¨ Sezione I: Il procedimento e le singole sanzioni disciplinari
§ 1: Il contenzioso professionale: considerazioni preliminari
§ 1.1: Le fasi del contenzioso
§ 1.2: La fase preliminare
§ 1.3: Il primo grado del contenzioso
§ 1.4: Il secondo grado del contenzioso
§ 1.5: Il terzo grado del contenzioso
§ 2: Le singole sanzioni disciplinari
§ 2.1: L’avvertimento
§ 2.2: La censura
§ 2.3: La sospensione dall’esercizio professionale
§ 2.3.1: La sospensione di diritto
§ 2.3.2: La sospensione cautelare
§ 2.4: La cancellazione dall’albo
§ 2.5: La radiazione dall’albo
§ 1: La natura giurisdizionale dei Consigli nazionali pre-repubblicani
§ 2: Il problema della legittimità costituzionale dei giudici speciali professionali
§ 3: Il sindacato giurisdizionale sulle pronunce degli enti professionali
SEZIONE I: IL PROCEDIMENTO E LE SINGOLE SANZIONI DISCIPLINARI
§ 1 Il contenzioso professionale: considerazioni preliminari
Il contenzioso davanti agli enti professionali può avere per oggetto varie materie. Può, infatti riguardare questioni di iscrizione o cancellazione nell’albo, elettorali[1] e disciplinari[2]. Nonostante la possibile varietà nell’oggetto, il contenzioso professionale ha sostanzialmente carattere unitario[3], per cui sarà possibile studiarne le diverse fasi facendo esclusivo riferimento al contenzioso disciplinare, al quale gli altri si ispirano discostandosene poco o nulla.
Tuttavia, prima di soffermarci sulle singole fasi di tale contenzioso, è necessario fare preliminarmente alcune considerazioni.
Deve anzitutto dirsi che il regolare svolgimento dell’attività disciplinare dell’ente professionale viene sottoposto alla vigilanza esterna del Pubblico Ministero, al quale devono essere notificati i provvedimenti relativi alle decisioni prese dall’ente relativi alle iscrizioni agli albi, alle revisioni, alla materia disciplinare[4]. Inoltre, come vedremo meglio a proposito del potere d’iniziativa nel procedimento disciplinare, il p.m. riveste in tal senso un ruolo importante, ruolo che ci consente di evidenziare subito il rapporto che può esservi tra procedimento penale e procedimento disciplinare[5]: il Consiglio dell’Ordine o Collegio può agire in via disciplinare anche indipendentemente dalla circostanza che l’autorità giudiziaria abbia iniziato l’azione penale; tuttavia, nel caso in cui il medesimo fatto formi oggetto di contemporaneo procedimento penale, il Consiglio dovrà sospendere il procedimento disciplinare per attendere la sentenza penale definitiva[6]. Bisogna tuttavia sottolineare che l’azione disciplinare mantiene una certa autonomia rispetto a quella penale in quanto lo stesso fatto o comportamento professionale può avere per la legge professionale un rilievo diverso rispetto al diritto penale. In ogni caso, i vincoli che provengono dal giudizio penale al giudice disciplinare riguardano il principio della immutabilità del fatto accertato irrevocabilmente da sentenza penale passata in giudicato[7] [8].
Altra osservazione su cui è opportuno qui soffermarci riguarda le modalità di svolgimento del contenzioso professionale. Particolare che, insieme ad altri, contribuisce a differenziare il procedimento disciplinare da quello penale è che la seduta o udienza per la celebrazione del processo disciplinare non è pubblica[9]: in tutti procedimenti davanti all’ente professionale vige infatti il principio di segretezza[10]. La ratio è da ricercare nella considerazione che la pubblicità comporterebbe la divulgazione di fatti (veri o presunti tali) la quale potrebbe portare disdoro al prestigio della professione e al decoro della categoria professionale, e cioè proprio a quei valori alla cui tutela il procedimento è rivolto[11] [12].
Un’ultima considerazione preliminare riguarda la prescrizione dell’azione disciplinare. Tale lasso di tempo è determinato dalle leggi professionali e, di solito, è di cinque anni[13] decorrenti dal fatto addebitato[14].
§ 1.1 Le fasi del contenzioso
Per quanto riguarda il procedimento disciplinare, in alcune professioni (sanitari, avvocati, ingegneri e architetti) esso è minutamente disciplinato. Ad esso sono applicabili, inoltre, le norme del codice di procedura civile e, in minore misura, quelle di procedura penale[15].
Di norma, la competenza a procedere in via disciplinare appartiene ai Consigli dell’Ordine o Collegio locali presso i quali sono iscritti gli incolpati[16]. Secondo quanto previsto nelle leggi professionali, il procedimento disciplinare è iniziato d’ufficio o su richiesta del p.m. presso la Corte d’appello o il Tribunale[17], o, per i sanitari, su richiesta del Prefetto[18], ovvero ancora su ricorso dell’interessato[19] nel caso in cui intenda rimuovere tra i componenti del proprio gruppo professionale un dubbio o un sospetto che lo riguardi[20].
Eventuali esposti di terzi (siano essi colleghi, clienti o in genere danneggiati dalla presunta colpa del professionista) hanno solo valore di denunzia, cui non corrisponde alcun obbligo né dell’Ordine o Collegio, né del pubblico ministero o del prefetto di iniziare il procedimento. Analogamente la dichiarazione di costoro di ritrattare la denunzia non vale ad estinguere il procedimento disciplinare iniziato. In sostanza, l’ente professionale può valutare con piena discrezionalità (tecnica) l’attendibilità di tale tipo di denuncia[21].
§ 1.2 La fase preliminare
Il procedimento disciplinare è preceduto da una fase preliminare o preparatoria che fa capo direttamente al presidente del Consiglio dell’Ordine o Collegio (o ad un componente da lui delegato), la quale consiste nella ricerca delle prime sommarie informazioni[22] sul fatto che si pretende lesivo del prestigio della professione o comunque passibile di una sanzione disciplinare. Si tratta di una istruzione informale condotta con grande libertà e semplicità dal presidente, ad esito della quale egli deve convocare e riferire al Consiglio che delibera se iniziare o no il procedimento disciplinare[23].
