Sulla responsabilità precontrattuale per recesso dalle trattative

Indice:
§ 1. Il recesso (ingiustificato) dalle trattative.
§ 2. Le trattative.
§ 3. L’affidamento.
§ 4. La buona fede.
§ 4.1. La giusta causa.
§ 5. Il danno risarcibile.
§ 6. Conclusioni.
§ 7. Postilla.

* * *
§ 1. Il recesso (ingiustificato) dalle trattative.

Come si vedrà più in dettaglio nei paragrafi successivi, l’art. 1337 c.c. impone alle parti il dovere di comportarsi secondo buona fede[2], e tale obbligo è indipendente dall’esito delle trattative[3].

In particolare, tra i doveri precontrattuali di buona fede, quello di non recedere dalle trattative senza giusta causa è certamente tra i più antichi[4], e si configura ogniqualvolta chi ha creato nella controparte un legittimo affidamento[5] in ordine alla conclusione del contratto, recede senza giustificazioni provocando un danno[6].

Per il vero, la proposta contrattuale può essere liberamente revocata, se non ferma ex art. 1329 c.c., fino a quando il contratto non è concluso[7], per cui la trattativa di per sé non obbliga a concludere il contratto, ma obbliga a non ingenerare affidamenti legittimi nella controparte, e “la relativa responsabilità deriva quindi dall’aver dolosamente o colposamente indotto l’altra parte a confidare ragionevolmente nella conclusione del contratto”[8].

Sicché, chi si dice certo di concludere e poi recede è responsabile non già per aver receduto (la libertà contrattuale è incompatibile con il divieto di recedere), ma per aver mal valutato o mal esternato la probabilità di dover modificare i propri piani[9].

In altri termini, chi manifesta l’intenzione di contrarre è responsabile, qualora receda senza giusta causa, non già per il recesso in sé e per sé, ma per il fatto di non aver sufficientemente soppesato l’eventualità del recesso stesso: pertanto, chi non è certo dell’esito (nel senso che inizia una trattativa con riserve), ha il dovere di buona fede di manifestare le sue perplessità affinché la controparte sia resa avvertita[10].

Con particolar riferimento alla natura giuridica di tale responsabilità, non è certo questa la sede per cercare di dirimere i contrasti che attanagliano da tempo la dottrina. Pertanto, qui basterà semplicemente ricordare che secondo la giurisprudenza e la dottrina maggioritarie si tratterebbe di una responsabilità da fatto illecito[11], mentre secondo una tesi autorevole ma minoritaria si tratterebbe di responsabilità contrattuale[12] regolata dall’art. 1218 c.c., con le note conseguenze specie riguardo all’onere della prova, alla prescrizione dell’azione[13], alla messa in mora, al danno risarcibile, alla capacità del responsabile[14]. Non manca, infine, chi ritiene si tratti di un tertium genus di responsabilità[15].

Così, ove si voglia aderire alla tesi prevalente, è il danneggiato che deve dare la prova del fatto lesivo, e cioè che l’interruzione delle trattative ha leso un affidamento ragionevolmente creato dal comportamento della controparte[16], mentre non occorre dimostrare pure la mancanza di una giusta causa, perché il comportamento lesivo è presuntivamente colposo in quanto non conforme al modello di diligente rispetto dell’altrui libertà negoziale secondo un criterio di normalità: è pertanto a carico del danneggiante la prova delle circostanze che hanno giustificato da parte sua l’interruzione delle trattative[17].

I presupposti della responsabilità precontrattuale, ai sensi dell’art. 1337 c.c., sono quindi l’esistenza di una trattativa in corso, il ragionevole affidamento nella conclusione del contratto, e la malafede di chi recede senza giusta causa, che “concretano altrettanti accertamenti di fatto, demandati all’esclusiva competenza del giudice di merito, incensurabili in Cassazione se adeguatamente motivati”[18].

Conviene, quindi, esaminarli in dettaglio.

§ 2. Le trattative.

Secondo l’art. 1325 c.c., tra i requisiti del contratto primeggia l’accordo delle parti (altrimenti detto in idem placitum)[19], che si può formare in modo simultaneo[20] o per fasi successive.

In quest’ultimo caso, le dichiarazioni di volontà delle diverse parti prendono il distinto nome di proposta[21] e di accettazione[22]: com’è noto, la prima è la dichiarazione di volontà di chi assume l’iniziativa del contratto; mentre l’accettazione – per valere come tale – deve essere conforme alla proposta[23], altrimenti vale come controproposta, che ha “l’intento di proseguire nelle trattative”[24].

Ebbene, l’accordo delle parti è quasi sempre preceduto da preannunci della propria disponibilità a contrarre[25], e, soprattutto, da un’attività – volta a propiziare il consenso della controparte – che prende il nome di trattativa contrattuale, la quale può concretarsi in comportamenti svariatissimi[26] e deve intendersi, nel senso più lato, come “attività collegata con un futuro contratto o con un affidamento precontrattuale”[27].

In questa delicata fase preparatoria, in cui cioè un negozio non può dirsi ancora perfezionato[28], assume senz’altro rilievo la responsabilità precontrattuale (c.d. culpa in contrahendo), la quale trova nell’art. 1337 c.c. il suo referente normativo[29], che “consente illimitate facoltà di applicazione”[30].

§ 3. L’affidamento.

Ma, quando, esattamente, le trattative assumono rilievo ai sensi dell’art. 1337 c.c.?[31]

A questa domanda verrebbe da rispondere d’impulso – confortati dalla giurisprudenza costante – che “l’art. 1337 c.c. è operativo quando le trattative siano tali da creare affidamento nella conclusione del futuro contratto”[32].

Ma siamo di fronte ad una evidente tautologia, perché l’affidamento (presupposto di operatività della disciplina[33]) e le trattative che rilevano ai sensi dell’art. 1337 c.c. sono entrambe incognite (tra loro enormemente dipendenti), per cui non se ne può accertare una facendo semplicemente ricorso all’altra (che a sua volta dovrebbe essere accertata facendo ricorso alla prima).

