In altri termini, si tratta di una clausola[2] (e quindi non di un contratto autonomo[3]), peraltro non vessatoria[4], la cui funzione è quella di verificare, nel reciproco interesse delle parti[5], l’utilità della prosecuzione del lavoro in via definitiva e, in particolare: da un lato, il datore di lavoro potrà accertare la capacità professionale del lavoratore e la sua complessiva personalità[6] in relazione alle mansioni affidate ed al contesto aziendale[7]; dall’altro lato, il lavoratore potrà valutare se per lui sia conveniente l’occupazione di quel posto di lavoro[8].
In ordine alla natura giuridica della clausola contenente il patto de quo, vale solo la pena di ricordare che parte della dottrina ritiene si tratti di una condizione sospensiva potestativa[9] (il rapporto da provvisorio diventerebbe definitivo in virtù del compimento del periodo di prova o del mancato recesso); altri ritengono che si tratti di condizione risolutiva potestativa[10]; altri, infine, che si tratti di condizione sospensiva e risolutiva insieme[11].
Si ritiene che il patto di prova possa pure riguardare le assunzioni a termine[12], quelle obbligatorie[13] e in mobilità[14], i contratti di formazione e lavoro[15], di apprendistato[16], e nei contratti di agenzia[17].
Secondo l’art. 2096 c.c., il patto di prova deve risultare da atto scritto, a pena di nullità[18], con la conseguenza che in mancanza di tale forma ad substantiam l’assunzione diviene definitiva[19].
Il patto di prova deve altresì contenere la specifica indicazione delle mansioni da svolgersi[20], pena la nullità della clausola e l’automatica conversione dell’assunzione in definitiva sin dall’inizio[21], poiché la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria insindacabile valutazione sull’esito della prova presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate ed indicate[22]. Da ciò consegue che il lavoratore deve essere esclusivamente adibito alle mansioni oggetto della prova[23], anche se, alla fine della prova, è tuttavia possibile l’assunzione definitiva in una categoria inferiore rispetto a quella concordata per il periodo di prova[24].
Il legislatore, non indicando espressamente la durata massima del periodo di prova[25], sul punto sembra evidentemente affidarsi alle previsioni dei contratti collettivi[26]. Ciò nonostante, per la sua stessa natura, si ritiene che il periodo di prova sia comunque sempre soggetto ad un termine massimo[27], non prorogabile[28] e normalmente non superiore di 6 mesi[29], superato il quale in assenza di recesso di alcuna delle parti l’assunzione diviene definitiva[30] ed il servizio prestato si computa nell’anzianità del prestatore di lavoro.
Trattandosi di termini massimi, le parti possono comunque fissare termini più brevi per l’effettuazione dell’esperimento[31], mentre i termini che fossero eventualmente più lunghi verrebbero automaticamente ridotti[32], con tutte le relative conseguenze di legge[33].
Poiché secondo l’art. 2096 c.c., “l’imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova”, si ritiene che la durata del periodo di prova debba intendersi riferita ad un periodo di lavoro effettivo, con espunzione, quindi, dei giorni di assenza del lavoratore per malattia[34], infortunio[35], ferie,[36] permessi, cassa integrazione[37], maternità e puerperio[38], ecc.[39]., mentre vanno computati i giorni di riposto settimanale[40] “perché costituiscono ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto”[41].
