore pone con la voluta mancata previsione del requisito in questione considerato ai fini dell’iscrizione (e non della sola permanenza) nell’albo, per cui, ai fini della valutazione della buona condotta nelle recenti leggi professionali, appare senz’altro più corretto ritenere che il comportamento del professionista, che l’ente professionale fa oggetto di valutazione, deve essere relativo ad un momento successivo (o, al limite, contestuale) all’iscrizione nell’albo del professionista medesimo.

Prima di concludere è necessario porsi un ulteriore quesito, e cioè se le recenti leggi professionali (in cui, come si è più volte detto, non è più richiesto il requisito della buona condotta ai fini dell’iscrizione) abbiano una qualche influenza sulle più risalenti (nelle quali, invece, il suddetto requisito è presente anche ai fini dell’iscrizione).

A tal proposito, la giurisprudenza della Cassazione ha più volte fatto riferimento alla necessità ancora attuale del requisito in oggetto a proposito delle più vecchie leggi professionali[75].

Affermata dunque la possibilità di una valutazione del requisito della buona condotta (ai fini della permanenza nell’albo e, ove previsto, anche ai fini dell’iscrizione) vi potrebbe essere il pericolo che tale requisito dia luogo ad arbìtri, da parte dell’ente professionale, qualora lo si intenda come oggetto di una valutazione non vincolata a fatti precisi e specifici, bensì del tutto libera e soggettiva. Affinché questi inconvenienti non si verifichino, occorre che la valutazione dell’ente professionale sia rigorosa e, appunto, perché tale, giunga al diniego dell’iscrizione (o alla cancellazione dall’albo) soltanto quando vi siano fatti specifici che inducono a ritenere con sicurezza che il privato non sia persona moralmente idonea ad esercitare la professione. Deve trattarsi non di fatti la cui valutazione dia luogo ad incertezze, bensì di circostanze obiettivamente valutabili, nelle quali incertezze del genere non possano avere luogo. E l’obiettività della valutazione deve riguardare non soltanto la valutazione dei fatti, in sé considerati, che si addebitino al privato, ma anche la loro idoneità a pregiudicare il corretto esercizio della professione[76].

Tuttavia, sullo specifico problema della discrezionalità o meno della valutazione dei requisiti previsti dalla legge per l’iscrizione (e la permanenza) nell’albo professionale ci soffermeremo ulteriormente quando tratteremo della controversa natura giuridica dell’atto d’iscrizione nell’albo (v. paragrafo successivo).

§ 4 L’atto di iscrizione all’albo.

A questo riguardo, deve anzitutto dirsi che in dottrina non si registra una uniformità di opinioni, in quanto alcuni autori ritengono che tale atto concreti una autorizzazione[77], altri una ammissione[78], altri ancora un accertamento[79], ed infine altri un atto dichiarativo[80].

Esimendomi dallo sposare questa piuttosto che quella tesi circa la vera natura giuridica dell’atto di iscrizione nell’albo professionale, ritengo che un corretto approccio al problema non possa ovviamente prescindere dai più freschi dati di riferimento, e quindi dalla recente opinione espressa al riguardo dalla Corte di Cassazione.

Quest’ultima, dopo le non uniformi pronunce del passato[81] (poco confacenti, del resto, con la funzione di nomofilachia spettante alla Suprema Corte), da qualche anno sembra avere raggiunto una costanza di indirizzo, nel senso cioè che l’iscrizione negli albi professionali sarebbe da definirsi come atto di accertamento costitutivo dello status professionale[82]. A detta della Corte, infatti, “la delibera di iscrizione nell’albo (…) non ha natura di concessione o di autorizzazione ma costituisce atto di accertamento costitutivo di uno status, condizionatamente alla concorrenza di requisiti determinati per legge”[83].

Fondamentale al riguardo è, tuttavia, una considerazione, mirata a chiarire cosa si intenda per “condizionatamente alla concorrenza di requisiti determinati per legge”, e cioè se la suddetta “concorrenza” possa o non possa essere dall’ente professionale adito valutata discrezionalmente (e se sì, di che discrezionalità si tratta).

Il problema qui sollevato è di grande rilevanza dato che, a seconda della soluzione adottata, deriveranno importanti conseguenze circa il rapporto giuridico intercorrente tra il soggetto che richiede l’iscrizione e l’ente professionale adito, da una parte; e circa l’individuazione del giudice competente a risolvere le controversie inerenti alla iscrizione all’albo ed ai poteri da quest’ultimo esercitabili, dall’altra.

Orbene, è da ritenersi oramai superata quella dottrina[84] secondo cui l’atto in questione avrebbe natura discrezionale, in considerazione del fatto che (come già anticipato nel paragrafo che precede) la valutazione da parte dell’ente professionale del requisito della buona condotta (unico, tra i vari requisiti previsti dalle singole leggi professionali, ad essere oggetto di una certa valutazione discrezionale da parte dell’ente professionale, e pertanto vero pomo della discordia tra le due opposte correnti dottrinali) in capo al richiedente l’iscrizione “non implica mai esercizio di potere amministrativo discrezionale in senso proprio, richiedendo invece tutt’al più valutazioni di carattere tecnico-deontologico non riservate nel merito”[85].