La citata giurisprudenza, infatti, ha suscitato non poche critiche per la sua genericità e per la sua scarsa utilizzabilità nei casi concreti, perché – nonostante quella tralatizia massima giurisprudenziale – rimane comunque difficile “stabilire in quale momento sorge un affidamento nella stipulazione del contratto che merita tutela”[34].

Quindi, deve necessariamente ritenersi che limite delle trattative, oltre il quale il contraente può confidare ragionevolmente nella conclusione del contratto, dipenda dalle circostanze concrete.

E così, senza dubbio, le trattative varcano la soglia dell’art. 1337 c.c. quando , ad es., nel corso di “trattative serie e concludenti”[35], l’accordo è completamente raggiunto ma rimane da tradurlo nella forma scritta necessaria per la validità del contratto; quando le parti abbiano raggiunto un’intesa di massima sui punti essenziali dell’affare (ad es., in caso di compravendita, l’individuazione del bene e la determinazione del corrispettivo) dovendo ancora definire dettagli di minore importanza[36] (salvo, come detto nelle note che precedono, il principio dell’eterointegrazione, in base al quale – in determinati casi – il contratto può dirsi senz’altro concluso anche se le parti sono ancora in trattativa).

Il contrasto, in dottrina e giurisprudenza, si fa però aspro con riferimento alla fase iniziale della trattativa.

Secondo alcuni, infatti, “il semplice inizio di una trattativa non autorizza nessuno a fare assegnamento sul suo esito positivo, mentre il progressivo sviluppo della contrattazione può maturare al punto tale da giustificare il convinc
imento del contraente che l’altra parte è seriamente decisa a concludere l’affare”[37], per cui ai sensi dell’art. 1337 c.c. rileva solo lo “stadio avanzato delle trattative”[38].

Secondo altri, invece, “non è condivisibile l’opinione secondo la quale l’operatività della disciplina di cui all’art. 1337 c.c. è condizionata al presupposto che le trattative abbiano raggiunto un sufficiente stadio di avanzamento”, e quindi rilevano “non soltanto quei contatti, approcci reciproci, scambi di proposte e controproposte, ma anche quei comportamenti che sollecitano alla conclusione di un accordo, così come quelle attività di promozione ed invito che si collocano in un ampio arco di ipotesi all’interno del quale possono ad esempio ricomprendersi la sollecitazione al contratto mediante réclame del prodotto e del servizio, l’emanazione di un bando di concorso, la trasmissione di una lettera di patronage, le puntuazioni, le minute, le dichiarazioni di intenti”[39]. Secondo tale tesi, pertanto, “anche la più generica delle trattative crea un affidamento (non nella certa conclusione del contratto, ma nella serietà della trattativa)”[40], per cui “anche il semplice invito a trattare può integrare il presupposto della norma dell’art. 1337 c.c., quando sia di tale contenuto o accada in circostanze tali da determinare immediatamente un affidamento dello stesso dichiarante verso il destinatario dell’offerta, oppure di quest’ultimo nei confronti del primo, indipendentemente dall’avvio di una trattativa”[41].

La tesi che pare prevalente, tuttavia, è la più prudente, secondo cui al fine di configurare un affidamento giuridicamente tutelabile nella stipulazione del contratto, sarebbe necessario un ragionevole affidamento (costruito sulla base di oggettivi indici di apprezzamento, così da evitare i rischi di un’indagine meramente psicologica del contegno dei contraenti) e un fondato affidamento (subordinato alla circostanza che, sia pure nel contesto di semplici trattative, le parti abbiano già considerato gli elementi essenziali del contratto che intendono o sperano di concludere)[42].

§ 4. La buona fede.

Ma, se l’affidamento rileva con particolar riferimento alla parte che subisce il recesso dalle trattative, rispetto all’autore del recesso stesso viene, invece, in considerazione la buona fede.

Come detto, infatti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, le parti devono comportarsi secondo buona fede[43], la cui violazione importa però un giudizio di “estrema delicatezza”[44].

Tuttavia, è bene anticipare sin d’ora che l’espressione “buona fede” richiamata dalla disposizione codicistica in commento ha un significato del tutto diverso dalla buona fede di cui si parla in materia di possesso e nelle tante norme in materia di invalidità del contratto, di simulazione, ecc., perché lì ‘buona fede’ indica uno stato soggettivo[45], mentre qui esprime invece un dovere: “il dovere delle parti contraenti di comportarsi con correttezza e lealtà”[46], sicchè qui “buona fede e correttezza si identificano”[47].

La buona fede di cui all’art. 1337 c.c.[48], infatti, “rileva come regola di condotta, e cioè come buona fede in senso oggettivo”[49], “sicché non è necessario un particolare comportamento soggettivo di malafede[50], ma è sufficiente anche il comportamento non intenzionale o meramente colposo della parte che senza giusto motivo ha interrotto le trattative, eludendo le aspettative di controparte”[51].

A tale opinione aderisce anche chi ritiene che la responsabilità precontrattuale costituisca una forma di responsabilità extracontrattuale: secondo tale tesi, la sussistenza della responsabilità precontrattuale dovrebbe infatti essere vagliata alla stregua dell’art. 2043 c.c., che richiede l’elemento soggettivo quale componente necessaria del fatto illecito; tuttavia, nel caso della responsabilità precontrattuale, tale requisito sarebbe implicito nella violazione dell’obbligo di comportamento secondo buona fede, quanto meno sotto il profilo della colpa, per cui – una volta accertato l’obiettivo contrasto tra il comportamento dell’agente e l’obbligo di correttezza imposto dall’art. 1337 c.c., non occorrerebbe, per l’accertamento della responsabilità precontrattuale, la verificazione di un particolare comportamento oggettivo di malafede, né la prova dell’intenzione di arrecare pregiudizio all’altro contraente, perché sussista l’elemento psicologico necessario ex art. 2043 c.c.[52].