Non appena il Consiglio decide di iniziare un procedimento disciplinare a carico di un iscritto, deve darne comunicazione al p.m. e all’interessato, enunciando sommariamente i fatti per i quali il procedimento è iniziato, sotto forma di capi di accusa. La contestazione degli addebiti deve avvenire con lettera raccomandata o a mezzo di ufficiale giudiziario, a pena di nullità, ed in ogni caso deve pervenire all’incolpato con un congruo anticipo[24] rispetto alla data fissata per la seduta dallo stesso presidente, per consentire all’interessato di presentare le proprie controdeduzioni[25].
§ 1.3 Il primo grado del contenzioso
L’organo competente a decidere in prima istanza è il Consiglio dell’Ordine o Collegio.
Nella seduta il relatore (nominato dal presidente fra i membri del Consiglio) espone i fatti e le risultanze dell’istruttoria ed il Consiglio ha la facoltà di sentire testimoni, indicati o meno dalle parti, o disporre consulenze tecniche.
L’imputato è ammesso a difendersi con ampia libertà di produrre prove a sua discolpa, di intervenire personalmente al dibattito e prendervi la parola, di farsi assistere da uno o più avvocati[26].
Chiusa la trattazione orale e allontanate le parti, il Consiglio emette la decisione, la quale deve essere firmata almeno dal presidente e dal segretario dell’Ordine o Collegio, deve essere motivata e notificata, entro un termine variabile a seconda degli ordinamenti (15 giorni per la legge forense, 30 per i dottori commercialisti) e con le stesse forme prescritte p
er la contestazione degli addebiti, all’interessato e al pubblico ministero presso il tribunale[27], eventualmente al prefetto, ai ministri competenti, agli altri Ordini e Collegi della categoria, e depositata negli uffici della segreteria dell’Ordine o Collegio (pubblicazione).
Sono applicabili, secondo il codice di procedura civile, l’astensione e la ricusazione[28]. Quest’ultima può essere proposta fino al giorno prima della seduta[29]. È principio generale che sulle istanze di ricusazione e di astensione decide l’organo competente in secondo grado (v. paragrafo succ.), il quale, se respinge l’astensione o la ricusazione, rimette la questione all’organo normalmente competente, altrimenti decide anche nel merito.
Le decisioni disciplinari possono essere soggette a correzione di errore materiale secondo il codice di procedura civile[30], devono contenere l’indicazione dei fatti addebitati (rispetto ai quali vi deve essere corrispondenza con quelli contestati[31]), dei motivi sui quali si fonda, il dispositivo e la data in cui è stata pronunziata. Il dispositivo potrà essere di condanna o di assoluzione perché il fatto non sussiste, perché l’incolpato non lo ha commesso oppure perché il fatto non è disciplinarmente punibile[32].
§ 1.4 Il secondo grado del contenzioso
La decisione del Consigli locali può essere impugnata con ricorso[33] (solitamente entro 30 giorni dalla notificazione[34]) dall’interessato, dal Procuratore della Repubblica o, per i sanitari, dal Prefetto, dinanzi al Consiglio Nazionale[35] o alla Commissione Centrale.
Le decisioni vengono adottate a maggioranza, ed in caso di parità prevale il voto del presidente. Contro le suddette decisioni è generalmente ammesso gravame presso le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[36].
Il ricorso va notificato all’Ordine o Collegio. Il Consiglio dell’Ordine o Collegio ha, infatti, un evidente interesse a essere parte nei successivi giudizi nei quali sono impugnate le sue decisioni. Data la lacuna di alcune leggi professionali su questo punto, in un primo tempo si è escluso che nei detti giudizi i Consigli fossero contraddittori necessari[37], ma più recentemente la giurisprudenza del Supremo Collegio ha adottato la soluzione opposta[38].
Il ricorso al Consiglio Nazionale (o alla Commissione Centrale) ha generalmente effetto sospensivo. Nel caso opposto, le leggi professionali consentono all’autorità adita di sospendere l’efficacia del provvedimento impugnato quando ciò non avvenga automaticamente in seguito alla proposizione del ricorso, e ove lo ritenga opportuno[39].
Per lo svolgimento di questa seconda fase valgono le stesse regole fissate per il primo grado di cognizione, compresa l’ammissibilità dell’astensione e della ricusazione.
La decisione, pronunziata in nome del popolo italiano, è comunicata, con le stesse forme di quella di primo grado, al ricorrente ed ai contraddittori, compreso l’Ordine o Collegio, entro un termine ordinatorio che, di solito, è di 30 giorni.
Circa i limiti del giudicato vige la regola[40] secondo cui gli effetti del ricorso si producano rigorosamente nei soli confronti dei professionisti che lo hanno proposto. Tale regola, che è conforme al diritto processuale civile, secondo alcuni autori rivelerebbe il carattere nettamente giurisdizionale delle decisioni di tutti i Consigli Nazionali[41].
§ 1.5 Il terzo grado del contenzioso
Dopo essere stati esperiti in sede di ente professionale i due gradi di giurisdizione, è dato ricorso[42], contro i provvedimenti degli organi centrali, o alle Sezioni Unite[43] della Corte di Cassazione[44] per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge[45], ovvero ai Tribunali ed alle Corti di appello, con collegi giudicanti integrati da due membri della categoria professionale interessata, a seconda dei vari ordinamenti.
Il ricorso non ha effetto sospensivo[46]. Tuttavia l’esecuzione può essere sospesa dalla Cassazione con decisione presa in camera di consiglio su istanza del ricorrente[47].
Il procedimento disciplinare innanzi alla Corte di Cassazione segue le norme procedimentali del processo in Cassazione in materia civile, come espressamente dispone, benché non ve ne fosse bisogno, l’articolo 67 del regolamento forense[48].
§ 2 Le singole sanzioni disciplinari
Le sanzioni disciplinari, sono sanzioni amministrative[49], le quali “costituiscono una delle manifestazioni di quel potere di supremazia speciale che è stato dalla legge attribuito all’ente professionale affinché possa raggiungere in concreto i suoi fini istituzionali”[50], cioè garantire il corretto ed ordinato esercizio della professione liberale.
Può essere interessante tentare un confronto tra le sanzioni professionali previste negli ordinamenti delle libere professioni, e le sanzioni previste dal diritto penale. Con queste ultime, le sanzioni professionali presentano alcuni caratteri comuni: la personalità, nel senso che sono riferibili esclusivamente alla persona fisica del colpevole; l’imputabilità; la irretroattività; la proporzionalità alla gravità dell’infrazione. Se ne differenziano, invece, sotto i seguenti profili: possono essere irrogate solo in costanza del rapporto con l’ente professionale; non sono cumulabili con altre sanzioni professionali; non sono traducibili in valori economici (solo per i notai è prevista l’ammenda: v. oltre)[51] [52].