L’attendibilità di tali affermazioni si fonda sulla numerosa e recente giurisprudenza della Cassazione secondo cui “anche l’accertamento della buona condotta non comporta l’esercizio di discrezionalità amministrativa mediante l’apprezzamento dell’interesse pubblico, bensì l’individuazione di un parametro, variabile nel tempo, ma, tuttavia, già esistente obiettivamente nella realtà sociale, che al Consiglio spetta solo di individuare ed al quale deve commisurare la condotta dell’aspirante all’iscrizione. Si tratta di un giudizio di natura non diversa da quelli che vengono formulati con riguardo al criterio del buon costume. Giudizi che non consentono alcun apprezzamento discrezionale, rispetto al quale la posizione dei soggetti coinvolti possa configurarsi come interesse legittimo” (Cass., S.U., 29 aprile 1988 n. 3259)[86].

Rilevante al riguardo è inoltre la pronuncia della Cassazione, S.U., n. 3844 del 5 settembre 1989[87], la quale, riferendosi ai consulenti del lavoro, ha affermato che: “L’iscrizione nell’albo professionale resta sottratta a scelte o valutazioni discrezionali dei competenti organi dell’ordine professionale, configurandosi come atto dovuto in virtù del positivo riscontro del possesso da parte dell’istante di determinati requisiti fissati dalla legge, (…) per cui va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario (…) al quale spetta di provvedere con pienezza di poteri e anche con pronuncia di condanna ad eseguire l’iscrizione[88]” (corsivo nostro).

Altrettanto rilevante è Cass., S.U., n. 1620 del 21 febbraio 1997, secondo cui “va affermata la giurisdizione dell’a.g.o. ogni qualvolta l’interessato faccia valere una posizione di diritto soggettivo – a meno che non sia legislativamente affermata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – mentre va dichiarata la giurisdizione di legittimità di quest’ultimo quando la posizione del privato sia di interesse legittimo. Con riferimento all’iscrizione ad un a
lbo professionale, il rapporto tra colui che aspira all’iscrizione all’albo e l’Ordine preposto alla tenuta dell’albo medesimo si identifica con la dicotomia diritto soggettivo-obbligo, anziché con quella interesse legittimo-potere pubblico. Infatti, l’Ordine professionale non ha facoltà di valutare se la chiesta iscrizione corrisponda all’interesse pubblico, ma ha solo il compito di verificare se in realtà l’aspirante sia nel possesso dei requisiti appositamente voluti dalla legge, in quanto tale possesso è condizione necessaria e sufficiente per ottenere l’iscrizione, la quale deve essere disposta se quei requisiti sussistono e deve essere negata nel caso contrario[89]. Né potrebbe essere altrimenti, perché lo svolgimento di una qualunque attività professionale è espressione della generale situazione di libertà assicurata dall’ordinamento italiano ad ogni cittadino (art. 4 cost.), in ordine alla scelta del lavoro. Può accadere che in un dato momento storico, certe attività, prima liberamente esercitabili, sembrino bisognose di una regolamentazione nell’interesse generale e vengano perciò consentite soltanto a chi dimostri di essere capace e degne di esercitarle. Ma qualunque diritto, appunto perché tale e non puro arbitrio o irrilevante possibilità di agire, richiede di essere ancorato a determinati presupposti e circoscritto entro certi limiti; l’importante è che ove ricorrano i presupposti e siano osservati i limiti esso possa pienamente esercitarsi (Cass. n. 2994 del 1991).

Dall’esame della normativa in precedenza esposta emerge che il compito riconosciuto all’Ordine professionale di stabilire la validità della certificazione prodotta dal richiedente al fine del legittimo esercizio dell’attività di psicoterapeuta non implica valutazioni di carattere amministrativo, ossia scelte del comportamento più rispondenti all’interesse pubblico, ma solo l’individuazione di circostanze senza alcun margine di discrezionalità, dal momento che il giudizio formulato in proposito dagli Ordini è espressione di una discrezionalità “tecnica” (rectius: di esercizio di potere di valutazione tecnica), senza incidere sul diritto soggettivo dell’interessato, allo stesso modo come non attiene pacificamente alla discrezionalità amministrativa l’accertamento del requisito della buona condotta dell’aspirante all’iscrizione ad un albo professionale. Si deve, quindi, ritenere che la tutela giurisdizionale delle ragioni di colui che, iscritto all’albo degli psicologi, chiede, a norma dell’art. 35 l. n. 56 del 1989, di esercitare l’attività di psicoterapeuta, non può essere affidata ad altri che non sia il giudice ordinario, istituzionalmente competente in tutte le controversie su diritti soggettivi (art. 2907 c.c. e 1 c.p.c.). A lui spetta di provvedere con pienezza di poteri e quindi anche con pronunce di condanna a consentire l’esercizio, in quanto – si faccia attenzione su questo punto – “non gli sono opponibili i noti limiti che la l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, ha posto a salvaguardia dell’attività discrezionale amministrativa”[90] (corsivo nostro)[91].