In altri termini, “la ‘buona fede’ di cui all’art. 1337 c.c. rileva come dovere di trattare lealmente, dovere la cui osservanza va valutata secondo un criterio obiettivo di diligenza media”[53], poiché “la malafede che, ponendosi in contrasto con l’obbligo generale di correttezza, è atta a sostenere la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. quando si concretizzi in un comportamento idoneo a far sorgere nell’altro contraente il ragionevole affidamento nella futura conclusione del contratto, seguito dall’interruzione delle trattative senza giustificato motivo”[54].

Al riguardo è bene precisare che il principio di correttezza, in quanto clausola generale[55], non si esaurisce nei singoli richiami normativi, e quindi sarebbe gravemente errato sostenere che il comportamento scorretto sia fonte di responsabilità solo se nel contempo vìola un diritto altrui già direttamente protetto da una norma giuridica, in tal modo riducendo il principio di correttezza ad una formula priva di autonoma cogenza[56]. La giurisprudenza ha infatti chiarito che il principio di correttezza è violato non solo quando la parte agisce con il proposito doloso di recare pregiudizio alla controparte ma anche quando il comportamento da essa tenuto non sia stato comunque improntato alla schiettezza e al senso di solidarietà sociale che integrano il contenuto della buona fede[57].

Ma, in concreto, quali comportamenti sono contrari a buona fede e pregiudicano l’affidamento della controparte nella conclusione dello sperato contratto?

A questo proposito, non può che evidenziarsi l’assoluta inattendibilità di certe determinazioni aprioristiche, poiché le regole – non scritte – della correttezza e della lealtà sono mere regole di costume, e perciò stesso vaghe. Ad ogni buon conto (e per quel che può valere), può dirsi che esse “corrispondono a ciò che un contraente di media correttezza o lealtà si sente in dovere di fare o di non fare, per cui spetta al giudice stabilire, in concreto, ciò che è secondo buona fede o è contrario alla buona fede”[58].

Non per niente, infatti, si è sostenuto che l’art. 1337 c.c. è una “norma così significativa proprio perché il suo assunto è tanto indeterminato”[59].

§ 4.1. La giusta causa.

La violazione del principio di buona fede e la conseguente responsabilità per culpa in contrahendo si realizzano quando l’interruzione è priva di giustificazione, così da sacrificare arbitrariamente l’affidamento che la controparte abbia ragionevolmente fatto sulla conclusione del contratto[60].

La giusta causa del recesso costituirebbe quindi specificazione della buona fede, sicché deve ritenersi che sia in malafede chi receda senza giusta causa dalle trattative. Nel caso in cui, invece, la parte recedente rendesse edotta la controparte circa la possibilità che il contratto potrebbe non essere concluso, non sarebbe richiesto il requisito della giusta causa del recesso semplicemente perché la correttezza del recedente ha già escluso l’affidamento e quindi sarebbe inutile ricercare pure una giusta causa per il recesso.

Ma, quando, in concreto, un recesso può dirsi giusto?

A tal proposito, si è ritenuto che valgono come giustificazioni fatti che rendono meno conveniente l’affare[61], ivi compres
e le offerte più vantaggiose da parte di un terzo[62]. Tuttavia, è bene precisare che la responsabilità precontrattuale di chi tratti sapendo che non vuol concludere (ad es., di chi adoperi la trattativa per sapere i fatti della controparte o per disturbare la trattativa del suo concorrente) non è esclusa dal sopravvenire di altra proposta più favorevole[63].

Non ricorre, inoltre, un’ipotesi di culpa in contrahendo, né per recesso ingiustificato dalle trattative né per violazione dell’obbligo di informazione, nell’ipotesi in cui una parte si sia espressamente riservata di comunicare l’eventuale accettazione della proposta entro breve tempo e nulla abbia più comunicato, concludendo il contratto con un terzo a séguito di separata trattativa non rivelata[64].

Si è sostenuto, altresì, che costituisce, ad es., giustificato motivo di recesso il venir meno della copertura assicurativa a garanzia dei crediti oggetto dello stipulando contratto[65].

In definitiva, allorquando la interruzione delle trattative contrattuali sia fondata su giusta causa, non si ha violazione del principio della buona fede, in quanto in tal caso la parte che interrompe le trattative stesse non arreca alcun sacrificio ala ragionevole affidamento che la controparte aveva fatto sulla conclusione del contratto[66].

Vista l’autorevolezza della fonte, a conclusione di tale paragrafo non può non riportarsi quella tesi secondo cui “se si ammettesse che, una volta sorto nella controparte un affidamento circa la felice conclusione delle trattative, il recesso senza giusta causa determini una responsabilità per danni, ne deriverebbe che le trattative dovrebbero continuare o fino al raggiungimento dell’accordo oppure fino al momento in cui interviene una giusta causa di recesso: il che sarebbe assurdo, perché verrebbe compromessa in modo veramente eccessivo quella libertà durante il corso delle trattative che le parti vogliono gelosamente conservare. Inoltre, non si vede quale criterio obiettivo potrebbe essere adottato al fine di accertare quando un motivo di recesso sia “giusto”, essendo il giudizio sull’opportunità dell’affare fondato su elementi squisitamente soggettivi e pertanto rimessi all’esclusivo apprezzamento di chi tratta: questi è l’unico in grado di valutare se un dato contratto risponde alle sue esigenze, e quindi è il solo che deve decidere, sulla base delle proprie convinzioni, se gli convenga proseguire nelle trattative. Deve quindi sostenersi l’inammissibilità sui motivi di recesso”[67], perché “se il recesso fosse ammesso soltanto nel caso in cui intervenga un giusto motivo, si potrebbero iniziare trattative solo dopo la più completa ponderazione, e perciò sarebbe compromessa la dinamica dei traffici a danno della stessa collettività”[68]. A conforto della propria tesi, lo stesso autore sottolinea che “non è precisato il criterio da adottare al fine di accertare quando un motivo di recesso è ‘giusto’, essendo il giudizio sull’opportunità dell’affare fondato per lo più su elementi squisitamente soggettivi e pertanto rimessi all’esclusivo apprezzamento di chi tratta”[69].