Il potere di irrogare ai professionisti le varie sanzioni disciplinari è attribuito generalmente ai Consigli dell’Ordine o Collegio[53]. Tuttavia, data la più marcata natura pubblica dell’attività esplicata dai notai e dagli agenti di cambio, le sanzioni più gravi vengono inflitte, per i primi, dal Tribunale civile nella cui giurisdizione si trova la sede del Consiglio notarile da cui dipende il notaio[54], e, per i secondi, dal Ministero del Tesoro[55].
Le sanzioni professionali sono generalmente le seguenti in ordine di gravità crescente: l’avvertimento o richiamo; la censura; la sospensione dall’esercizio professionale; la cancellazione dall’albo; la radiazione. A queste devono aggiungersi due particolari sanzioni, previste esclusivamente a possibile carico dei notai: la destituzione e l’ammenda. Quest’ultima, prevista dall’art. 137 della legge n. 89 del 1913, consiste nel pagamento di una somma di danaro a favore della Cassa del Consiglio notarile[56]. La destituzione, invece, è un provvedimento il cui carattere di particolare gravità va posto in relazione alla qualifica di pubblici ufficiali che rivestono questi professionisti[57].
§ 2.1 L’avvertimento (o richiamo)
In ordine di gravità, la sanzione minore è costituita dall’avvertimento[58], il quale viene normalmente notificato per iscritto e consiste nel richiamare il colpevole circa la mancanza commessa[59] e nel diffidarlo a non ricadervi[60] [61].
§ 2.2 La censura
La censura, anch’essa comunicata per iscritto, è una formale dichiarazione di biasimo per l’infrazione commessa, che può contenere l’espressa diffida a non più commetterla[62].
La censura, pertanto, è la pena prevista per i casi in cui il Consiglio ritenga che sia troppo lieve l’avvertimento e sia invece sproporzionata la sospensione[63].
§ 2.3 La sospensione dall’esercizio professionale
La pena che per gravità segue alla censura è la sospensione dall’esercizio della professione per un periodo prefissato nelle leggi professionali[64].
La sospensione è la pena che si commina per i casi di mancanze o abusi tali da compromettere seriamente l’appartenenza del colpevole all’Ordine o al Collegio professionale. In altri termini, quando l’iscritto abbia compromesso con la sua condotta la dignità professionale[65], a seguito della sospensione egli viene completamente allontanato dall’esercizio professionale p
er un tempo determinato[66].
§ 2.3.1 La sospensione di diritto
Sono previsti alcuni casi in cui la sospensione consegue di diritto, senza che vi sia alcun apprezzamento della colpa da parte dell’Ordine o Collegio.
La sospensione “di diritto” deve essere applicata: a) quando viene imposta dal giudice penale (art. 35 c.p.); b) quando è ordinato il ricovero in un manicomio giudiziario (art. 222 c.p.); c) a seguito di ricovero in casa di cura e custodia per intossicazione da alcool o sostanze stupefacenti o infermità psichica (artt. 89, 95, 140, 206, 219 c.p.) [67]; d) quando vi sia stata l’interdizione dalla professione per una durata non superiore a tre anni e per tutto il tempo in cui dura la causa; e) in caso di morosità nel pagamento dei contributi associativi[68]; f) quando al professionista venga applicata una misura di sicurezza non detentiva fra quelle previste nell’art. 215, comma 3, nn. 1, 2 e 3, cod. pen.[69].
In tutti i casi sopra elencati[70] la sospensione è dichiarata dal Consiglio che può previamente sentire il professionista, ove lo ritenga opportuno[71].
§ 2.3.2 La sospensione cautelare
Dalla sospensione intesa come sanzione disciplinare occorre distinguere la sospensione cautelare, la quale non ha natura di sanzione in quanto è esclusivamente una misura preventiva in attesa dell’accertamento della colpevolezza o meno del professionista imputato in un procedimento penale o amministrativo[72]. La sospensione cautelare, a differenza della sospensione-sanzione, ha, pertanto, carattere provvisorio e durata indeterminata: è una misura di attesa, nel senso che è comminata in presenza di una situazione grave e finché tale situazione non sbocchi in una pronunzia definitiva[73].
La sospensione cautelare può essere facoltativa o obbligatoria a seconda della gravità del caso. È obbligatoria quando viene emesso dall’autorità giudiziaria un ordine o un mandato di cattura a carico del professionista, ove ciò sia previsto dalla legge penale. Invece, la sospensione cautelare c.d. facoltativa viene pronunciata a discrezione del Consiglio dell’Ordine o Collegio, per salvaguardare la dignità e il decoro della professione, nei casi in cui è probabile che un procedimento (amministrativo o penale) instaurato contro l’iscritto si risolva in suo danno[74] [75] [76].
Per la pronunzia della sospensione cautelare non va osservato il procedimento disposto per i giudizi disciplinari[77], in quanto non si tratta infatti di pena disciplinare, ma di misura cautelare, di attesa.
Lo stesso Consiglio può revocare la sospensione quando è cessata la causa per cui la pronunziò, o quando ha definito il giudizio disciplinare. L’eventuale revoca del provvedimento cautelare è rimessa allo stesso organo che l’ha emanato, previe indagini sui fatti oggetto dell’imputazione[78].
§ 2.4 La cancellazione dall’albo
La cancellazione dall’albo è la sanzione disciplinare disposta nei casi più gravi. Tuttavia, essa non sempre ha carattere disciplinare[79]. Può essere, infatti, pronunciata anche nei casi: 1) di domanda o di dimissioni dell’iscritto; 2) di perdita della cittadinanza o del godimento dei diritti civili; 3) di trasferimento dell’iscritto in un altro albo; 4) di incompatibilità sopravvenuta[80] [81].
§ 2.5 La radiazione dall’albo
La radiazione dall’albo è la pena maggiore e –come è stata definita – la “morte civile del professionista”[82].