In sostanza, il Consiglio dell’Ordine o Collegio cui venga presentata domanda d’iscrizione deve limitarsi ad accertare l’esistenza nel soggetto dei requisiti prescritti all’uopo dalla legge, e, una volta che li abbia verificati, deve accogliere la domanda[92]. In mancanza, trattandosi di diritto soggettivo e non di mero interesse legittimo, sarà possibile adire il giudice ordinario, il quale (come evidenziato nelle citate sentenze) può addirittura condannare l’ente professionale ad eseguire l’iscrizione[93].

***
NOTE:
[1] Rilevanti, al riguardo, sono l’art. 2229 c.c. in cui si stabilisce che “la legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi ed elenchi”; l’art. 2231 c.c. (relativo agli effetti civili della “mancanza di iscrizione”) e l’art. 348 c.p. (concernente, invece, gli effetti penali: “ abusivo esercizio di una professione”). Cfr. Pergolesi, Ordini e collegi professionali, Enc. for., vol. V, Milano, 1960, p. 423 ss.

[2] Le iscrizioni plurime sono in generale vietate. Cfr. Lega, Ordinamenti professionali, cit., p. 9 ss.

[3] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 211 ss.

[4] L’anzianità è determinata dalla data di iscrizione all’albo (v. per tutti l’art. 3 DPR 5 aprile 1950, n. 221, al quale ci si è costantemente rifatti per tutte le professioni). Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 135 ss.

[5] Dagli albi professionali di cui qui ci occupiamo dobbiamo, infatti, tenere distinti quegli elenchi privati di persone che esercitano una libera professione non riconosciuta ex lege. Questi elenchi non hanno carattere ufficiale (cfr. Cass., sez. I, 18 giugno 1965, in Giur. it., 1966, I, 1, 65), ma solo e semplicemente un non necessario scopo divulgativo. Ad es. è diffuso un elenco (incompleto) degli agenti di assicurazione denominato “albo”, pubblicato a cura dell’associazione nazionale di detti agenti (si tratta di un’associazione di diritto privato, liberamente costituitasi).

[6] Cfr. Cavallo, Lo status professionale. Parte speciale, Milano, 1969, p. 105 ss. Cfr. Catelani, op. cit., p. 33 ss. Cfr. Piras, op. cit., p. 83 ss.

[7] Cfr. artt. 16-18 legge notarile 16 febbraio 1913, n. 89. È anche il caso dei revisori ufficiali dei conti e dei mediatori. Anche gli agenti di cambio, prima che la L. 29 maggio 1967, n. 402, prevedesse che venissero organizzati in un “albo”, erano iscritti in un ruolo (tenuto dalle camere di commercio).

[8] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 211 ss.

[9] Secondo Gotti, Gli atti amministrativi dichiarativi. Aspetti sostanziali e profili di tutela, Milano, 1996, p. 210, si tratta di certezza “critica” e non legale.

[10] Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 135 ss.

[11] Da un’altra angolazione, essendo l’esercizio della professione riservato agli appartenenti al gruppo, si assiste all’instaurazione di un sistema monopolistico, che pone il professionista in una situazione di particolare tutela e privilegio, rispetto agli esercenti un’attività lavorativa non disciplinata. Cfr. Piscione, Ordini e collegi professionali, op. cit., p. 44 ss. Tuttavia, una volta iscritto, il professionista non è tenuto a esercitare continuativamente la professione e nemmeno esercitarla effettivamente, salvo alcune eccezioni per cui, in circostanze speciali determinate dalla legge e per motivi di interesse generale, i professionisti di talune categorie sono tenuti a effettuare le proprie prestazioni (medici, notai, agenti di cambio e altri: artt. 57 e 256 T.U. leggi sanitarie; art. 21 legge notarile; art. 11 D.L.L. 19 aprile 1946, n. 321). Cfr. Roversi Monaco, op. cit., p. 156 ss.

[12] L’iscrizione non costituisce prova assoluta, ma semplice presunzione (iuris tantum) del possesso di adeguata capacità professionale. In relazione alle periodiche revisioni e aggiornamenti dell’albo la permanenza dell’iscrizione fa presumere (sempre con presunzione iuris tantum) anche la permanenza dei requisiti (tecnici e morali) richiesti per l’esercizio professionale e costituisce la prova documentale della legittimazione a tale esercizio. Cfr. Piscione, Professioni (disciplina delle), op. cit., 1045 ss. Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, op. cit., p. 211 ss. Secondo il Giannini (voce “Albo”, in Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 1013 ss.), l’albo professionale è l’unico documento ufficiale “facente prova esclusiva ad ogni effetto di legge, dell’iscrizione in esso del professionista e della sussistenza dei requisiti richiesti per l’esercizio professionale”.

