Trasferimento d’azienda e sorte dei crediti da lavoro

§ 1.

Gli atti di trasferimento dell’azienda[1] richiedono la forma ad probationem e devono essere iscritti entro trenta giorni nel registro delle imprese a cura del notaio rogante o autenticante (art. 2556 c.c.)[2].
[…]

In mancanza di tale pubblicità al trasferimento dell’azienda, il cedente (locatore, ecc.) è responsabile in solido con il cessionario (l’affittuario, ecc.) per le obbligazioni da quest’ultimo contratte con l’uso della stessa ditta[3].

Tuttavia, la forma scritta ad probationem di cui all’art. cit. opera solo con riguardo alle parti contraenti e non è applicabile ai terzi, i quali possono provare il trasferimento dell’azienda senza alcun limite, e quindi anche con testimonianze e presunzioni[4].

Inoltre, ove siano occupati più di 15 lavoratori, l’alienante e l’acquirente della azienda, entro 25 giorni dal trasferimento, devono dare comunicazione scritta ai sindacati indicando i motivi del trasferimento e le eventuali conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori: il mancato rispetto di tale obbligo costituisce condotta antisindacale, sanzionabile ex Statuto Lavoratori[5].

§ 2.

Per quel che qui interessa, il trasferimento d’azienda importa la successione ipso jure sia nei rapporti contrattuali in genere (art. 2558 c.c.)[6], sia – in particolare – nei rapporti di lavoro (art. 2112 c.c.)[7]. Secondo quest’ultima disposizione, infatti, il rapporto di lavoro continua con l’acquirente; il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano e, infine, l’alienante e l’acquirente sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento.

A tal proposito, si sottolinea che la menzionata solidarietà tra cedente e cessionario per crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento d’azienda prescinde dalla conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario[8], ma, in caso di prosecuzione dei rapporti di lavoro dei dipendenti col cessionario, quest’ultimo deve considerarsi unico debitore del t.f.r., anche per il periodo passato alle dipendenze del precedente datore di lavoro, atteso che “solo al momento della risoluzione del rapporto matura il diritto del lavoratore al suddetto trattamento, del quale la cessazione del rapporto è fatto costitutivo”[9]. Infatti, il trasferimento d’azienda, ove non vi sia stata valida cessazione del rapporto, non determina un’anticipata esigibilità del t.f.r., che potrà essere richiesto al cessionario al momento della cessazione del rapporto di lavoro con quest’ultimo[10].

In conclusione, e riassumendo, in caso di trasferimento di azienda, le mensilità arretrate e non ancora corrisposte al lavoratore, potranno essere richieste da quest’ultimo tanto al cedente quanto al cessionario, obbligati solidali. Per quanto riguarda invece il trattamento di fine rapporto (t.f.r.), la giurisprudenza considera unico debitore il cessionario, anche per il periodo passato alle dipendenze del cedente, in caso di prosecuzione dei rapporti di lavoro[11].

NOTE:
[1] Ai fini del trasferimento d’azienda non è necessario che vengano trasferiti tutti i beni aziendali, ma è sufficiente il trasferimento di alcuni di essi, purché nel complesso di questi ultimi permanga un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine all’esercizio dell’impresa, sia pure con la successiva integrazione ad opera del cessionario: Cass., sez. III, 17 aprile 1996 n. 3627. Al riguardo si precisa che per trasferimento di azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c., deve intendersi ogni cambiamento della titolarità dell’azienda con qualsiasi strumento giuridico avvenga il relativo passaggio: la disciplina relativa al trasferimento di azienda, quindi, è applicabile anche nel caso in cui la sostituzione di un soggetto ad un altro nella gestione di un’azienda avvenga senza il trasferimento della licenza: in questi termini, Cass. n. 10688/1996.

[2] Secondo Tribunale Napoli, 7 aprile 1994, il notaio ha un vero e proprio obbligo di iscrizione.

[3] Tribunale Napoli, 7 ottobre 1988.

[4] Cfr. Cass., sez. III, 11 luglio 1987 n. 6071; Sez. lav., 18 aprile 1984 n. 2518; Sez. lav., 21 febbraio 1984 n. 1253.

[5] Così dispone l’art. 47 L. 29 dicembre 1990 n. 428. Cfr., sul punto, Del Giudice, Diritto del lavoro, XIII ed., 1994, pagg. 246-7.

[6] Secondo Ferri, Manuale di diritto commerciale, pag. 233, la successione nei contratti ex art. 2558 c.c. (cioè per quei contratti non di lavoro e non strettamente personali, e salvo diversa volontà delle parti) avviene ope legis, cioè senza il consenso del contraente ceduto (in deroga all’art. 1406 c.c.). Quest’ultimo, tuttavia, può recedere dal contratto ceduto mediante dichiarazione di recesso da esercitare entro tre mesi dalla notizia del trasferimento.

[7] V. Ferri, Manuale di diritto commerciale, pag. 231.

[8] Cass. n. 12899/1997.

[9] V. Cass. n. 12548/1998. Cfr., pure, Carinci, Diritto del Lavoro. Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, Vol. II, pag. 1076.

[10] Cfr. Carinci, Diritto del Lavoro. Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del reddito, estinzione e tutela dei diritti, Vol. III, pag. 604. V., pure, Cass. 27 agosto 1991 n. 9189.

[11] La giurisprudenza, infatti, è unanime nel ritenere che il trasferimento d’azienda non costituisce, in quanto tale, un giustificato motivo di licenziamento; v., pure, Carinci, Diritto del Lavoro. Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, Vol. II, pag. 1077.

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