§ 5. Il danno risarcibile.

Chi, violando il dovere di buona fede recede dalle trattative ledendo un legittimo affidamento della controparte cagionandogli un danno, è tenuto a risarcirlo[70].

A parte alcune autorevoli voci fuori dal coro[71], si ritiene comunemente che il danno vada risarcito nella “ridotta” misura del c.d. interesse negativo, (cioè dell’interesse del soggetto a non essere leso nell’esercizio della sua libertà negoziale[72] e quindi a non iniziare inutili trattative) che si identifica con le spese sostenute (danno emergente) e con la perdita di occasioni di concludere lo stesso o altro tipo di contratto con terzi (lucro cessante)[73].

In altri termini, il danno dell’interesse negativo consiste nel pregiudizio che il soggetto subisce per aver inutilmente confidato nella conclusione del contratto[74], sicché consisterà nelle spese inutilmente erogate e nella perdita di favorevoli occasioni contrattuali[75]. In particolare, le spese comprendono i costi sostenuti per lo svolgimento delle trattative (viaggi, redazioni di progetti, ecc.), per eseguire o ricevere la prestazione (acquisto di attrezzature, affitto di locali), “detratto quanto può recuperarsi mediante reimpiego o rivendita”[76]. Comunque, a tal proposito si è precisato che la risarcibilità del danno nei limiti dell’interesse negativo non rappresenta un’eccezionale limitazione della pretesa risarcitoria[77], poiché “anche in tema di responsabilità precontrattuale, il danneggiato ha pur sempre diritto all’integrale risarcimento del danno sofferto; soltanto che qui il soggetto non lamenta la mancata o inesatta esecuzione del contratto ma piuttosto la lesione della sua libertà negoziale e, in relazione a questa lesione, può pretendere l’integrale risarcimento del danno”[78].

Infine, ove si condividesse la tesi secondo cui la violazione dei doveri di cui all’art. 1337 c.c. dia luogo a responsabilità extracontrattuale, il debito del responsabile dovrebbe ritenersi di valore e non di valuta, con la conseguente maturazione di interessi dal fatto illecito e non solo dalla domanda[79].

§ 6. Conclusioni.

Come emerge dalle considerazioni che precedono, affinché possa ritenersi sussistente la responsabilità precontrattuale per recesso dalle trattative, si dovrà verificare – oltre che ad un danno da risarcire – la sussistenza di alcuni requisiti, in capo ad entrambe le parti.

In particolare, quanto a chi subisce il recesso: l’affidamento. Quanto a chi recede: la malafede per aver receduto dalle trattative senza giusta causa.

Così, giocando sulla combinazione dei requisiti in capo alle diverse parti in trattativa, si potrebbero fare alcune ipotesi esemplificative, in cui non vi sarebbe responsabilità precontrattuale:

1) Tizio è in trattative con Caio, ma non è assolutamente intenzionato a concludere il contratto (malafede di Tizio che esclude il suo stesso affidamento); dopodiché, Caio recede inaspettatamente senza giusta causa (pur essendo quest’ultimo inizialmente intenzionato a concludere il contratto).

2) Tizio, non intenzionato a concludere il contratto con Caio, porta comunque avanti le trattative simulando interesse nell’affare (malafede). Successivamente, però, scopre che Caio è insolvente, e così decide di recedere dalle trattative per evitare di subire l’inadempimento della controparte (giusta causa). In questa ipotesi, nonostante l’affidamento di Caio e la malafede dello stesso Tizio recedente, la giusta causa non consente di far ricorso alla disciplina di cui all’art. 1337 c.c.

Le ipotesi appena prospettate sembrano trovare conforto in quella autorevole dottrina, secondo cui “affinché possa ritenersi violata la norma di condotta (e indipendentemente dalla necessità dell’ulteriore prova del danno) è necessario dare la dimostrazione dell’esistenza in concreto di un affidamento di una delle parti sulla conclusione del contratto e di un recesso ingiustificato della controparte, che tuttavia non costituiscono due facce della stessa medaglia, perché, mentre un recesso ingiustificato non avrebbe rilievo rispetto a vicende nelle quali non sia sorto alcun affidamento, viceversa pur sussistendo un reale affidamento potrebbe risultare giustificato il recesso”[80].

§ 7. Postilla.

I requisiti della responsabilità precontrattuale – così come prospettati dalla pressoché unanime dottrina e dalla uniforme giurisprudenza – sono assai incerti, e quindi contestabili.

Infatti, quando, esattamente, la trattativa è vincolante?, il recesso è giusto?, l’affidamento è legittimo?

Come abbiamo visto, infatti, a queste domande si risponde sempre in modo va
go, contraddittorio, opinabile, lasciando supporre – ahimé – che nel caso concreto l’applicazione della disciplina in tema di responsabilità precontrattuale sia rimessa ad una discrezionalità del giudice di merito, tanto elevata da risultare spesso imprevedibile per le parti che a quel giudizio si sottoponessero.

E, proprio in questo contesto di urticante incertezza del diritto, mi permetto di offrire la mia modestissima interpretazione, che volutamente relego ad una mera postilla.

Ebbene, abbiamo visto che 1) nel corso delle trattative contrattuali, 2) il recesso è ingiusto, 3) quando la controparte aveva già fatto legittimo affidamento sulla conclusione del contratto stesso.

Alla luce di questi tre requisiti, a mio modesto parere, per individuare con esattezza il momento in cui opera la disciplina di cui all’art. 1337 c.c. non può farsi ricorso né al requisito della giustizia del recesso, né a quello dell’affidamento, perché entrambi importano valutazioni soggettive difficilmente esplorabili o – come sostiene un illustre Autore – addirittura insindacabili.

Non rimane, quindi, che valutare il requisito della trattativa, ma senza indagare sullo stadio iniziale o avanzato della stessa, perché – come vedremo – è assolutamente irrilevante ai nostri fini.

A mio sommesso avviso, potrebbe infatti ritenersi che – con riferimento al recesso dalle trattative – l’art. 1337 c.c. operi solo in un ben preciso arco temporale, che può collocarsi in qualsiasi fase della trattativa: tanto in quella iniziale, quanto in quella avanzata.