[13] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 211 ss.

[14] Cfr. Lega, Ordinamenti professionali, cit., p. 9 ss.

[15] Secondo autorevole d
ottrina, l’albo “chiuso” o “limitato” non curerebbe alle radici il male della disoccupazione da sovraffollamento professionale. Altri più efficaci provvedimenti, infatti, potrebbero essere presi con riguardo alla eliminazione delle cause che provocano il sovraffollamento professionale, facilitando, ad es., altri sbocchi all’attività professionale. Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 211 ss.

[16] L. 10 giugno 1969, n. 308.

[17] Cfr. Di Cerbo, op cit., p. 135 ss. Cfr. Piscione, Professioni (disciplina delle), cit., 1045 ss.

[18] Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 211 ss.

[19] Teresi, op. cit., p. 449 ss.

[20] V. artt. 178-181 c.p. e art. 683 c.p.p.

[21] Nell’ordinamento forense il professionista radiato o cancellato per sanzioni disciplinari può chiedere la reiscrizione solamente dopo cinque anni dal provvedimento e dopo sei anni se fu condannato per delitto commesso con abuso di prestazione d’opera professionale o per delitto contro le pubbliche amministrazioni, la fede pubblica o il patrimonio: art. 47 legge forense; negli ordinamenti delle professioni di dottore commercialista e ragioniere la riammissione nell’albo dei professionisti radiati può avvenire dopo sei anni dal provvedimento di radiazione, previa riabilitazione se intervenuta condanna penale, e, in ogni caso, deve risultare che il radiato tenne dopo la radiazione irreprensibile condotta: art. 45.

[22] Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 211 ss.

[23] Cfr. Lega, Ordinamenti professionali, cit., p. 9 ss. Teresi, op. cit., p. 449 ss.

[24] Vi è in ciò analogia rispetto al pubblico impiego: è questa una diretta conseguenza della rilevanza pubblicistica delle funzioni esercitate. Cfr. Catelani, op. cit., p. 146 ss.

[25] V. Titolo III, Capo I, artt. 48-51, del Trattato CEE firmato a Roma il 25 marzo 1957, come modificato dall’Atto Unico Europeo, firmato a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 e all’Aia il 28 febbraio 1986 (entrato in vigore il 1° luglio 1987). Cfr. art. 7, lett. a, ordinamento psicologi, e art. 27, lett. a, ordinamento tecnologi alimentari.

[26] Cfr. Piras, op. cit., p. 98 ss.

[27] Di Cerbo, op. cit., p. 88 ss.

[28] V., ad esempio, l’art. 5 L. 16 febbraio 1913, n. 89, sull’ordinamento notarile e artt. 100 e 106 del T.U. leggi sanitarie di cui al R.D. 27 luglio 1934, n. 1265.

[29] V. art. 33, L. 69/1963.

[30] V. art. 7, L. 6 agosto 1926 n. 1365.

[31] Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 225 ss.

[32] Piscione, Ordini e collegi professionali, cit., p. 66 ss.

[33] Secondo la Cass., S.U., n. 2129 del 11 aprile 1981, in Rep. Foro it., 1981, voce “Professioni intellettuali”, n. 21 e id., id., n. 7937 del 6 agosto 1980 (pronunce entrambe rese con riferimento ad una fattispecie in cui era intervenuta dichiarazione di fallimento) si è deciso che “la cancellazione dall’albo professionale disposta (…) per sopravvenuto venir meno del requisito del godimento dei diritti civili e politici non ha carattere di sanzione disciplinare e pertanto non è soggetta alle relative formalità. La cancellazione dall’albo ha infatti valore di pronuncia di accertamento del venir meno dei requisiti in base ai quali si era inizialmente proceduto all’iscrizione nell’albo”.

[34] Tuttavia l’iscrizione, in linea generale, conferisce il potere di esercitare la professione in tutto il territorio dello Stato. Cfr. Piscione, ult. cit., p. 66 ss.

[35] Cfr., ad es., Cass., S.U., n. 9292 del 9 novembre 1994, in Rep. Foro it., 1994, voce “Professioni intellettuali”, n. 44.

[36] V. art. 27 R.D.L. 1578/1933.

[37] V. art. 4 D.L. 1578/1933.

[38] V. art. 36 L. 3 febbraio 1963 n. 69, modificato dalla L. 10 giugno 1969, n. 308.

[39] V. art. 33, L. 3/1976.

[40] V., rispettivamente, art. 7 L. 396/1967 e art. 7 L. 112/1963.

[41] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 225 ss.

[42] Cfr. Cass., S. U., 28 giugno 1976, n. 2421, in Giust. civ., 1976, I, p. 1411.

[43] Cfr. Piras, op. cit., p. 98 ss.