Tale sanzione è pronunciata[83] contro il professionista che, con la sua condotta (costituita anche da un singolo episodio[84]), abbia gravemente compromesso la propria reputazione personale e la dignità della categoria professionale o il prestigio della professione[85], fino a rendere incompatibile con la dignità stessa della categoria la sua permanenza nell’albo[86].
Come la sanzione della sospensione dall’esercizio professionale, anche la radiazione è comminata “di diritto” in determinati casi: a) in caso di condanna per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia, contro la fede pubblica, contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, contro il patrimonio[87] oppure per ogni altro delitto, non colposo (per il quale sia intervenuta la condanna definitiva[88]), per il quale la legge commini la pena della reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a cinque anni; b) in caso di interdizione dai pubblici uffici, perpetua o di durata superiore a tre anni o di interdizione dall’esercizio di una professione per un’eguale durata; c) in caso di ricovero in un manicomio giudiziario nelle ipotesi indicate nell’art. 222, comma 2, cod. pen.[89], o di assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro[90].
SEZIONE II:
La c.d. giurisdizione domestica
Nelle pagine che precedono abbiamo indicato le funzioni contenziose espletate dagli enti professionali, con riferimento alla iscrizione nell’albo, alle sanzioni disciplinari, ed alla materia elettorale.
Ora è necessario domandarsi se tali funzioni hanno natura giurisdizionale o amministrativa, e, nel primo caso, esaminarne la legittimità sul piano costituzionale[91].
§ 1 La natura giurisdizionale dei Consigli nazionali pre-repubblicani([92])
Nel contenzioso delle libere professioni intellettuali i Consigli nazionali delle varie professioni e la Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, pur essendo organi amministrativi, esercitano una funzione giustiziale, cioè obiettiva ed imparziale attuazione di un complesso di norme. A tale riguardo si parla di giurisdizione domestica (ovvero, se si preferisce, “privata” o “interna”)[93], la quale è “il più importante, se non unico esempio, nell’ordinamento italiano, di vera e propria autodichia, o autocrinia o autodicastia”[94].
I Consigli Nazionali costituiscono, quindi, una giurisdizione familiare o domestica, in quanto sono composti da soggetti appartenenti alla medesima categoria di quella nei cui confronti esercitano i propri poteri, e applicano il complesso normativo concernente il comportamento dei privati professionisti[95].
L’esercizio di tale funzione lascia, però, impregiudicato il problema della qualifica formale dei poteri esercitati dagli enti professionali, e cioè potrebbe darsi benissimo che essi decidano emanando atti formalmente giurisdizionali, oppure atti amministrativi.
Anche chi[96] ha in passato sostenuto la natura giurisdizionale del procedimento dinanzi agli enti professionali sulla sola base delle modalità procedurali si è di recente[97] convinto che una regolamentazione accurata e precisa non è, di per sé, indice di una sua natura giurisdizionale, perché tale carattere può anche essere proprio di un procedimento amministrativo, così come, viceversa, eventuali lacune non dimostrano che esso abbia carattere amministrativo, in quanto può trattarsi ugualmente di un procedimento giurisdizionale, nel quale la forma contenziosa sia disciplinata in maniera imperfetta[98] [99].
Per risolvere il quesito, se si tratti, cioè, di poteri giurisdizionali o amministrativi, è invece necessario distinguere a seconda che contro le pronunce di tali organi sia ammesso o meno il ricorso immediato in Cassazione[100]. Il ricorso alle sezioni unite della Cassazione, previsto in determinate leggi professionali, presuppone, infatti, la natura giurisdizionale della decisione impugnata, in quanto gli atti impugnati in Cassazione non possono essere che sentenze di un giudice –nel caso nostro di un giudice speciale – e quindi atti formalmente giurisdizionali e non amministrativi[101].
Tale ricorso è sempre ammesso contro le decisioni della Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, la quale deve ritenersi quindi chiaramente una giurisdizione speciale[102]
. Non lo è sempre, invece, nei confronti delle decisioni dei Consigli nazionali delle varie professioni[103]: in questi casi, se il ricorso è accordato, si è in presenza di giurisdizioni speciali; altrimenti, per proporre gravame contro le suddette pronunce occorre adire l’autorità giudiziaria ordinaria secondo il consueto iter del doppio grado di giudizio, o le apposite sezioni specializzate (giurisdizionali) che siano state dal legislatore espressamente istituite (come previsto dalle leggi professionali dei dottori agronomi e forestali; dei periti agrari; dei biologi; dei geologi)[104]. In quest’ultima ipotesi (quando, cioè, non sia ammesso ricorso immediato in Cassazione), per gli atti dei Consigli nazionali, si è in presenza di decisioni emanate secondo forme tipicamente amministrative, che non portano ad una sentenza emessa da un giudice speciale (per cui contro la relativa decisione non è ammesso il ricorso immediato in Cassazione per violazione di legge).
Si delineano quindi due specie di procedimenti contenziosi avanti i Consigli nazionali, a seconda che essi si svolgano in sede amministrativa (come avviene, ad es., per i consulenti del lavoro, i geologi, i giornalisti, gli psicologi, i tecnologi alimentari, ecc.) oppure in sede considerata giurisdizionale (come avviene per gli esercenti le professioni sanitarie, per gli avvocati, attuari, chimici, geometri, architetti e ingegneri[105], periti agrari e periti industriali)[106].
§ 2 Il problema della legittimità costituzionale dei giudici speciali professionali
Abbiamo visto che all’interno della regolamentazione relativa alle professioni liberali esiste una fondamentale diversità di trattamento, dato che i Consigli nazionali (e la Commissione Centrale) di determinati enti professionali hanno carattere giurisdizionale (e quindi possono considerarsi veri e propri giudici speciali), mentre gli altri Consigli nazionali hanno natura amministrativa.
La ragione di tale diversità di trattamento (per cui, come si è visto, solo per determinate professioni è consentito il ricorso immediato in Cassazione) è da far risalire ad un dato costituzionale.
Sancisce il 2° comma dell’art. 102 Cost.: «Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura».
Se per i Consigli nazionali che esercitano funzioni decisorie attraverso comuni atti amministrativi non sorgono problemi di legittimità costituzionale, in quanto nelle nuove leggi professionali si è rispettato il disposto del cit. art. 102, 2° comma, della Costituzione, particolari considerazioni devono invece essere fatte per la Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, nonché per quei Consigli nazionali i quali costituiscono vere e proprie giurisdizioni speciali.