Poiché, secondo l’art. 2096 c.c., “durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto”[42], si ritiene in particolare che il datore di lavoro possa recedere anche oralmente[43], senza obbligo di preavviso ed anche senza giusta causa o giustificato motivo, salvo che non sia stata stabilita una durata minima della prova: si tratta, in altri termini, di una libera ed insindacabile facoltà di recesso[44], che non richiede nemmeno motivazione[45], né una giusta causa o un giustificato motivo[46], ed i motivi eventualmente addotti sono irrilevanti[47]. Tuttavia, l’unico limite a tale facoltà di recesso è costituito dal motivo illecito e determinante[48], e cioè allorché non sia stato consentito in concreto al lavoratore di dimostrare le proprie qualità professionali (ossia, quando la prova stessa sia di fatto mancata)[49], ovvero allorché si accerti la sussistenza di un motivo discriminatorio[50]. In particolare, il datore di lavoro non deve recedere troppo presto in relazione alla qualifica del lavoratore ed alla durata complessiva del patto, poiché in tal modo non si consente al lavoratore di dimostrare le sue capacità e la sua affidabilità[51]. La giurisprudenza, ad es., ha ritenuto che sia illegittimo il recesso nel corso della malattia[52] o durante il periodo di infortunio[53]. In tali ipotesi di uso distorto del potere di recesso[54], il licenziamento è invalido perché, pur essendo esso discrezionale, non può essere arbitrario, cioè contrario a correttezza[55].
Si ricorda, tuttavia, che il recesso per asserito esito negativo della prova, sull’erroneo presupposto della validità della relativa clausola o in forza di errata supposizione della persistenza del periodo di prova (venuto invece a scadere) si configura come licenziamento individuale non distinguibile da ogni altro licenziamento della stessa natura, ed è pertanto regolato dalla disciplina comune per quel che attiene ai requisiti di efficacia e di legittimità[56].
L’onere della prova dell’illiceità del recesso grava sul lavoratore[57] (o, comunque su chi lo adduca[58]), il quale deve dimostrare di aver superato positivamente l’esperimento ovvero che il recesso sia imputabile ad un motivo illecito[59].
Nel caso di recesso illegittimo, consegue la presucuzione ove possibile della prova per il periodo mancante al termine prefissato[60]. A tal proposito, parte della giurisprudenza ritiene che trovi applicazione l’art. 18 dello statuto dei lavoratori ritenendosi avverata la condizione del superamento della prova[61]; altra parte della giurisprudenza ritiene che all’illegittimità del recesso segua soltanto il diritto del lavoratore a completare la prova e ad ottenere il pagamento della retribuzione[62], altra giurisprudenza ritiene che l’unica sanzione possibile sia il risarcimento del danno[63].
Per eccepire la nullità del licenziamento, il lavoratore non è soggetto ad impugnazione nel termine di 60 giorni di cui alla L. n. 604/1966[64].
Quid juris nell’ipotesi di recesso datoriale per mancato superamento della prova, qualora la clausola sia stata già apposta per le medesime mansioni in precedenti rapporti intercorsi tra le stesse parti[65]? A tal proposito, la giurisprudenza ritiene che il successivo patto di prova sia illecito e, conseguentemente, illegittimo il recesso datoriale[66], salva l’ipotesi in cui il lavoratore sia assunto dallo stesso datore di lavoro con una qualifica diversa, oppure con la stessa qualifica ma tra le due assunzioni siano mutate le tecnologie e l’organizzazione del lavoro o le condizioni personali delle parti (come nel caso in cui il lavoratore abbia attraversato un periodo di tossicodipendenza o di etilismo e si tratti di accertare se, una volta guarito, sia in possesso delle specifiche capacità richieste per un determinato tipo di mansioni)[67].
In ogni caso di recesso al termine o durante il periodo di prova, infine, al lavoratore spetta il t.f.r. e le ferie retribuite o la relativa indennità sostitutiva[68]. Invece, una volta compiuto il periodo di prova, il rapporto diventa definitivo se nessuna delle parti receda[69] ovv
ero se entrambe esplicitamente dichiarino il superamento della prova[70].
NOTE:
[1] Del Giudice, Diritto del lavoro, pag. 75.
[2] Sul fatto che si tratti di una clausola accessoria, v., per tutti, Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 396.