[44] Dato che nessuno può essere iscritto contemporaneamente in più di un albo, è previsto, ad esempio, per i giornalisti che, qualora cambino residenza, essi devono chiedere il trasferimento nell’albo del luogo della nuova residenza, pena la cancellazione dall’albo (art. 37 L. 69/1963), a differenza dei commercialisti che invece possono a loro discrezione optare sul cambiamento di albo (art. 33, 1° co., D.P.R. 1067/1953). Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 88 ss.

[45] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 225 ss.

[46] V. art. 17, R.D.L. 1578/1933.

[47] V. art. 2 L. 24 luglio 1985, n. 406.

[48] Più specificamente al fine di conseguire il rilascio del certificato di compimento della pratica, essi devono produrre: 1) attestazione dell’avvocato, presso il quale è stata effettuata la pratica, in merito alla frequenza dello studio e alla effettiva durata di essa; 2) relazione dettagliata sull’attività svolta dal praticante e, in particolare, sulle principali questioni di diritto che ha avuto occasione di esaminare (la relazione deve essere firmata dal praticante e controfirmata dal professionista titolare dello studio ove la pratica è stata eseguita, previa conferma della verità delle circostanze in essa esposte); 3) almeno tre relazioni, per ogni anno di pratica, sulle più importanti cause civili e penali alla cui trattazione o discussione il praticante ha presenziato o, se abilitato al patrocinio, ha partecipato (le relazioni devono essere firmate dal praticante).

[49] V. art. 45 L. 12 febbraio 1968, n. 132.

[50] V. art. 5, n. 5, L.16 febbraio 1913, n. 89.

[51] V. tabella n. XXVII allegata al R.D. 30 settembre 1938, n. 132.

[52] Come riconosciuto dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. 15 marzo 1972, n. 43, in Giur. it., 1972, I, 1, 19821 e dalla Corte di Cassazione (Cass., Sez. I, 24 marzo 1975, n. 1110, in Foro it., 1975, 1, 2750), tale legge è ancora in vigore.

[53] Cfr. Piras, op. cit., p. 98 ss.

[54] Si deve, qui, precisare che per la professione di giornalista e di agente di cambio non è indicato espressamente alcun titolo di studio (v. rispettivamente artt. 29 e 31 L. 69/1963, cit. e art. 1 L.402/1967). Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 88 ss.

[55] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 225 ss.

[56] Va, infine, ricordato che il Ministero della Pubblica Istruzione è tenuto a fissare con ordinanza le sedi in cui dovranno svolgersi le prove d’esame.

[57] Cfr. Piscione, Ordini e collegi professionali, cit., p. 66 ss. Piras, op. cit., p. 98 ss.

[58] Avendo carattere restrittivo, non sono suscettibili di interpretazione analogica. Cfr. Cass., Sez. I, 3 febbraio 1967, n. 302, in Giur. it., 1967, I, 1, 1021.

[59] Cfr. Piscione, Ordini e collegi professionali, cit., p. 66 ss.

[60] Cfr. Cass., S.U., n. 5301 del 12 giugno 1997.

[61] Cfr. Cass., S.U., 1° luglio 1980, n. 4124, in Mass. Foro it., 1980; e Cass., S.U., 12 novembre 1983, n. 6726, in Mass. Foro it., 1983.

[62] Cfr. Lega (Le libere professioni intellettuali, cit., p. 225 ss.), secondo cui l’incompatibilità sopravvenuta dopo l’iscrizione (o anche preesistente, ma non presa in considerazione) non influisce sulla capacità del professionista iscritto (quindi resta integra la validità e l’efficacia del contratto d’opera intervenuto col cliente) fino a quando non sia intervenuta la cancellazione dall’albo.

[63] Cfr. Cons. naz. forense 14 dicembre 1972, in Rass. forense, 1975, p. 22.

[64] Cfr. Piras, op. cit., p. 98 ss.

[65] V. artt. 8 e 10 D.Lg.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233; art. 5 DPR 5 aprile 1950, n. 221 e art. 35 DPR 20 dicembre 1979, n. 76
1.

[66] V. art. 3, 4° comma, lett. d) del RDL 1578/1933.

[67] V. art. 62, 3° comma, R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537.

[68] Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 88 ss.

[69] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 225 ss.

[70] Gotti, Gli atti amministrativi dichiarativi, Milano, 1996, p. 203 ss.

[71] Le leggi professionali più risalenti impiegano, con riferimento al requisito in questione, espressioni diverse che vanno dalle semplici “buona condotta” (cfr. art. 31, 2° comma, L. 69/1963, relativo ai giornalisti; e art. 9 ordinamento sanitari) e “buona condotta morale e civile” (art. 3, lett. e, L. 12/1979, relativo ai consulenti del lavoro) alle più impegnative “condotta specchiatissima ed illibata” (art. 17, n. 3, R.D.L. 1578/1933, relativo agli avvocati), “moralità e condotta sotto ogni rapporto incensurabile” (art. 5, n. 2, L. 89/1913, relativo ai notai), “specchiata condotta morale” (art. 5, lett. c, L. 396/1967 e art. 5, lett. c, L. 112/1963, relativi rispettivamente ai biologi ed ai geologi) e “condotta irreprensibile” (art. 31, n. 3, D.P.R. 1067/1953, relativo ai commercialisti; art. 14 ordinamento attuari), “specchiata condotta morale” (art. 2 legge 25 aprile 1938, n. 897, relativo agli ingegneri) A prescindere, comunque, dai termini impiegati dal legislatore, quando si parla di buona condotta ci si riferisce sia all’aspetto professionale che alla vita privata, giacché la valutazione dell’ordine professionale deve riguardare entrambe le sfere. Cfr. Piras, op. cit., p. 98 ss. Piscione, Ordini e collegi professionali, cit., p. 66 ss.

