Procedimento disciplinare avanti al CNF: possibile la reformatio in pejus

Il divieto di reformatio in pejus significa che il giudice dell’impugnazione non può aggravare la sanzione quando ad appellare sia il (solo) sanzionato.

A tal proposito, in ambito del procedimento disciplinare forense, la “vecchia” legge professionale (art. 50 RDL n. 1578/1933(*)) non disciplinava in modo diretto il divieto in parola, ma lo si ricavava comunque a contrario, ovvero: affermando che la sanzione potesse essere aggravata (solo) quando ad impugnare era il PM, la norma implicitamente vietava di aggravarla negli altri casi.

Ora, la “nuova” legge professionale (art. 61 Legge 247/2012) non riproduce il divieto in parola.
Ciò appare tanto più significativo ove si consideri che:
1) il procedimento disciplinare avanti al CNF non è un giudizio di secondo grado in senso stretto (per tutte, di recente, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Logrieco, rel. Merli), sentenza del 22 dicembre 2017, n. 219), bensì un giudizio di primo grado giurisdizionale,
2) conseguentemente, risulta complicato ritenere applicabile il divieto in parola in base agli stessi principi generali che disciplinano la fase dell’impugnazione (principi che, peraltro, sono stati ritenuti insufficienti in penale, dove infatti si è reso necessario stabilire espressamente quanto previsto dall’art. 597 cpp(**)), o magari in forza di una sorta di reviviscenza dell’art. 50 RDL cit.

Conclusivamente, in difetto di una previsione normativa espressa, deve ritenersi che il divieto di reformatio in pejus non operi nei giudizi disciplinari avanti al CNF, il quale allora ben potrebbe aggravare la sanzione anche nel caso di impugnazione proposta dal solo incolpato.

 

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(*)
“Per effetto del ricorso incidentale la commissione centrale può, limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, infliggere al professionista ricorrente una pena disciplinare più grave, per specie e durata, di quella inflitta dal direttorio del sindacato”.
(**)
Il codice di procedura penale è più esplicito, stabilendo che il giudice “non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici”.

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