[3] Cfr. Gazzoni, Manuale di diritto privato, pag. 1216, secondo cui appunto “non sono ravvisabili due successivi rapporti nel tempo, di cui il primo temporaneo e il secondo definitivo”. Nello stesso senso, esplicitamente Tribunale Verbania 22 luglio 1980, nonché Tribunale Genova 23 gennaio 1979. Contra, Tribunale Torino 5 febbraio 1979, nonché Pretura Torino 21 luglio 1979, secondo cui “la causa giuridica o funzione economico-sociale del contratto di prova consiste nell’espletamento da parte del lavoratore delle mansioni affidategli, contro retribuzione, al fine di consentire al datore di lavoro di accertare e valutare le sue capacità professionali e di consentire al lavoratore di conoscere e valutare le condizioni di lavoro per poter esprimere il proprio gradimento nei confronti del datore di lavoro; tale causa è diversa da quella del contratto definitivo di lavoro, consistente nella messa a disposizione di energie lavorative (e non nell’espletamento effettivo di mansioni) contro remunerazione”.
[4] In giurisprudenza, v. Cass. n. 544/91, n. 6988/91, n. 4678/1988, n. 8296/87, n. 4593/1987, n. 6575/85; in dottrina, cfr. Menghini, Art. 2096, in Commentario al codice civile (diretto da P. Cendon), pag. 103, nonché Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pagg. 398-9. Contra, Pretura Brescia 23 giugno 1978, nonché Pretura Brescia 15 aprile 1978, secondo cui la clausola di prova richiederebbe la specifica approvazione scritta a norma dell’art. 1341 c.c.
[5] Cass. n. 12379/1998. Ma, in modo più aderente alla realtà, v. Menghini, Art. 2096, in Commentario al codice civile diretto da P. Cendon), pag. 102, il quale rileva come invece “il patto di prova risponda al solo interesse datoriale di accertare le attitudini professionali del lavoratore prima di rendere definitiva l’assunzione”. Nello stesso senso, Mazzacapo, Ancora una conferma della Corte Costituzionale sul patto di prova, in CD-ROM Jurisdata, nota a Corte Cost. n. 541/2000, nonché Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 396. Conforme, in giurisprudenza, Pretura Brescia 15 aprile 1978, secondo cui, per prassi notoria, il patto di prova è costantemente sottoscritto per iniziativa dell’impresa e non mai del lavoratore, per cui lo scopo tipico attuale della clausola non è di permettere ai contraenti una reciproca valutazione, bensì quello di permettere all’imprenditore di sottrarsi temporaneamente al regime della legge sui licenziamenti individuali per il periodo necessario a valutare la capacità dell’assunto a svolgere le mansioni affidategli.
[6] Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 405. Cass. n. 3364/1982, n. 1508/1984, n. 5696/1986, n. 5714/1999, n. 9948/2001, Pretura Trento 9 maggio 1980, Pretura Milano 20 febbraio 1982.
[7] Tanto che il potere discrezionale del datore di lavoro di recedere nel corso del periodo di prova è legittimamente esercitato quando riflette l’accertamento e la valutazione non soltanto degli elementi di fatto concernenti la capacità professionale del lavoratore, ma anche degli elementi concernenti il comportamento complessivo dello stesso, quale è desumibile anche dalla sua correttezza e dal modo in cui si manifesta, anche nelle relazioni sociali, la sua personalità: v., per tutte, Cass. n. 5714/1999.
[8] Carinci, Diritto del lavoro, 2, Il rapporto di lavoro subordinato, pag. 60, nonché Del Giudice, Diritto del lavoro, pag. 75.
[9] Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 397, secondo cui tale ricostruzione appare “quella maggiormente seguita dalla dottrina attuale e quella più convincente”. Nello stesso senso, Cass. n. 6096/1988 e Tribunale Genova 23 gennaio 1979.
[10] Pretura Milano 29 ottobre 1986. Mazzacapo, Ancora una conferma della Corte Costituzionale sul patto di prova, in CD-ROM Jurisdata, nota a Corte Cost. n. 541/2000.