[72] Cfr. art. 7 L. 18 febbraio 1989 n. 56, relativa alla professione di psicologo, e art. 27 L. 18 gennaio 1994 relativa alla professione di tecnologo alimentare.

[73] Non dimentichiamo che, nella elaborazione delle leggi professionali (anche di quelle più recenti), il legislatore, anche ai fini di dare un assetto unitario alla materia, si è ispirato alle prime leggi professionali, tra cui quella relativa alla professione di avvocato, nella quale è presente il requisito in questione.

[74] V. art. 26 legge professionale dei tecnologi alimentari, e art. 31 legge professionale degli psicologi.

[75] V Cass., S.U., 9 novembre 1994 n. 9291, in Rep. Foro it. 1994, voce “Avvocato”, n. 56; Cass., S.U., 20 ottobre 1993 n. 10382, in Foro it., 1994, I, c. 427. Illuminante è la vicenda relativa a quest’ultima sentenza. “Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bassano del Grappa con deliberazione del 5 luglio 1991 disponeva l’annullamento della precedente deliberazione con cui, il 7 giugno dello stesso anno, aveva disposto la iscrizione del dr. A. P. nell’albo dei procuratori legali. A tanto il Consiglio si determinava in forza dei rilievi che alcuni fatti (i quali avevano determinato l’apertura di un procedimento penale a carico del dr. P. anteriormente al 17 giugno 1991, ma che erano venuti a conoscenza dell’Ordine professionale solo successivamente) palesavano, una volta autonomamente valutati sotto il profilo deontologico, la mancanza nell’aspirante alla iscrizione – sin dal tempo della sua istanza – del requisito previsto nell’art. 17, n. 3, del R.D.L. 27 dicembre 1933 n. 1578 (essere persona di condotta specchiatissima ed illibata). Inoltre, la mancata segnalazione, da parte dell’istante, della pendenza del procedimento penale deponeva ulteriormente per la insussistenza del menzionato requisito. Il dr. P. proponeva ricorso al Consiglio nazionale forense, che lo rigettava con decisione del 21.12.1991-29 gennaio 1993. Per la cassazione di tale decisione il dr. A. P. ha proposto tempestivo ricorso a queste Sezioni Unite. Non sembra dubitabile che il difetto del requisito della condotta illibata determini, in pregiudizio dello aspirante, una situazione incompatibile con il chiesto riconoscimento del diritto alla iscrizione. A parte infatti ogni questione classificatoria, se il provvedimento adottato il 5.7.1991 dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Bassano del Grappa fosse più esattamente da riconnettere ad un potere di cancellazione oppure di annullamento della iscrizione nell’albo, rimane comunque fermo il dato che la situazione soggettiva ostativa addotta a fondamento del provvedimento caducatorio venne ravvisata nel difetto originario ed anteriore alla deliberazione di iscrizione, del requisito della condotta illibata e specchiatissima (ex art. 37 n. 1 del R.D.L.). (…) Il potere di cancellazione può essere esercitato sia per fatti sopravvenuti sia per fatti anteriori alla iscrizione di cui erroneamente non sia stato tenuto conto all’origine (cfr., tra le altre, Cass. S.U. n. 12016 del 1991, in Rep. Foro it., 1991, voce “Avvocato”, nn. 34 e 38 e id., id., n. 13005 del 1992, in Rep. Foro it., 1992, voce “Avvocato”, nn. 51 e 64 e voce “Professioni intellettuali”, n. 56). (…) Non può essere tratto argomento a sostegno di un sospetto d’illegittimità del n. 3 dell’art. 17 del R.D.L. n. 1578 del 1933 (requisito della buona condotta) per asserito contrasto con gli art. 2, 3 e 4 della Costituzione. Sotto una diversa prospettiva, il ricorrente sostiene che il requisito della condotta illibata sarebbe da considerare implicitamente abrogato anche per l’aspirante esercente la professione di avvocato, per effetto della legge n. 732 del 29 ottobre 1984, che analogo requisito ha eliminato per l’accesso ai pubblici impieghi. Anche questo assunto è privo di fondamento, in quanto non tiene conto dei poteri di autogoverno che per legge sono stati riconosciuti alla categoria degli esercenti la professione forense con la predisposizione di un ordinamento che solo una specifica norma avente valore di legge, potrebbe limitare o modificare”. (Omissis).