Mi riferisco, in particolare, nei casi di contratti tra persone lontane, al lasso di tempo in cui l’accettazione (conforme alla proposta) sia stata già manifestata ma non sia ancora giunta al proponente, il quale – prima che il contratto si perfezioni – revochi la propria dichiarazione di volontà: solo in quel momento può dirsi con certezza che l’accettante abbia fatto legittimo affidamento sulla conclusione del contratto, e che merita quindi di essere tutelato; ciò, anche e soprattutto in considerazione del fatto che – com’è noto – la revoca della proposta non è un atto recettizio, per cui la stessa sarebbe comunque efficace allorché partisse dal proponente un attimo prima che egli venga a conoscenza dell’accettazione ed ancorché arrivasse all’accettante diverso tempo dopo dalla sua già manifestata accettazione.

L’interpretazione qui prospettata, corrisponde sostanzialmente a quella contemplata dall’art. 1328 c.c., nel quale – tuttavia – l’obbligo di “indennizzo” sorge in capo al proponente solo con riferimento alle spese ed alle perdite subite dalla controparte per l’iniziata esecuzione del contratto; mentre per l’ipotesi dell’art. 1337 c.c. l’“indennizzo” (rectius: il risarcimento nella misura del c.d. interesse negativo) non sarebbe subordinato all’esecuzione del contratto che si sperava di concludere, perché le voci “risarcibili” non riguardano propriamente l’adempimento (si pensi, ad es., in quel frangente, alla perdita di occasioni di concludere lo stesso o altro tipo di contratto con terzi: qui l’accettante non inizia l’esecuzione del contratto sperato, ma rinuncia a concluderne altri).

Ma v’è di più.

Poiché l’affidamento è “legittimo” (rectius: degno di tutela) solo dopo che l’accettazione sia stata manifestata (ma ancora non giunta al proponente), il risarcimento dovrà necessariamente limitarsi ai “danni” che si saranno prodotti soltanto nel periodo che va dalla manifestazione di volontà dell’accettante fino alla ricezione della revoca della proposta. Quel frangente, quindi, segna l’esatta misura temporale del risarcimento.

Secondo tale ricostruzione interpretativa – ne sono consapevole – l’area di operatività della responsabilità precontrattuale per recesso ingiustificato dalle trattative è certamente assai ridotta. Ma, comunque, ritengo che solo in tal modo sia rispettata rigorosamente la ratio della disciplina di cui all’art. 1337 c.c., che non pare voglia (e possa) violare la libertà contrattuale delle parti sino al punto da far derivare in capo alle stesse obblighi oltremodo gravosi da un “non-contratto”, ma intenda invece soltanto “indennizzare” la parte che sul contratto avesse fatto affidamento “legittimo”.

Affidamento che – come detto – può dirsi “legittimo” soltanto nella menzionata – ed “eccezionale” – ipotesi di mancata conclusione del contratto.

In sostanza, quindi, la buona fede nelle trattative interrotte di cui all’art. 1337 c.c. si riferisce ad entrambe le parti: tanto al proponente/recedente, quanto all’accettante che subisce il recesso. Rispetto a quest’ultimo, essa sussiste quando – senza colpa – l’accettante rinunciasse, ad es., ad altri “affari” nonostante quel contratto non fosse ancora concluso ma la parte avesse ritenuto (legittimamente) che quasi certamente si sarebbe perfezionato (la certezza assoluta, infatti, si ha solo quando il contratto è già perfezionato; ma in tal modo saremmo al di fuori della responsabilità pre-contrattuale); quanto al recedente, la buona fede va più semplicemente individuata nel dovere di solidarietà verso la controparte, che ispira l’art. 1328 c.c.

Diversamente ragionando, non si comprenderebbe davvero perché l’affidamento di cui all’art. 1337 c.c. debba estendersi oltre i ragionevoli limiti già tracciati dall’art. 1328 c.c., finendo per apprestare – in modo quasi arbitrario, perché eccessivamente discrezionale – tutela giuridica ad una soltanto delle parti contrattuali, sulla inattendibile scorta di mere situazioni soggettive, che – allegramente – si reputano sufficienti per qualificare come “ingiusto” il recesso del proponente pentito.

NOTE
[1] OMISSIS.

[2] In argomento, costituisce pietra miliare l’opera di Benatti, Responsabilità precontrattuale, secondo cui i doveri precontrattuali di cui all’art. 1337 c.c “sono di tre tipi: obblighi di informazione, di segreto e di custodia” (pag. 42 e ss.).

[3] Cendon, Commentario al codice civile, art. 1337, pag. 502.

[4] Come ricorda Benatti, Responsabilità precontrattuale, pag. 51, la prima elaborazione del divieto di non recedere senza giusta causa dalle trattative, risale ai primi del ’900, ed è di Fagella, I periodi precontrattuali e la responsabilità precontrattuale (1918), e Fondamento giuridico della responsabilità in tema di trattative contrattuali (1909), secondo cui “il puro e semplice recesso, senza che le trattative abbiano avuto il loro svolgimento e il loro esito positivo o negativo, importa violazione di quel tacito accordo precontrattuale, e questa violazione rende arbitrario e intempestivo il recesso”. La tesi del “tacito accordo” è però criticata da Benatti, che la ritiene semplicemente un equivoco.

[5] Cioè la consapevolezza circa la conclusione del contratto: Cass. n. 5830/1999. Per maggiori dettagli, v. comunque il successivo § 4.

[6] Gazzoni, Manuale di diritto privato, 823. Galgano, Manuale di diritto privato, pag. 329.

[7] La responsabilità precontrattuale non presuppone un obbligo di contrarre, ma al contrario la presenza di un tale obbligo esclude la responsabilità precontrattuale perché in tal caso l’obbligato sarà responsabile per inadempimento. Cfr. Bianca, Diritto civile, III, pag. 168, il quale ricorda che, ad es., chi è tenuto in base ad un contratto preliminare a stipulare un contratto definitivo risponde per inadempimento se non esegue la prestazione, fermo restando il rimedio dell’esecuzione in forma specifica.