[11] Del Giudice, Diritto del lavoro, pag. 75, Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 397, rileva come, però, non manchi chi neghi l’utilità di accostare la disciplina del patto di prova a quella della condizione.
[12] Cass. n. 6441/1982.
[13] Corte Cost. 255/89, Cass. n. 1763/79, n. 1764/69, n. 1765/79, n. 1766/79, n. 362/84, n. 4357/88, n. 1104/89, n. 5634/91, n. 6810/92, n. 11165/1993, Pretura Trento 25 agosto 1993, Tribunale Milano 21 marzo 1992, Pretura Monza 3 giugno 1991, Pretura Milano 29 settembre 1991, Pretura Bari 26 agosto 1986; contra Cass. n. 1560/94, Tribunale Milano 29 maggio 1991, Pretura Milano 8 ottobre 1990, Pretura Firenze 15 aprile 1983. In dottrina, favorevole alla tesi di cui nel testo è Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 407, il quale sottolinea che in tal caso la clausola di prova è legittima purché l’esperimento riguardi mansioni compatibili con lo stato di invalidità del soggetto avviato e purché sia limitato alla residua capacità lavorativa dell’invalido. Proprio per tali ragioni, si ritiene che il recesso del datore di lavoro per esito negativo della prova in tal caso debba essere motivato ed in forma scritta, in deroga a quanto si ritiene debba avvenire solitamente.
[14] Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 396.
[15] Cass. n. 11310/1990. Cass. n. 2538/1969, n. 6335/95, n. 11417/93, n. 4669/93, n. 11310/90, Pretura Bari 2 marzo 1989, Tribunale Bergamo 9 novembre 1988, Pretura Como 18 ottobre 1988, Pretura Milano 19 aprile 1988, Cass. n. 11310/90, Tribunale Milano 23 ottobre 1991, Pretura Firenze 29 marzo 1990, Tribunale Livorno 19 marzo 1994, Tribunale Cagliari 26 marzo 1997. Carinci, Diritto del lavoro, 2, Il rapporto di lavoro subordinato, pag. 59. Del Giudice, Diritto del lavoro, pag. 76. Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 405, il quale sottolinea, però, che in tal caso l’esperimento oggetto del patto di prova deve riguardare non la verifica di una preesistente capacità professionale del lavoratore, ma la sua idoneità ad acquistarla. Nello stesso senso, Cass. n. 4669/1993. Pare, tuttavia, che per le peculiarità di detto contratto, sia necessaria la motivazione del recesso datoriale (Cass. n. 10803/92).
[16] Cass. n. 2358/1982. Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 396, il quale con riferimento a tale contratto ricorda che il legislatore non solo ha espressamente ammesso l’apposizione del patto di prova (L. 25/1955), ma ne ha ridotto la durata massima a 2 mesi (art. 9).
[17] Cass. n. 4541/1990.
[18] Cfr. Cass. SS.UU. n. 1576/1983, n. 14538/1999. La Cassazione ha pure chiarito che il requisito della forma scritta richiede la sottoscrizione, anche non contestuale, della clausola ad opera di entrambe le parti prima dell’inizio del rapporto, non ammettendosi alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie (Cass. n. 25/95, n. 681/94, n. 11427/93, n. 9101/91, n. 11597/1999, n. 10260/1998, n. 12673/1997, n. 3364/1982). Contra Cass. n. 6991/1982. In arg., v. pure Corte Appello Milano 16 novembre 2000 e Tribunale Milano 31 gennaio 1997, Pretura Torino 5 giugno 1995, nonché Pretura Cagliari 15 novembre 1990, sec
ondo cui la regola generale che richiede la forma scritta ad substantiam non può essere derogata dai contratti collettivi postcorporativi. V., altresì, Cass. n. 1230/1986, secondo cui “la validità del patto di assunzione del lavoratore in prova postula la sua stipulazione (nella forma scritta ad substantiam) in un momento anteriore o coevo alla costituzione del rapporto, e, pertanto, deve essere negata quando il patto stesso risulti sottoscritto dopo l’inizio della attività lavorativa, ancorché per poche ore”. Secondo Cass. n. 9164/1997, infine, la forma scritta non sarebbe però richiesta a pena di nullità nel rapporto di lavoro marittimo.