[76] Cfr. Catelani, op. cit., p. 146 ss.

[77] Cfr. Teresi, op. cit., p. 454.

[78] Cfr. Piscione, Ordini e collegi professionali, cit., p. 48 ss.; cfr. Piscione, Professioni (disciplina delle), cit., p. 1040 ss.; cfr. Roversi Monaco, op. cit., p. 156 ss.; cfr. Zanobini, L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in Primo trattato di diritto amministrativo (a cura di Orlando), II, parte terza, Milano, p. 338 ss.; cfr. Catelani, op. cit., p. 138.

[79] Cfr. Pergolesi, op. cit., p. 423 ss.; cfr. Giuliano, Ordini ed albi professionali. La retribuzione ai professionisti di fatto, Roma, 1960, p. 83; cfr. Lega, Ordinamenti professionali, cit., p. 6 ss.; Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 255 ss.; cfr. Piras, op. cit., p. 67 ss.

[80] Cfr. Gotti, Gli atti amministrativi dichiarativi, Milano, 1996, p. 201 ss.

[81] Secondo un risalente orientamento il provvedimento di iscrizione nell’albo sarebbe un “atto di ammissione previo accertamento delle condizioni di legge”: cfr. Cass. Sez. I, 31 ottobre 1958, n. 3599, in Mass. Foro it., 1958, p. 743; Cass., S. U., 8 marzo 1955, n. 690, in Mass. Giur. it., 1955, p. 157; Cass., S. U., 6 ottobre 1954, n. 3350, ivi, 1954, p. 749; Cass., S. U., 11 luglio 1955, n. 2199, in Giust. Civ., 1955, I, p. 83; Cass., S. U., 7 ottobre 1964, n. 2544, in Temi nap., 1964, I, p. 470. Secondo un altro orientamento il provvedimento di iscrizione negli albi professionali avrebbe natura dichiarativa ed i suoi effetti retroagirebbero al momento del verificarsi della condizione per l’acquisizione dello status professionale: cfr. Cass., S.U., 1680/1959, in Mass. Giur. lav., 1959, p. 207. Secondo un altro orientamento ancora l’atto di iscrizione all’albo professionale si configurerebbe come autorizzazione basata su una scelta discrezionale (in base a valutazioni motivate sulla corrispondenza delle condizioni richieste volta per volta dalla legge e gli interessi pubblici generali che la potestà autorizzativa vuole tutelare): cfr. Cass., sez. I, n. 2658 del 1974, in Mass. Foro It., 1974, c. 628; Cass., S.U., 25 novembre 1981 n. 6252, in Foro it., 1982, I, cc. 1633.

[82] Cfr. Cass., S. U., 20 ottobre 1993, n. 10382, in Foro it., 1994, I, c.
427; id., 30 dicembre 1991, n. 14021, ivi, 1992, I, c. 349; id., sez. lav., 13 settembre 1991, n. 9570, in Mass. Foro it., 1991, c. 864; id., S. U., 4 maggio 1991, n. 4940, ivi, 1991, c. 418; id., ord. 14 febbraio 1990, n. 84, in Foro it., 1990, I, c. 864; id., sez. lav., 4 aprile 1987, n. 3296, in Mass. Foro it., 1987, c. 565; id., 10 gennaio 1987, n. 109, ivi, 1987, c. 20; id., 29 giugno 1984, n. 3849, in Foro it., 1984, I, c. 2147; id., S. U., 17 giugno 1982, n. 3675, in Mass. Foro it., 1982, c. 770; id., 25 novembre 1981, n. 6252, in Foro it., 1982, I, c. 1633.

[83] Cass., S.U., n. 10382 cit.

[84] Tra cui Piscione, Ordini e collegi professionali, cit., p. 48 e ss.

[85] Gotti, Gli atti amministrativi dichiarativi, cit., p. 204.

[86] In Mass. Foro it., 1988, c. 482.

[87] In Rep. Foro it., 1989, voce “Professioni intellettuali”, n. 69.

[88] Conformi le sentenze, S.U., del 7 ottobre 1983 n. 5837, in Rep. Foro it., 1983, voce “Professione intellettuale”, n. 39; id., del 14 ottobre 1983 n. 5998, ivi, 1983, voci “Giurisdizione civile”, n. 133, “Professioni intellettuali”, 38, “Provvedimenti d’urgenza”, n. 111; id., del 29 aprile 1988 n. 3259, ivi, 1988, voce “Professione intellettuale”, n. 52.

[89] Cfr., inoltre, Cass., S.U., 16 marzo 1978 n. 1322, in Rep. Foro it., 1978, voce “Professioni intellettuali”, nn. 58 e 59; id., id., 14 ottobre 1983 n. 5998, ivi, 1983, voci “Giurisdizione civile”, n. 133, “Professioni intellettuali”, n. 38, “Provvedimenti d’urgenza”, n. 111; id., id., 23 febbraio 1990 n. 1399, ivi, 1990, voci “Cassazione civile”, n. 12, “Impugnazioni civili”, n. 10, “Professioni intellettuali”, nn. 51-54.

