§ 1. La fattispecie criminosa.
§ 2. La sanzione penale.
§ 3. Autorità giudiziaria competente e condizione di procedibilità.
§ 1. La fattispecie criminosa.
“Chi emette assegno falsificando la firma del titolare del conto corrente risponde del delitto di falso previsto dagli artt. 485 e 491 c.p.”[1].
Per quanto riguarda il momento consumativo, se, da un lato, “nel delitto di falsità in scrittura privata l’uso del documento fa parte della condotta criminosa necessaria per integrare il reato, il quale si consuma nel momento in cui il documento viene usato”[2]; dall’altro, “il falso in titoli di credito è reato di pericolo che ha per oggetto la mera possibilità della lesione giuridica dell’oggetto della tutela penale, tant’è che non è configurabile neppure l’ipotesi di tentativo”[3].
È dubbio, però, se al delitto di falso si aggiunga anche la fattispecie di “emissione senza autorizzazione” di cui all’art. 1 L. 386/1990[4]. A tal proposito, si noti che il reato di emissione senza autorizzazione è stato depenalizzato dall’art. 28 Decreto Legislativo n. 507/1999, il quale prevede “la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire due milioni di lire a dodici milioni”, salvo che l’assegno non sia di importo superiore a venti milioni (per il qual caso, la sanzione amministrativa raddoppia nel minimo e nel massimo edittali). Per quanto riguarda il procedimento per l’applicazione delle sanzione amministrativa, esso è regolato dal nuovo art. 8-bis L. 386/90, il quale prevede l’obbligo della banca trattaria di informare il Prefetto territorialmente competente, il quale – nel rispetto della procedura di cui alla legge n. 689/1981 – emette ordinanza motivata di ingiunzione o archiviazione.
A tale sanzione si aggiunge, altresì, la revoca delle autorizzazioni di cui al successivo art. 9 D. L.vo 386/90, secondo cui chi emette assegno senza esservi autorizzato è iscritto in un apposito registro con conseguente revoca di “ogni autorizzazione ad emettere assegni”.
§ 2. La sanzione penale.
L’art. 491 c.p. prevede che ove il falso riguardi un titolo di credito, “in luogo della pena stabilita dall’art. 485” (reclusione da 6 mesi a 3 anni) “si applicano le pene stabilite nell’art. 482”, secondo cui “se alcuno dei fatti preveduti dagli art. 476, 477 e 478 è commesso da un privato si applicano rispettivamente le pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo”: la fattispecie de qua rientra nella previsione di cui all’art. 476 c.p. (formazione di un atto falso), per cui la reclusione “da 1 a 6 anni” è ridotta di un terzo e cioè da 4 mesi a 2 anni.
§ 3. Autorità giudiziaria competente e condizione di procedibilità.
Dal combinato disposto degli artt. 33-bis e 33-ter c.p.p., emerge che l’autorità giudiziaria competente è il Tribunale in composizione monocratica.
Per quanto riguarda la competenza per territorio, invece, trova applicazione il principio locus regit actum, essendo essa determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato[5].
Quanto alla condizioni di procedibilità, il reato è procedibile a querela di parte, da proporre – ovviamente – entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato[6], con la precisazione che “la persona legittimata alla presentazione della querela è non solo la persona della quale sia stata falsificata la firma, ma anche ogni altro soggetto che abbia ricevuto danno per l’uso che in concreto sia stato fatto dell’assegno”[7].
[2] Cass. n. 153221/1981.
[3] Cass. n. 178176/1987.
[4] Negativamente Cass. 7800/1997; positivamente Cass. 5797/1998.
[5] Art. 8 c.p.p.
[6] Art. 124 c.p.
[7] Cfr. Cass. 209884/1997.
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