[19] Del Giudice, Diritto del lavoro, pag. 75, Carinci, Diritto del lavoro, 2, Il rapporto di lavoro subordinato, pag. 60, nonché Gazzoni, Manuale di diritto privato, pag. 1216. Nello stesso senso è Menghini, Art. 2096, in Commentario al codice civile diretto da P. Cendon), pag. 103. Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 397. Cass. n. 5591/2001.
[20] Cass. n. 5811/1995, n. 14538/1999, n. 2579/2000, n. 14950/2000, secondo cui a tal fine il riferimento classificatorio della contrattazione collettiva può essere sufficiente ad integrare il requisito della specificità dell’indicazione delle mansioni del lavoratore in prova. V., però, Tribunale Treviso 16 ottobre 1992, Tribunale Milano 31 gennaio 1997 e Corte Appello Milano 16 novembre 2000, secondo cui l’indicazione delle mansioni possono essere indicate anche oralmente.
[21] Cass. n. 5811/95, n. 200/86, Tribunale Napoli 11 dicembre 1991.
[22] Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 399. Cfr., pure, Pretura Milano 31 dicembre 1998. V., però, Corte Appello Milano 10 ottobre 2000, secondo cui secondo cui la prova non deve necessariamente avere ad oggetto solo le mansioni proprie ed esclusive del livello di assunzione, poiché è “ammissibile che la prova avvenga con rotazione su mansioni diversificate ed interagenti con quelle degli altri dipendenti e possa spaziare oltre i limiti di quelle individuate astrattamente e staticamente nella qualifica di assunzione”.
[23] Tribunale Milano 17 marzo 1984.
[24] Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 408.
[25] Mazzacapo, Ancora una conferma della Corte Costituzionale sul patto di prova, in CD-ROM Jurisdata, nota a Corte Cost. n. 541/2000, secondo cui dall’art. 10 L. n. 604/1966 si evince una durata massima di 6 mesi. Nello stesso senso, Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 395, secondo cui, l’art. 10 L. n. 604/1966, nello stabilire le norme limitative del potere di licenziamento di cui alla legge stessa si applicano ai prestatori di lavoro assunti in prova dal momento in cui l’assunzione diventa definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi 6 mesi dall’inizio del rapporto di lavoro, intende in tal modo colmare la già accennata lacuna legislativa relativa alla mancanza di un termine al patto di prova.
[26] Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 395. Cass. n. 13700/2000. Cfr. Pretura Milano 31 gennaio 1995, secondo cui il termine del periodo di prova decorre dal momento in cui l’esecuzione del rapporto di lavoro ha avuto effettivamente inizio e non da quello dell’assunzione.
[27] Menghini, Art. 2096, in Commentario al codice civile diretto da P. Cendon), pag. 104.
[28] Deve ritenersi tuttavia lecita la proroga del termine di prova, purché non superi complessivamente i 6 mesi o il diverso termine individuato dalla contrattazione collettiva. In arg., cfr. Cass. n. 3093/1992, nonché Pretura Milano 27 aprile 1996.
[29] Del Giudice, Diritto del lavoro, pag. 76. Menghini, Art. 2096, in Commentario al codice civile diretto da P. Cendon), pag. 104, ricorda, comunque, che “per gli operai, i contratti collettivi prevedono periodi molto più ridotti”.
[30] Menghini, Art. 2096, in Commentario al codice civile diretto da P. Cendon), pag. 104. V., pure, Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 402, il quale ricorda che, una volta superato il periodo di prova, infine, il licenziamento è possibile solo in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo.