[8] V. Bianca, Diritto civile, III, pag. 168. Cfr., pure, Cass. n. 5297/1998, secondo cui nella fase antecedente alla conclusione di un contratto, le parti hanno, in ogni tempo, piena facoltà di verificare la propria convenienza alla stipulazione, con conseguente libertà
, per ciascuna di esse, di recedere dalle trattative indipendentemente dalla esistenza di un giustificato motivo, con il solo limite del rispetto del principio di buona fede e correttezza, da intendersi – tra l’altro – come dovere di informazione della controparte circa la reale possibilità di conclusione del contratto.

[9] Sacco, Il contratto, Tomo II, pag. 246.

[10] Gazzoni, Manuale di diritto privato, 823-4.

[11] Cfr S. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, Vol. I, pag. 370; Bianca, Diritto civile, III, pag. 157; Branca, Istituzioni di diritto privato; Gazzoni, Manuale di diritto privato, pag. 825; Sacco, Il contratto, Tomo II, pag. 255, secondo cui “se l’art. 1337 non esistesse, la slealtà non verrebbe forse repressa ex art. 2043?”.

[12] Galgano, Manuale di diritto privato, pag. 329; Mosco, Culpa in contraendo e determinazione del danno risarcibile, in Giur. Cass. Civ., 1947, III, pag. 431 e ss.; Mengoni; Salv. Romano, Introduzione allo studio del procedimento giuridico nel diritto privato, pag. 53; Benatti, Responsabilità precontrattuale; Stolfi; Cottino, L’impossibilità sopravvenuta della prestazione e la responsabilità del debitore, pag. 62; Scognamiglio.

[13] (5 anni per la responsabilità da fatto illecito extracontrattuale, 10 anni per quello contrattuale).

[14] (l’art. 2046 c.c. esonera infatti da responsabilità extracontrattuale il soggetto incapace d’intendere o di volere al momento di compiere l’atto dannoso).

[15] Cuffaro, Responsabilità precontrattuale, in Enc. Dir., pag. 1270, che richiama a conforto della propria tesi Cass. n. 2363/1971.

[16] In giurisprudenza, cfr. Cass. n. 1632/2000.

[17] Cfr. Bianca, Diritto civile, III, pag. 170. Di contrario avviso è Alessi, voce: Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Nvss. Dig. It., pag. 675, secondo cui “per quel che attiene all’onere della prova non si deve ritenere che, in applicazione alle regole per cui il debitore deve provare l’inesistenza della colpa, il trattante sia da presumersi in mala fede, secondo una valutazione che non può senz’altro accogliersi, neppure nei confronti di chi ha interrotto la trattativa”.

[18] In giurisprudenza, cfr. Cass. n. 1632/2000. In dottrina, cfr Cuffaro, Responsabilità precontrattuale, in Enc. Dir., pag. 1273.

[19] Gazzoni, Manuale di diritto privato, pag. 793.

[20] Ad es., le parti si recano insieme dal notaio e davanti a questo dichiarano, nella medesima unità di tempo, di voler rispettivamente vendere e comprare un dato bene per un dato prezzo: Galgano, Manuale di diritto privato, pag. 221.

[21] Inutile ricordare che la proposta spiega gli effetti che le sono propri quando è completa, ossia “quando contiene la determinazione degli elementi essenziali”: cfr. Bianca, Il contratto, pag. 215.

[22] Secondo l’art. 1326 c.c., “l’accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi”. A tal proposito, la giurisprudenza ritiene che “spetta al giudice di merito il giudizio sulla tardività o meno dell’accettazione di una proposta quando il proponente non abbia fissato un termine per la risposta”: Cfr. Cass. nn. 1844/1986 e 2592/1956.

[23] Cfr. art. 1326, co. 5, c.c.

[24] In argomento, v. Bianca, Il contratto, pag. 221, il quale critica quella tesi secondo cui la proposta e l’accettazione sarebbero atti giuridici in senso stretto, e precisamente atti prenegoziali, poiché “tale tesi non vale a spiegare come il contratto, atto di autonomia negoziale per eccellenza, possa essere costituito da atti non negoziali”.

[25] Poiché l’accertamento dell’esistenza di un contratto già perfetto è accertamento di un “fatto” (che implica una risoluzione di una quaestio voluntatis devoluta all’apprezzamento del giudice di merito), non è sempre facile stabilire quando le trattative possano ritenersi concluse positivamente. È pacifico, comunque, che l’accordo può essere raggiunto gradatamente: le parti possono cioè approvare alcuni punti e proseguire le trattative su altri e, affinché in questo caso il contratto possa dirsi concluso occorre che vi sia una determinazione minima dalla quale risulti la causa ed il tipo delle prestazioni contrattuali. Infatti, ove le parti abbiano raggiunto un accordo sugli elementi essenziali del contratto, senza però regolare taluni punti accidentali, possono ben intervenire le fonti eteronome in via di integrazione ex art. 1374 c.c., e quindi – proprio in virtù del principio dell’eterointegrazione – la perfezione del contratto non sarebbe esclusa dall’eventuale esistenza di quelle lacune che trovano la loro eliminazione nella legge, negli usi e nell’equità (alla luce dell’art. 1183 c.c., ad. es., si pensi alla mancata previsione contrattuale del termine per l’adempimento). In giurisprudenza, cfr. Cass. nn. 7857/1997, 14109/1999, 1037/1968, 4452/1956, 1195/1961, 3044/1963, 408/1967, 517/1970, 2051/1980, 3856/1983, 2335/1992, nonché Tribunale Cagliari 19/6/1992 e 10/3/1993; in dottrina, v. Sacco, La preparazione del contratto, in Trattato di diritto privato, Vol. X, Obbligazioni e contratti, Vol. II, pagg. 463-4. Bianca, Il contratto, pagg. 169, 206 e 228, nonché Gazzoni, Manuale di diritto privato, pag. 825.