[90] Sono conformi le sentenze n. 8633 del 3 ottobre 1996 (in Rep. Foro it., 1996, voce “Professioni intellettuali”, n. 86), la n. 9654 del 6 novembre 1996 (ivi, 1996, voce “Procedimento civile”, n. 65), nelle quali si fa riferimento a “pronunce di condanna ad eseguire l’iscrizione”.

[91] A proposito della professione di psicologo è stato deciso che “si è in presenza di un diritto soggettivo (…) anche nell’ipotesi che l’iscrizione sia richiesta, in periodo transitorio, al commissario nominato dal presidente del tribunale ai sensi dell’art. 31 della legge n. 56 del 18 febbraio 1989”. Cfr. Cass., S.U., n. 5802 del 25 maggio 1995, in Rep. Foro it., 1995, voce “Professioni intellettuali”, n. 81; Cass., S.U., 20 marzo 1991 n. 2994, ivi, 1991, voce id., n. 74; Cass., S.U., 23 dicembre 1991 n. 13866, ivi, 1991, voce id., n. 73; Cass., S.U., 21 gennaio 1992 n. 682, ivi, 1992, voce id., n. 44; Cass., S.U., 20 febbraio 1992 n. 2096, ivi, 1992, voce id., n. 45; Cass., S.U., 7 dicembre 1992 n. 12966, ivi, 1992, voce id., nn. 47-49 e 51; Cass., S.U., 7 dicembre 1992 n. 12982, ivi, 1992, voce id., nn. 50 e 52; Cass., S.U., 15 luglio 1993 n. 7839, ivi, 1993, voce id., n. 65; Cass. 2 maggio 1994 n. 4189 (non massimata).

[92] In questo senso l’iscrizione sarebbe atto dovuto. Cfr., sul punto, Teresi, op. cit., p. 454, e Gotti, op. cit., p. 201 ss. Secondo quest’ultimo autore: “il possesso dei requisiti tassativamente prescritti dalla legge (…) è condizione necessaria e sufficiente per ottenere l’iscrizione la quale deve essere disposta se quei requisiti sussistono e deve essere invece negata nel caso contrario”.

[93] Dall’impostazione seguita nel testo e confortata dall’unanime giurisprudenza della Suprema Corte si discosta nettamente l’opinione del Consiglio di Stato (sez. IV, n. 1212 del 20 ottobre 1997, in Foro it., 1998, n. 2, III, 45, ed in Giorn. dir. amm., n. 4, 1998, p. 331 ss., con nota di Daria de Pretis), con riferimento alla sola, “diversa questione relativa all’individuazione del giudice competente a definire la controversia relativa al diniego di ammissione alla sessione riservata di esami per titoli, preordinata all’acquisizione del titolo che, nella fase transitoria abilita all’iscrizione all’albo degli psicologi” ex art. 33 della legge n. 56 del 18 febbraio 1989 (ordinamento della professione di psicologo). In tale ipotesi, secondo il Consiglio di Stato, “la controversia rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, comportando una questione di discrezionalità tecnica e non di accertamento tecnico”. A parte questa “ribellione” alla Suprema Corte, il Consiglio di Stato (in armonia con la Corte di Cassazione) ritiene che nelle ipotesi di controversie professionali che non ricadano nell’applicazione dell’art. 33 cit. (e quindi che non riguardino la sessione speciale di esame di Stato disposta come prima applicazione della legge professionale psicologi) “il problema dell’iscrizione nell’albo professionale (…) è sempre condizionato, nella sua soluzione, al riscontro dell’esistenza dei requisiti rigidamente e tassativamente preordinati dalla legge senza che, sul punto, possano residuare spazi per valutazioni discrezionali della pubblica amministrazione e pertanto, vertendosi in materia di diritti soggettivi, le relative controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario” (cfr., su quest’ultimo punto, anche le seguenti decisioni: Cons. Stato, sez. IV, 5 dicembre 1994, n. 983, in Foro it., Rep. 1995, voce “professioni intellettuali, n. 98; 1° febbraio 1995, n. 50, ibid., n. 100; 20 marzo 1995, n. 180, ibid., n. 101; Cons. giust. amm. sic. 30 maggio 1995, n. 199, ibid., n. 102). Ciò vale anche per i ricorsi contro i provvedimenti adottati in via transitoria dal Commissario straordinario nominato ai sensi dell’art. 32 L. 56/ 1989. A mio avviso, tuttavia, dalla terminologia impiegata dal legislatore nel cit. art. 33 non appare giustificato ipotizzare in capo all’ente professionale richiesto della iscrizione un margine di discrezionalità tale da far “affievolire” il diritto soggettivo all’iscrizione (peraltro riconosciuto come tale dallo stesso Consiglio di Stato nelle altre citate ipotesi) in mero interesse legittimo tutelabile, pertanto, innanzi al solo giudice amministrativo.

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