[31] Cass. n. 1017/1985.
[32] Cfr., comunque, Cass. n. 8295/2000, secondo cui la clausola di prova di durata maggiore di quella massima prevista dal contatto applicabile al rapporto e fermo restando il limite di sei mesi di cui all’art- 10 L. n. 604/1966 può ritenersi legittima solo nel caso in cui la particolare complessità delle mansioni del lavoratore in prova renda necessario, ai fini di un valido esperimento e nell’interesse di entrambe le parti, un periodo più lungo di quello ritenuto congruo dalle parti collettive per la normalità dei casi.
[33] Menghini, Art. 2096, in Commentario al codice civile diretto da P. Cendon), pag. 104. Cass. n. 5811/1995.
[34] Cass. n. 461/1988, nonché Cass. n. 11934/1995, secondo cui durante il periodo di malattia il lavoratore non ha la possibilità di dimostrare le sue capacità ed il datore di lavoro quella di accertarle ed è quindi illegittimo il recesso del datore di lavoro intimato durante il periodo in cui il lavoratore assunto in prova sia assente dal servizio per malattia. Cfr., pure, Cass. n. 12814/1992 e n. 6988/1991, nonché Pretura Roma 16 aprile 1991, secondo cui il lavoratore in malattia, sebbene in prova, ha diritto alla conservazione del posto, nonché diritto, nel medesimo periodo, ad una indennità, da determinarsi secondo equità, al lavoratore subordinato in prova nel periodo di malattia. Non ha tuttavia diritto di ricevere la retribuzione.
[35] Cass. n. 12814/1992.
[36] Contra Pretura Monza 2 maggio 1995.
[37] Cass. n. 10183/1996, n. 4739/1982.
[38] Cass. n. 4740/1992.
[39] Cass. n. 6928/87, n. 461/88, n. 2631/83, n. 4593/1987, n. 5831/87, n. 3702/83, n. 4739/82, n. 9304/1996. Carinci, Diritto del lavoro, 2, Il rapporto di lavoro subordinato, pag. 63, il quale sottolinea come per alcuna giurisprudenza (Tribunale Milano 20 maggio 1982) addirittura non debbano essere computate neppure le domeniche. Ciò, perché la funzione della prova è quella di consentire alle parti una reciproca valutazione di affidabilità, non avrebbe senso una prova impedita da eventi sospensivi del rapporto. In arg., v. pure Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 404, nonché Menghini, Art. 2096, in Commentario al codice civile diretto da P. Cendon), pag. 104, il quale facendo proprie le conclusioni di Cass. n. 843/88 e n. 6479/87 sostiene che le giornate in cui vi sia stata sospensione della prestazione (per festività, ferie, infortuni, ecc.) non dovrebbero essere computate solo nel caso in cui il termine del periodo di prova sia determinato in giorni; quando, invece, il periodo sia computato a mesi (o anche in assenza di univoche indicazioni contrattuali), “il computo del relativo periodo deve essere effettuato secondo il calendario comune, senza tener conto del numero dei giorni di ciascun mese, né del totale delle giornate di effettivo lavoro, ma facendo coincidere il giorno del mese di scadenza con quello del mese iniziale”. Più di recente, v. Cass. n. 14538/1999.
[40] Cass. n. 1038/1990, n. 9304/1996.
[41] Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 404.
[42] Tuttavia, il divieto di licenziamento della lavoratrice in gravidanza opera anche nel periodo di prova: Cass. n. 4740/1992.
[43] Corte Costi
tuzionale n. 541/2000. Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 410. Cass. n. 5634/1991, n. 1017/1985. Contra, Corte Appello Milano 8 gennaio 2001.
[44] Secondo Cass. n. 5696/86 e n. 3364/82 (cui dichiara di aderire Menghini, Art. 2096, in Commentario al codice civile diretto da P. Cendon), pag. 107), per valutare l’esperimento si tiene conto non solo della capacità professionale, ma anche del comportamento complessivo e financo della personalità del lavoratore.