[26] Sacco, La preparazione del contratto, in Trattato di diritto privato, Vol. X, Obbligazioni e contratti, Vol. II, pag. 463.

[27] Cass. n. 1667/1948. V., pure, Sacco, La preparazione del contratto, in Trattato di diritto privato, Vol. X, Obbligazioni e contratti, Vol. II, pag. 470.

[28] A tal proposito, si è sostenuto che “il perfezionamento di un contratto non esclude in sé la responsabilità ai sensi dell’art. 1337 c.c. per i danni derivanti dal ritardo nella sua formazione, se in violazione del principio di buona fede sussiste l’obbligo di non rinviarne ingiustificatamente la conclusione”: Cass. n. 10249/1998. Della stessa opinione è Benatti, Responsabilità precontrattuale, pagg. 7, 13, 15, secondo cui “la conclusione o meno del contratto non ha alcuna importanza per il sorgere di questo tipo di responsabilità”. Di contrario avviso, invece, è Cass. n. 3922/1989, secondo cui “la responsabilità precontrattuale presuppone che il contratto non sia stato concluso o non concluso validamente”. Nello stesso senso pare Tribunale Pescara 4/3/1978, secondo cui “la responsabilità ex art. 1337 c.c. è incentrata sul fatto obiettivo che il contratto non è stato più concluso”.

[29] Ricciuto, La formazione progressiva del contratto, in Trattato dei contratto (diretto da Rescigno), I contratti in generale (Gabrielli), Tomo I, pagg. 216-7.

[30] Benatti, Culpa in contrahendo, in Contr. Impr., 1987, pag. 289. V., pure, Ricciuto, La formazione progressiva del contratto, in Trattato dei contratto (diretto da Rescigno), I contratti in generale (Gabrielli), Tomo I, pag. 219.

[31] Benatti, Responsabilità precontrattuale, pag. 19.

[32] Cfr. Cass. n. 4626/1978, Appello Milano 14/1/1977, Appello Roma 30/6/1976. Sul punto, Sacco ha dichiarato che “questa massima ha un tale fascino, che si trova estratta anche dalle sentenze che in realtà enunciano principi del tutto diversi”.

[33] Cuffaro, Responsabilità precontrattuale, in Enc. Dir., pag. 1270. Di contrario avviso è Benatti, Responsabilità precontrattuale, pagg. 55-56, secondo cui “manca nella fase precontrattuale, la possibilità stessa che si crei un vero e proprio affidamento nella stipulazione del negozio, perché la proposta, benchè faccia certamente sorgere nel destinatario un’aspettativa nella conclusione del contratto, è liberamente revocabile, senza dar luogo ad alcuna responsabilità (tranne nel caso particolare dell’art. 1328)”, perché “ogni soggetto sa che le trattative – in quanto attività preparatoria – non sempre conducono alla con
clusione del contratto, perché in ogni momento l’altra parte potrebbe recedere: l’art. 1337 c.c. si preoccupa solo di impedire che le trattative continuino anche quando all’atteggiamento esteriore non corrisponda un’interna volontà”.

[34] Cendon, Commentario al codice civile, art. 1337, pag. 503. V., pure, Ricciuto, La formazione progressiva del contratto, in Trattato dei contratto (diretto da Rescigno), I contratti in generale (Gabrielli), Tomo I, pagg. 220.

[35] Cfr. Cass. n. 1632/2000, nonché Cass. n. 2623/1990.

[36] In giurisprudenza, cfr. Cass. nn. 7857/1997, 14109/1999, 1037/1968, 4452/1956, 1195/1961, 3044/1963, 408/1967, 517/1970, 2051/1980, 3856/1983, 2335/1992, nonché Tribunale Cagliari 19/6/1992 e 10/3/1993; in dottrina, v. Sacco, La preparazione del contratto, in Trattato di diritto privato, Vol. X, Obbligazioni e contratti, Vol. II, pagg. 463-4. Bianca, Il contratto, pagg. 169, 206 e 228, nonché Gazzoni, Manuale di diritto privato, pag. 825.

[37] Cfr. Bianca, Diritto civile, III, pag. 168, nota 39.

[38] Contraria all’opinione di cui nel testo è Cass. n. 6629/1986, secondo cui può rilevare ai sensi dell’art. 1337 c.c. anche la trattativa di breve durata o magari concretatasi in numero minimo di incontri, purché l’interruzione della trattativa risulti comunque priva di ogni ragione giustificativa e tale perciò da sacrificare il legittimo affidamento che la controparte poteva aver fatto sulla conclusione del contratto.

[39] Cuffaro, Responsabilità precontrattuale, in Enc. Dir., pag. 1268.

[40] Sacco, Il contratto, Tomo II, pag. 246.

[41] Benatti, responsabilità precontrattuale, pag. 21.

[42] Ricciuto, La formazione progressiva del contratto, in Trattato dei contratto (diretto da Rescigno), I contratti in generale (Gabrielli), Tomo I, pag. 221.

[43] Cfr. Sacco, Il contratto, Tomo II, pag. 229, 236 e 242, secondo cui l’art. 1337 c.c., che moralizza la trattativa contrattuale e la formazione del contratto, porta con sé qualcosa di ermetico dovuto alla sua natura di norma elastica, imperniata su una clausola generale che costituisce comunque specificazione dell’art. 2043 c.c. Alessi, voce: responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Nvss. Dig. It., pag. 675, aggiunge che l’obbligo di buona fede “sembra riferirsi in termini lati e generici ad un tipo di ‘contegno’, inteso al fine ultimo di mantenere indenni i trattanti”.

[44] Cuffaro, Responsabilità precontrattuale, in Enc. Dir., pag. 1272.

[45] Cioè significa, semplicemente, ignoranza di ledere l’altrui diritto (cfr art. 1147 c.c.).

[46] Galgano, Manuale di diritto privato, pag. 327-8.