Infatti, secondo la disposizione transitoria VI della Costituzione, “entro 5 anni dall’entrata in vigore della Costituzione si provvede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e dei Tribunali militari”. Il termine di 5 anni è ormai scaduto da parecchio tempo, per cui ci si può chiedere quale sia stata l’incidenza della norma costituzionale circa la legittimità ed il permanere in vita delle giurisdizioni speciali[107].
Anzitutto, la norma della disp. trans. VI parla di revisione e non di caducazione immediata o automatica delle giurisdizioni speciali, conseguente al decorso del termine sancito per la loro revisione, per cui nella Costituzione solo il divieto di istituire nuove giurisdizioni speciali è categorico, mentre per quelle preesistenti, dal combinato disposto dell’art. 102 e della disp. trans. VI, si deduce solo un precetto di carattere programmatico, quale è quello che ne impone al legislatore la revisione[108]. In altri termini, la citata disposizione VI ha solo prescritto un adeguamento delle giurisdizioni speciali all’esigenza di salvaguardare i diritti dei cittadini, attraverso garanzie di indipendenza del giudice e di difesa in giudizio. Pertanto, l’applicabilità delle garanzie giurisdizionali al procedimento che si svolge davanti ai Consigli Nazionali delle varie professioni ed alla Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, non è, dunque, una semplice opportunità, come avviene per i procedimenti amministrativi contenziosi, la cui valutazione è rimessa al legislatore ordinario, ma è oggetto di una ben precisa garanzia, che la Costituzione impone, perché tali giurisdizioni speciali esercitino legittimamente i propri poteri. La Costituzione dunque, lungi dal sopprimere le giurisdizioni speciali, tollera la loro conservazione, e solo prescrive che esse siano circondate da adeguate garanzie, che essa assicura al privato[109].
Bisogna aggiungere che le giurisdizioni professionali, come qualunque altra giurisdizione speciale, non sono del tutto avulse dall’apparato giudiziario dello Stato, in quanto sono soggette al sindacato della Corte di Cassazione per violazione di legge, come prescrive il 2° comma dell’art. 111 della Costituzione[110]. Inoltre, la Cassazione anche nei confronti di questi giudici speciali viene a mantenere la propria funzione di organo che assicura l’unità del sistema, e di guida della giurisprudenza nell’interpretazione della legge (nomofilachia).
Per riassumere, la funzione contenziosa dei Consigli degli Ordini istituiti o riorganizzati più dì recente è da qualificare “amministrativa contenziosa”. Invece negli Ordini di più remota origine (es. avvocati, ingegneri e architetti, attuari, geometri, periti agrari: in sostanza, quelli istituiti prima del 1° gennaio 1948) i Consigli nazionali operano in tema di contenzioso professionale come “giudici speciali”. Una posizione analoga ha la Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie[111] [112].
§ 3 Il sindacato giurisdizionale sulle pronunce dei Consigli degli enti professionali
L’opportunità di ammettere nel nostro ordinamento le giurisdizioni speciali professionali si identifica con l’esigenza di deferire certe controversie a giudici altamente specializzati formati da persone appartenenti alla stessa categoria di coloro che ricorrono al loro intervento. Infatti, vi sono situazioni, le quali meglio trovano tutela presso quelle giurisdizioni speciali, che la Costituzione non garantisce espressamente. Tale è il caso del contenzioso professionale, nel quale solo i professionisti, cioè persone appartenenti alla stessa categoria del professionista interessato, sono in grado di applicare le norme deontologiche e di rendersi conto, per averle vissute, delle particolari situazioni nelle quali i professionisti sono venuti a trovarsi. Deve pertanto ritenersi che le giurisdizioni speciali dei professionisti consentono un sindacato, sul comportamento di questi ultimi, più pregnante di quello che potrebbe essere effettuato dal giudice ordinario[113].
Occorre tuttavia chiedersi quale sia l’ampiezza del sindacato giurisdizionale sulle pronunce degli organi rappresentativi delle associazioni professionali, sindacato giurisdizionale che costituisce, ovviamente, lo strumento primario di garanzia dei diritti del professionista. Da un lato, si pone il problema dell’applicazione della deontologia professionale e del relativo controllo giurisdizionale; dall’altro, lato nasce il problema della posizione delle regole di comportamento del professionista e del controllo giurisdizionale sull’esistenza e la portata di questo parametro del giudizio concreto.
Nel caso in cui la funzione contenziosa esplicata dall’ente professionale ha natura amministrativa la legge prevede che, esaurita la fase amministrativa, possa aprirsi un procedimento giurisdizionale innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, l
a quale non trova preclusioni, né in diritto né in fatto, provenienti dalla precedente pronuncia e può conoscere integralmente la questione già decisa. In altri termini, il giudice esamina ex novo il comportamento del professionista e definisce il giudizio.
Diverso è il discorso per i casi in cui il Consiglio nazionale dell’Ordine opera come giudice speciale, in quanto avverso la decisione di un organo di questa natura è previsto solo il ricorso alle sezioni unite della Corte di Cassazione. Occorre pertanto definire i limiti entro i quali può esercitarsi il sindacato di detta Corte, il quale, essendo di pura legittimità, non può riguardare le norme deontologiche applicate, dato che queste ultime sono norme non giuridiche ma di opportunità. Non esistono, inoltre, norme di diritto positivo le quali estendano il sindacato della Cassazione alle norme deontologiche, che hanno determinato l’irrogazione della sanzione disciplinare: la legge parla soltanto di valutazioni di legittimità[114].
Non prendendo in considerazione una poco probabile soluzione esclusivamente di carattere processuale del problema, la quale consenta alla Cassazione di valutare il merito della controversia[115], deve ritenersi che “i soli profili di carattere contenutistico, nel cui ambito può essere consentito alla Corte di Cassazione un sindacato di legittimità sulle pronunce dei Consigli nazionali professionali in materia di deontologia professionale, sono quelli che possono farsi rientrare nell’art. 360 n. 5 c.p.c. (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sopra un punto decisivo); quegli altri che eventualmente ineriscono alla violazione di precetti costituzionali, o di altri precetti inderogabili, o di principi generali dell’ordinamento giuridico; e quelli, infine, che riguardino l’incidenza della pronuncia su oggetti estranei alla deontologia professionale (ma in quest’ultimo caso la violazione di legge viene a coincidere col difetto di giurisdizione e ne resta assorbita)”[116].