[45] Cass. n. 1017/1985, n. 7644/1998, n. 2228/1999, n. 5290/1999, n. 2631/1996, Pretura Milano 29/10/86. Contra, la ormai risalente Pretura Omegna 11 dicembre 1979, secondo cui vi sarebbe sempre un obbligo di motivazione. In arg., v. Del Giudice, Diritto del lavoro, pag. 76, secondo cui l’obbligo di motivazione, invece, riguarda soltanto il recesso relativo al patto di prova dell’invalido assunto obbligatoriamente, al fine di garantire il controllo giudiziale del recesso soprattutto con riguardo all’adeguatezza delle mansioni in relazione allo stato di invalidità: Cass. n. 362/1984, n. 3689/1998, n. 9705/2000. Pretura Roma 14 gennaio 1997 aggiunge che, ove si tratti di prova relativa ad un lavoratore invalido, ai fini della legittimità del recesso del datore di lavoro per esito negativo della prova, sono essenziali tre condizioni: l’esperimento deve essersi svolto con mansioni compatibili con lo stato di invalidità o con la minorazione fisica del soggetto avviato; la decisione non deve essere stata influenzata da considerazioni di minor rendimento dovute all’infermità o alle minorazioni rispetto a quelle del lavoratore medio; la motivazione del provvedimento deve essere contestuale all’atto.
[46] Mazzacapo, Ancora una conferma della Corte Costituzionale sul patto di prova, in CD-ROM Jurisdata, nota a Corte Cost. n. 541/2000.
[47] Carinci, Diritto del lavoro, 2, Il rapporto di lavoro subordinato, pag. 61
[48] Cass. n. 4979/87, Cass. n. 7821/87, Cass. n. 233/85, con riferimento ad ipotesi di recesso illegittimo per non adeguata durata del periodo di prova, illiceità del motivo in quanto estraneo all’oggetto della prova, mancato superamento della prova nei casi in cui il lavoratore sia stato adibito a mansioni diverse da quelle per cui era stato assunto.
[49] Gazzoni, Manuale di diritto privato, pag. 1216, il quale, a tal proposito, si richiama espressamente a Corte Cost. n. 189/1980. V., pure, Menghini, Art. 2096, in Commentario al codice civile diretto da P. Cendon), pag. 105, secondo cui “non è possibile per il datore di lavoro recedere troppo presto, dato che in tal modo non si consente al lavoratore di dar saggio delle sue capacità”. Nello stesso senso, Cass. n. 7821/87, 4979/87, Pretura Milano 23 marzo 1988, Pretura Napoli 24 dicembre 1982, Pretura Rho 3 febbraio 1980, Pretura Pisa 28 luglio 1979.
[50] Del Giudice, Diritto del lavoro, pag. 76.
[51] Cass. n. 2631/96, n. 7821/87, n. 4979/87, Pretura Milano 28 febbraio 1992, e 23 marzo 1988, Pretura Bologna 24 luglio 1982, Pretura Napoli 24 dicembre 1982, Pretura Pisa 28 luglio 1979, Pretura Genova 23 gennaio 1984, Corte Cost. 189/80. Contra Pretura Milano 8 gennaio 1997.
[52] Cass. n. 461/1988.
[53] Tribunale Avellino 10 maggio 1988.
[54] Cass. n. 6098/88, n. 7536/87, n. 1833/86; Menghini, Art. 2096, in Commentario al codice civile diretto da P. Cendon), pag. 107.
[55] Gazzoni, Manuale di diritto privato, pag. 1216, nonché Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 404. Cass. n. 2631/96, 484/94.
[56] Cass. n. 9769/1996, n. 2728/1994.