[47] Cuffaro, Responsabilità precontrattuale, in Enc. Dir., pag. 1265, il quale fa una interessante carrellata delle definizioni che alla buona fede di cui all’art. 1337 c.c. si sono date: “contegno probo, leale ed informato a chiarezza”, “coscienziosità, rettitudine, onestà”, “lealtà del trattare, come abito di parlar chiaro”, “lealtà e probità”, “fedeltà alla parola data, secondo lo spirito e non secondo la lettera, ed astensione da ogni contegno che possa sorprendere la fiducia dell’altro soggetto”, “cura e lealtà normalmente impiegata negli affari”, “principio di solidarietà contrattuale che si specifica nei due fondamentali aspetti della lealtà e della salvaguardia”.

[48] Benatti, Responsabilità precontrattuale, pag. 36 pare aderire a quella tesi secondo cui l’art. 1337 c.c. sia una “norma sociale pregiuridica”.

[49] Cfr. Bianca, Diritto civile, III, pag. 162, nonché Benatti, Responsabilità precontrattuale, pag. 47.

[50] Cfr. Sacco, La preparazione del contratto, in Trattato di diritto privato, Vol. X, Obbligazioni e contratti, Vol. II, pag. 467, secondo cui il divieto di recedere, senza causa giustificante, da una trattativa creatrice di affidamento costituisce infatti una norma fondata su elementi obiettivi, per cui la buona fede soggettiva non scusa, l’assenza di colpa non scusa, la malizia non è richiesta. A tal proposito, cfr. pure Cass. n. 340/1988.

[51] Cass. n. 11394/1997, citata da Bianca, Diritto civile, pag. 168.

[52] Cfr Cass. n. 9157/1995 e Cass. n. 340/1988. Contra Cass. n. 1163/1995, secondo cui “la responsabilità precontrattuale, essendo riconducibile alla più ampia categoria della responsabilità extracontrattuale, presuppone anche la prova, a carico di colui che agisce per il risarcimento del danno, della malafede del recedente”.

[53] Tribunale Roma 14/5/1980.

[54] Cass. n. 430/1981.

[55] Cendon, Commentario al codice civile, art. 1337, pag. 503.

[56] Gazzoni, Manuale di diritto privato, 530.

[57] Gazzoni, Manuale di diritto privato, 531.

[58] Galgano, Manuale di diritto privato, pag. 329.

[59] Bessone, Rapporto precontrattuale e doveri di correttezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972, pag. 997, citato da Cuffaro, Responsabilità precontrattuale, in Enc. Dir., pag. 1266. A tal proposito la giurisprudenza ha comunque specificato che a tal fine rileva anche il silenzio serbato da uno dei contraenti pur se esso sia determinato da mera colpa: Cfr. Cass. n. 2425/1961, citata da Bianca, Diritto civile, III, pagg. 169-170, nota 44.

[60] Cass., SS.UU., n. 3152/1983.

[61] Appello Roma 20 maggio 1955. In arg., cfr Benatti, Responsabilità precontrattuale, pag. 55, secondo cui nel caso prospettato nel testo nascerebbe il dovere di recedere o di rendere noto alla controparte che esistono difficoltà al raggiungimento dell’accordo, e “qualora prosegua nelle trattative, nell’ipotesi di rottura si renderà responsabile ai sensi dell’art. 1337”.

[62] Appello Venezia 6 luglio 1955. Cfr. Sacco, La preparazione del contratto, in Trattato di diritto privato, Vol. X, Obbligazioni e contratti, Vol. II, pag. 467, nonché Sacco, Il contratto, Tomo II, pag. 234.

[63] Sacco, Il contratto, Tomo II, pag. 245.

[64] Tribunale Milano 5/5/1997.

[65] Cfr., sul punto, Tribunale Cremona 6/6/1991.

[66] Cass. n. 399/1985.

[67] Benatti, Responsabilità precontrattuale, pag. 53.

[68] Benatti, Responsabilità precontrattuale, pag. 56.

[69] Cendon, Commentario al codice civile, art. 1337, pag. 503. V., pure, Ricciuto, La formazione progressiva del contratto, in Trattato dei contratto (diretto da Rescigno), I contratti in generale (Gabrielli), Tomo I, pagg. 220.

[70] Galgano, Manuale di diritto privato, pag. 329, Bianca, Diritto civile, III, pag. 157, Sacco, Il contratto, Tomo II, pag. 255, Gazzoni, Manuale di diritto privato, pag. 825. In giurisprudenza, cfr. Cass. n. 1632/2000, nonché Cass. n. 2623/1990.

[71] Cuffaro, Responsabilità precontrattuale, in Enc. Dir., pag. 1273 e ss. Benatti, Responsabilità precontrattuale, pag. 145 e ss., secondo cui “l’interesse negativo può non soltanto essere pari a quello positivo, ma addirittura superarlo, quando il vantaggio che una persona avrebbe potuto ricavare dalla mancata occasione di concludere un diverso contratto, sarebbe stato superiore a quello che le sarebbe derivato se avesse stipulato un negozio nullo”.

[72] Cfr. Bianca, Diritto civile, III, pag. 175.

[73] Bianca, Diritto Civile, III, pag. 156, il quale distingue quindi l’interesse negativo risarcibile dall’interesse positivo, cioè l’interesse all’adempimento, all’esecuzione del rapporto contrattuale. In arg., cfr. pure Gazzoni, Manuale di diritto privato, 824. In giurisprudenza, cfr. Cass. n. 9157/1995.

[74] Cfr. Bianca, Diritto civile, III, pag. 175. Cfr., pure, De Cupis, Il danno, pag. 341.

[75] In giurisprudenza, cfr. Cass. n. 1632/2000.

[76] Cfr. Bianca, Diritto civile, III, pag. 175. V., altresì, Cendon, Commentario al codice civile, art. 1337, pag. 508.

[77] Scognamiglio, Dei contratti
in generale (Comm.), pag. 212.

[78] Cfr. Bianca, Diritto civile, III, pag. 176.

[79] Cass. n. 4299/1999.

[80] Cuffaro, Responsabilità precontrattuale, in Enc. Dir., pag. 1272.

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