L'acquisto mortis causa dei crediti da lavoro

Secondo l’art. 2122 c.c., in caso di morte del prestatore di lavoro, le indennità indicate dagli articoli 2118[1] e 2120[2] c.c. devono corrispondersi al coniuge, ai figli[3] e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado.
[…]
Nonostante alcuni giustificati dubbi sollevati da autorevole dottrina[4], si ritiene che le indennità di cui agli artt. 2118 e 2120 cit. spettino ai beneficiari[5] jure proprio e non jure successionis[6].

Ciò importa che le stesse, oltre a non dover essere ricompresse nell’inventario di cui agli artt. 484 c.c. e ss.–769 c.p.c. e ss., “non sono assoggettate all’imposta di successione”[7] e, inoltre, “la aliquota da applicare ai fini dell’IRPEF va determinata in base al reddito dei superstiti beneficiari e non già in base al reddito del de cuius”[8].

Ma l’acquisto jure proprio deve intendersi limitato alle indennità di cui agli articoli 2118 e 2120 c.c., o invece può estendersi per i beneficiari di cui all’art. 2122 c.c. ad ogni credito di lavoro maturato dal de cuius?

A tal proposito, la dottrina[9] e la giurisprudenza[10] ritengono che l’attribuzione patrimoniale di cui all’art. 2122 c.c. sia rigorosamente circoscritta alla indennità di anzianità, oggi trattamento di fine rapporto, e all’indennità di mancato preavviso, risultandone quindi esclusi gli emolumenti dovuti al lavoratore defunto per differenza paga, lavoro straordinario, festivo e domenicale e per ferie non godute, che costituiscono parte dell’asse ereditario e che pertanto si ripartiscono non secondo le modalità previste dallo stesso articolo 2122 per le indennità di fine rapporto, bensì sulla scorta delle norme in materia di successione per causa di morte.

NOTE:
[1] Tale disposizione, secondo cui l’indennità di preavviso è dovuta dal datore di lavoro anche nel caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro, trova la propria ratio nella “prevalente funzione previdenziale o assistenziale di detta indennità, la quale è collegata al solo fatto naturale del decesso del dipendente” (Cass. 28 maggio 1981 n. 3515).

[2] Tale richiamo trova la propria ratio nel fatto che il T.F.R. “svolge funzioni latamente previdenziali, destinate a permettere al lavoratore (e ai familiari di questo) di superare le difficoltà economiche insorgenti con il venir meno del salario (Cass. 28 gennaio 1987 n. 840).

[3] Per la prova di tali qualità è sufficiente esibire gli atti dello stato civile (Cass. 2 luglio 1987 n. 5793).

[4] Cfr. Cendon, Commentario al codice civile, art. 2122, pag. 476.

[5] La ripartizione delle indennità avviene senza alcun titolo di prelazione e secondo i bisogni di ciascuno: Cendon, Commentario al codice civile, art. 2122, pag. 479.

[6] Cfr., in dottrina, Brama, Accettazione di eredità con beneficio d’inventario, pag. 103, Pera, Compendio di diritto del lavoro, pag. 247 e ss.; in giurisprudenza, Cass. 28 maggio 1981 n. 3515, Cass. 19 giugno 1982 n. 3764, Pretura Modena 28 luglio 1983, Pretura Lecce 26 giugno 1978. In mancanza dei congiunti anzidetti, l’acquisto avviene jure successionis (Cfr. Cass. n. 1560/1974)

[7] Comm. Centr. Imposte, sez. XVI, 20 dicembre 1993 n. 3646.

[8] Comm. Prov.le Imposte Torino 11 dicembre 1986, nonché Comm. Imposte Distrettuale Firenze 20 febbraio 1985 n. 250.

[9] Cendon, Commentario al codice civile, art. 2122, pag. 478.

[10] Cass. 13 maggio 1982 n. 2981.

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