[1] Norma fondamentale del contenzioso elettorale è l’art. 6 del D.L.L. 23 novembre 1944, n. 382, che dispone che contro i risultati dell’elezione dei Consigli degli Ordini e Collegi, ciascun professionista iscritto nel relativo albo può proporre reclamo al Consiglio nazionale. Tuttavia non sembra distinguersi fra ricorsi su questioni di diritto al voto, di eleggibilità o di regolarità delle operazioni elettorali. Cfr., sul punto, Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 325 ss. Deve aggiungersi che nei ricorsi elettorali non è prescritto l’intervento del pubblico ministero: la presenza di quest’organo è giustificata dal potere di impulso ad esso conferito in materia disciplinare (v. oltre), e non trova perciò giustificazione all’infuori di tale campo. Su quest’ultima affermazione, cfr. Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 127 ss.
[2] Ai giudizi indicati nel testo si devono aggiungere i conflitti di competenza fra i Consigli degli Ordini, e, per il Consiglio Nazionale Forense, i reclami dei praticanti avverso il diniego del certificato di compiuta pratica (art. 3 D.Lg.C.P.S. 28 maggio 1947 n. 597), e quelli per l’iscrizione o la cancellazione nell’albo speciale dei patrocinanti dinanzi alle magistrature superiori. Cfr. Piscione, Professioni (disciplina delle), cit., p. 1057 ss.
[3] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 325 ss.
[4] Cfr. Lega, Ordinamenti professionali, cit., p. 12 ss.
[5] Secondo l’ordinamento forense, l’avvocato sottoposto a procedimento penale è automaticamente sottoposto a procedimento disciplinare, salvo che il Consiglio motivatamente ritenga di non farvi luogo. Inoltre, come vedremo meglio nello studio delle singole sanzioni disciplinari (v. oltre in questo stesso capitolo), alcune specie di sentenze penali comportano di diritto l’emissione di provvedimenti disciplinari da parte dell’ente professionale. Cfr. Lega, Ordinamenti professionali, cit., p. 12 ss.
[6] Cfr. Magrone, op. cit., p. 128 ss.
[7] Il procedimento disciplinare è precluso da una sentenza di proscioglimento perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso. Non è precluso se fu assolto per sopravvenuta amnistia. Cfr. Cassazione, Sez. un., 19 gennaio 1970, n. 109, in Giur. it., 1970, I, 1, 869 e in Giust. civ., 1970, I, 359.
[8] Cfr. Cass., S.U., n. 9596 del 15 novembre 1994 (in Rep. Foro it., 1994, voce “Professioni intellettuali”, n. 129), e n. 4904 del 2 giugno 1997.
[9] Cfr. Magrone, op. cit., p. 128 ss.
[10] La segretezza e la riservatezza del processo disciplinare discendono dal suo carattere di giurisdizione familiare o “domestica”. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 325 ss. Della c.d. “giurisdizione domestica” ci occuperemo nella sez. II di questo capitolo.
[11] Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 127 ss.
[12] Sul punto v. tuttavia Di Cerbo, op. cit., p. 166 e ss., il quale fondandosi su una relativamente recente giurisprudenza (Cass. 22 aprile 1976 n. 1440, in Rep. Foro it., 1977, c. 2189, n. 69), sostiene invece che le adunanze del Consiglio nazionale sono pubbliche.
[13] Cfr. l’art. 51 legge forense: “l’azione disciplinare si prescrive in 5 anni”. Nell’ordinamento notarile il periodo necessario a far maturare la prescrizione dell’azione disciplinare è di quattro anni dal giorno della commessa infrazione, ancorché vi siano stati nel frattempo atti del procedimento amministrativo o penale. Piscione, Professioni (disciplina delle), cit., p. 1057 ss.
[14] Nel caso di permanenza il termine decorre dalla cessazione di essa. Cfr. Magrone, op. cit., p. 128 ss.
[15] Cfr. Cass., S.U., 16 gennaio 1941, n. 6, in Giust. pen., 1941, IV, 363; Cass., S.U., 22 aprile 1941, in Foro it., 1941, I, 220.
[16] Alla competenza “per iscrizione” cui si accenna nel testo, deve aggiungersi una competenza territoriale. Infatti, la competenza a procedere disciplinarmente appartiene anche al Consiglio nella giurisdizione del quale è avvenuto il fatto per cui si procede. Nel conflitto fra i due fori concorrenti, prevale il Consiglio che per primo ha aperto il procedimento. Se a giudicare è il Consiglio del luogo ove fu commesso il fatto, il Consiglio che ha la custodia dell’albo, in cui è iscritto l’incolpato, è tenuto a dare esecuzione alla deliberazione dell’altro Consiglio (art. 1 L. 23 marzo 1940) e ciò perché è soltanto il Consiglio che ha la tenuta dell’albo che può applicare praticamente le sanzioni disciplinare. Cfr. Magrone, op. cit., p. 128 ss. È da notare che per i notai la competenza del Consiglio è limitata all’applicazione dell’avvertimento e della censura. Per le altre sanzioni provvede il Tribunale che pronunzia anche sui ricorsi avverso le deliberazioni del Consiglio. Cfr., sul punto, Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 127 ss.
[17] Tuttavia, come anticipato quando si è trattato dei rapporti tra procedimenti penale e disciplinare, non è detto che a tale richiesta debba necessariamente corrispondere il procedimento disciplinare, in quanto il Consiglio può motivatamente deliberare di non aprire il procedimento disciplinare se il titolo del reato o il fatto contestato non gli sembra tale da determinare necessariamente il processo: non esiste, ripeto, coincidenza assoluta fra i processi penali e quelli disciplinari.
[18] Nel settore delle professioni sanitarie, a sensi dell’art. 75 T.U. leggi sanitarie del 1934, anche il prefetto (e ora il medico o il veterinario provinciale, nei rispettivi campi di competenza) può richiedere l’apertura del procedimento disciplinare e se l’ente professionale si mantiene inerte dopo averlo iniziato. Cfr. Lega, Ordinamenti professionali, cit., p. 12 ss.
[19] Cfr. art. 1 D.L. 28 maggio 1947 n. 597. Questa possibilità non è invece prevista per i notai, i sanitari, gli ingegneri e gli architett
i.
[20] Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 166 e ss.
[21] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 325 ss.
