Il disegno di legge, già approvato dalla Camera (atto n. 1441) ed ora in Senato (atto 1082), prevede – tra le altre cose – una ulteriore modifica restrittiva in tema di preclusioni processuali, ed in particolare interviene sulle memorie ex art. 183 cpc, le quali infatti potranno essere concesse dal Giudice solo ove ricorrano “gravi motivi” (art. 28, co. 2)[2].
Al pari di quanto avviene già nel rito del lavoro, ciò significa che se passasse questa riforma, attore e convenuto dovrebbero ad esempio fare le proprie istanze istruttorie già con il proprio primo atto difensivo (atto di citazione e, rispettivamente, comparsa di costituzione), quasi come se per la concessione dei termini per le eventuali memorie istruttorie (ma non solo) ex art. 183 cpc – essendo necessaria la sussistenza di “gravi motivi” – fosse necessaria una sorta di rimessione in termini, sussistendone i presupposti.
Tant’è vero che l’art. 184 bis cpc è in progetto di essere abrogato tout court (art. 28, co. 3, disegno di legge citato).
NOTE:
[1] “Le conseguenti, inevitabili, disfunzioni vennero ingiustamente imputate al sistema, mentre – come tanto spesso accade – si cedeva all’umana illusione di ovviare al difetto di impegno di uomini con la modificazione delle leggi”: Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, Vol. I, pag. 443, anno 1997.
[2] L’originario disegno di legge della Camera dei Deputati (atto n. 1441) prevedeva (art. 53, co. 2) che i motivi idonei a giustificare i termini per le predette memorie dovessero essere “giusti”, non “gravi”.
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