[57] Cass. n. 1017/85, n. 4979/1987, n. 2631/1996, n. 2228/1999, Pretura Milano 22 settembre 1986, Tribunale Milano 7 novembre 1998; Carinci, Diritto del lavoro, 2, Il rapporto di lavoro subordinato, pag. 61.
[58] In teoria, infatti, potrebbe essere anche il datore di lavoro a lamentare il recesso ad nutum del lavoratore: Cass. n. 2735/1986.
[59] Corte Cost. 189/1980. Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 410. Cass. n. 1508/1984, n. 1250/1985, n. 1833/1986, n. 7536/87, n. 4669/93, n. 2631/96, n. 9797/1996, n. 402/1998, n. 7644/1998, Pretura Bari 9 luglio 1990.
[60] Cass. n. 2228/1999.
[61] Cass. n. 233/1985, n. 5044/86, n. 1104/1989, Pretura Napoli 24 dicembre 1982, Pretura Milano 25 febbraio 1976, Pretura Rho 3 febbraio 1980, Pretura Milano 7 settembre 1983, Pretura Milano 19 novembre 1985, Tribunale Milano 8 luglio 1989, Pretura Milano 3 luglio 1992. Carinci, Diritto del lavoro, 2, Il rapporto di lavoro subordinato, pagg. 62-3. Del Giudice, Diritto del lavoro, pag. 76.
[62] Cass. n. 11934/95, n. 12814/92, n. 1250/85, n. 233/85, Pretura Lecco 5 marzo 1993, Tribunale Padova 13 aprile 1987.
[63] Carinci, Diritto del lavoro, 2, Il rapporto di lavoro subordinato, pag. 62, nonché Mazzacapo, Ancora una conferma della Corte Costituzionale sul patto di prova, in CD-ROM Jurisdata, nota a Corte Cost. n. 541/2000. In giurisprudenza, v. Cass. n. 7821/87, Pretura Bologna 7 gennaio 1988. Corte Cost. n. 255/1989, Cass. n. 7821/1987, n. 7821/88, Pretura Bologna 7 gennaio 1988, secondo cui “la violazione del patto di prova da parte del datore di lavoro, che receda dal rapporto prima dell’inizio dell’esperimento, è fonte di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.; in tale ipotesi esclusa per l’inapplicabilità al rapporto della L. n. 604/1970 il pregiudizio sofferto dal lavoratore è rappresentato dalle utilità che egli avrebbe potuto percepire per la durata del concordato periodo di prova, salva la rilevanza, secondo i principi generali dell’art. 1227 c.c., dell’eventuale concorso del fatto colposo del lavoratore medesimo”.
[64] Cass. n. 10587/93, n. 8796/91, n. 2359/1997; Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 410.
[65] La prova è senz’altro legittima, invece, se pur effettuata per le stesse mansioni, quando queste ultime siano state effettuate alle dipendenze di un diverso datore di lavoro (Cfr. Pretura Torino 18 ottobre 1991, Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 401.
[66] Pretura Siracusa 18 ottobre 1993, Pretura Milano 27 aprile 1993, Pretura Napoli 15 luglio 1992, Pretura Torino 21 luglio 1979, Pretura Firenze 15 luglio 1987, che hanno fatto leva sull’identità delle mansioni e sul breve intervallo intercorso tra i vari contratti.
[67] Cester (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, pag. 401. Cass. n. 7493/1990, n. 1741/1995, 4424/1984.
[68] Del Giudice, Diritto del lavoro, pag. 77. Corte Cost. 22 dicembre 1980 n. 189., infatti, ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l’art. 2096 c.c. nella parte in cui non riconosce il diritto alla indennità di anzianità di cui agli artt. 2120 e 2121 c.c. al lavoratore assunto con patto di prova nel caso di recesso dal contratto durante il periodo di prova medesimo.
[69] Del Giudice, Diritto del lavoro, pag. 77.
[70] Menghini, Art. 2096, in Commentario al codice civile diretto da P. Cendon), pag. 106.
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