[22] Può trattarsi anche di documenti, altri mezzi di prova e di eventuali deduzioni che gli pervengano dal pubblico ministero e dall’interessato. A questo riguardo, si deve anticipare che è pregiudiziale ed obbligatoria l’audizione personale del presunto colpevole.
[23] Cfr. art. 44 reg.to per gli ingegneri e gli architetti, art. 12, comma 2, reg.to per i geometri e art. 39 reg.to per i sanitari.Cfr. Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 127 ss.
[24] Il termine (dilatorio) è previsto rigorosamente dalle singole leggi professionali e varia da un minimo di dieci ad un massimo di venti giorni. Cfr. Piscione, Professioni (disciplina delle), cit., p. 1057 ss.
[25] Magrone, op. cit., p. 128 ss.
[26] A differenza di quanto avviene, ad es., nel procedimento disciplinare forense, in cui è ammessa la presenza del difensore dell’incolpato (cfr. artt. 50 e 51 legge 22 gennaio 1934, n. 36), l’intervento del difensore non è previsto nel procedimento disciplinare a carico dei sanitari nel quale l’assistenza tecnica può avvenire solo “dietro le quinte”: l’art. 45 del regolamento d’esecuzione di cui al D.P.R. n. 221 del 1950 dispone, infatti, che il sanitario imputato non può essere assistito da avvocati o consulenti tecnici, salvo che, per questi ultimi, il Consiglio non ritenga necessario il loro intervento. Ma la Commissione Centrale esercenti professioni sanitarie si è sempre pronunciata nel senso della esclusione, pur ammettendo la liceità della collaborazione difensiva dell’avvocato nel caso si svolga fuori dal processo e purché il legale non intervenga personalmente nel dibattimento. Cfr. decisione 9 luglio 1963, n. 14, in Rass. amm. sanità, 1966, 756. L’esclusione dell’assistenza dei legali pare contrastare il principio sancito dall’art. 24 costituzione; la giurisprudenza ha tuttavia sostenuto che tale esclusione è disposta da una norma di natura regolamentate e non legislativa per cui non è possibile il sindacato su di essa della Corte Costituzionale (cfr. Cassazione 23 gennaio 1963, n. 91, in Mass. Giur. it., 1963, 26). Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 325 ss. La legittimità di tale impostazione è affermata, inoltre, dalla Cass., S.U., n. 2153 del 1° marzo 1988, in Rep foro it., 1988, voce “Professioni intellettuali”, n. 62.
[27] Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 166 e ss.
[28] Cfr. Cass., Sez. I, 22 ottobre 1958, n. 3393, in Giur, it., 1959, I, 1, 997; Cass., S.U., 8 luglio 1935, n. 2151, in Mass. Giur. it., 1955, 535; Cass., S.U., 6 ottobre 1954, n. 3350, ivi, 1934, 749.
[29] La nullità per mancata astensione è sanata con la pronuncia della sentenza, se non vi è già stata tempestiva istanza di ricusazione. Cfr. Cassazione, S.U., 30 dicembre 1957, n. 4776, in Mass. Giur. it., 1957, 1071. Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 325 ss.
[30] cfr. Piscione, Professioni (disciplina delle), cit., p. 1057 ss.
[31] Cfr. Cass. Sez. I, 24 ottobre 1958, n 3441, in Mass. Foro it. 1958, 707; Cass., S.U., 21 maggio 1959 n. 1533, ivi, 1959, 288.
[32] Cfr. Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 127 ss.
[33] Il ricorso, redatto su carta bollata, deve contenere a pena di nullità: 1) l’indicazione delle generalità del ricorrente; 2) gli estremi del provvedimento che si impugna; 3) l’esposizione sommaria dei fatti e dei motivi su cui si fonda; 4) la sottoscrizione del ricorrente. Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 166 e ss.
[34] Per l’art. 50 della legge forense tale termine è di venti giorni. Cfr. Magrone, op. cit., p. 128 ss.
[35] Come è noto, per ciascuna professione esiste, di solito, nella capitale, un Consiglio Nazionale, generalmente composto di rappresentanti dei singoli organi locali, il quale presiede sul piano nazionale all’ordinamento sezionale proprio di quella professione. Come subito nel testo, per le professioni sanitarie (medici, veterinari, farmacisti, ostetriche) esiste invece un’apposita Commissione Centrale, formata con la partecipazione anche di elementi estranei alle categorie professionali. Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 166 e ss.
[36] Nelle ipotesi che specificheremo meglio nella sez. II, il suddetto ricorso deve invece essere presentato al Tribunale competente per territorio.
[37] Cfr. per le professioni sanitarie Cassazione 5 ottobre 1933, n. 2832, in Mass. Giur. it., 1955, 684; Cass. 18 dicembre 1931, n. 4739, ivi, 1957, 1062.
[38] Cassazione, S.U., 20 marzo 1971, n. 807, in Giur. it., 1972, I, 1, 602; Cassazione, S.U., 20 marzo 1971, n. 812, in Giur. it., 1972, I, 1, 599; Cass., Sez. II, 3 marzo 1970, n. 505, in Mass. Giur. it., 1970, 219; Cass., Sez. I, 22 gennaio 1970, n. 63, ivi, 1970, 1, I, 1449; Cass., Sez. I, 22 luglio 1960, n. 2075, in Giust. civ., 1960, I, 1737; Cass., S.U., 6 maggio 1963, n. 1106, ivi, 1963, I, 2115; Cass., Sez. I, 14 marzo 1961, n. 579. ivi, 1962, I, 1, 861; Cass., Sez. II, 15 novembre 1960, n. 3040, ivi, 1961, I, 1, 141; Cass., S.U., 12 gennaio 1968, n. 77, ivi, 1968, I, 1, 1217; Cass., S.U., 9 febbraio 1966, n. 414, in Mass. Giur. it., 1966, 170; Cass., Sez. I, 28 luglio 1964, n. 2134, in Riv. dir. lav., 1965, II, 363; Cass., Sez. II, 14 marzo 1961, n. 566, in Giur. it., 1962, I, 1, 873; Cass., S.U., 14 marzo 1961, n. 579, ivi, 1962, I, 1, 861; Cass., S.U., 15 novembre 1960, n. 3040, ivi, 1961, I, 1, 141; Cass., Sez. I, 16 novembre 1960, n. 3077, in Mass. Giur. it., 1960, 862; Cass., Sez. I, 22 luglio 1960 n. 2075, in Giust. civ., 1960, I, 1737.
[39] Cfr. l’articolo 44 degli ordinamenti dei dottori commercialisti e dei ragionieri e periti commerciali.
[40] V., ad es., art 50 legge forense.
[41] Ciò a differenza di quelle pronunciate in primo grado dai Consigli locali degli Ordini e dei Collegi, le quali ultime non avrebbero invece tale carattere, bensì natura amministrativa: cfr. Sandulli A. M., Manuale di diritto amministrativo, XV ed., Napoli, 1989, p. 547-548. Dello stesso avviso è Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 127 ss., secondo cui “ il secondo grado di cognizione ha natura giurisdizionale”. Per ulteriori precisazioni rinviamo nuovamente alla sez. II del presente capitolo.
[42] Possono ricorrere il professionista interessato e il pubblico ministero. Generalmente si ritiene che il Consiglio dell’Ordine o Collegio non possa ricorrere in Cassazione nemmeno avverso la decisione del Consiglio Nazionale che abbia assolto un professionista al quale, viceversa, il Consiglio locale aveva applicata una sanzione disciplinare. Cfr. Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 127 ss.
[43] Il ricorso per violazione di legge è proponibile avanti la Cassazione a sezione semplice: cfr. Cass., S.U., 23 novembre 1967 n. 2813, in Giur. it., 1968, I, 1, 1223; Cass., S.U., 30 settembre 1968 n. 3021, in Rep. Foro it., 1968, v. Avvocato, nn. 75-77. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 325 ss. Nonostante le norme dei vari ordinamenti si riferiscano alle Sezioni Unite, secondo Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 127 ss., non vi sarebbe alcuna ragione per derogare al disposto dell’art. 374 c.p.c., secondo cui la Corte di Cassazione pronunzia a Sezioni Unite, di regola, solo nei casi di ricorsi per motivi attinenti alla giurisdizione e a sezione semplice in tutti gli altri casi.
[44] Cfr. l’ordinamento forense e dei sanitari.
[45] Secondo gli artt. 360, 362 c.p.c. e l’art. 111 della Costituzione. Cfr. Cassazione, S.U., 14 luglio 1962, n. 1872, in Mass. Giur. it. 1962, 673.
[46] V. legge 15 novembre 1973, n. 738. A questo principio fa tuttavia eccezione il ricorso in Cassazione contro le deliberazioni di iscrizione e di cancellazione dall’albo speciale degli avvocati patrocinanti dinanzi alle magistrature superiori: v. art. 35 legge
forense.
[47] Magrone, op. cit., p. 128 ss.
[48] Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 127 ss.
[49] Non hanno, perciò, natura di pene di diritto privato, come nel caso delle sanzioni applicabili ai lavoratori subordinati, ma sono analoghe a quelle che colpiscono i pubblici impiegati. Cfr., sul punto, Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 310 ss.
[50] Cass., S. U., 19 gennaio 1970, n. 109, in Giur. it., 1970, I, 869.
[51] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 310 ss.
[52] In relazione ai caratteri distintivi tra i due tipi di sanzione si deve, inoltre, citare la sentenza della Corte di Cassazione, S. U., 19 gennaio 1970, n. 109 (in Giur. it., 1970, I, p. 869), secondo cui: “l’art. 25, 2 co., Cost., ai sensi del quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso, si riferisce soltanto alle sanzioni penali vere e proprie, che sono espressione della potestà punitiva dello Stato, e non può, quindi, ritenersi applicabile alle sanzioni disciplinari”.
[53] I provvedimenti disciplinari sono “notificati” (come si esprimono parecchie leggi professionali) all’interessato e al p.m.. L’art. 45 del regolamento per la professione di ingegnere e architetto di cui al R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, precisa che la notifica deve avvenire a mezzo di ufficiale giudiziario. Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 310 ss.
[54] V. art. 151, 1° comma, L. n. 89 del 1913.
[55] V. art. 22, 2° e 4° comma, L. 402/1967. Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 159 ss.
[56] Piscione, Ordini e Collegi, cit., p. 127 ss.
[57] Di Cerbo, op. cit., p. 159 ss.
[58] L’avvertimento non è previsto per dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali, per i quali la prima sanzione disciplinare è la censura. Cfr. Piscione, Ordini e Collegi, cit., p. 127 ss.
[59] A questo riguardo, Magrone (op. cit., p. 136-146) parla di sanzione originata da un’attività del professionista “non conforme alla buona regola”.
[60] Cfr. l’art. 40 della legge forense, l’art. 136 della legge sul notariato, l’art. 45 del regolamento per ingegneri e architetti e l’art. 40 del regolamento per le professioni sanitarie.
[61] Cfr. Di Cerbo, op. cit., 1988, p. 159 ss.
[62] Cfr. l’art. 36 dell’ordinamento dei dottori commercialisti e l’art. 37 di quello dei ragionieri e periti commerciali. Cfr. Piscione, Ordini e Collegi, cit., p. 127 ss.
[63] È rimesso, infatti, alla discrezionalità (tecnica) del Consiglio preferire una pena ad un’altra. Cfr., sul punto, Magrone, op. cit., p. 136-146.
[64] Queste prevedono, ad esempio, che la sospensione non possa avere un periodo inferiore a due mesi e superiore ad 1 anno per i giornalisti (art. 51, lett. c L. 69/1963); superiore a due anni per i ragionieri e i dottori commercialisti e a sei mesi per i sanitari. Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 310 ss.
[65] Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 159 ss.
[66] Così Magrone, op. cit., p. 136-146.
[67] Si tratta di casi di applicazione provvisoria di pene accessorie o di applicazione provvisoria di misure di sicurezza disposte dal giudice durante l’istruttoria o il giudizio. Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 310 ss.
[68] V. per tutti l’art. 39 D.P.R. 1067/1953, riguardante la professione di dottore commercialista, e l’art. 41 L. 3/1976 relativo alla professione di dottore agronomo; così anche Di Cerbo, op. cit., p. 159 ss. Tuttavia, secondo il Lega (Le libere professioni, cit., p. 310 ss.) sarebbe dubbia la natura sanzionatoria, sotto il profilo meramente disciplinare, del provvedimento di sospensione adottato nei confronti del professionista moroso nel pagamento dei contributi periodici al Consiglio dell’Ordine o Collegio.
[69] Cioè libertà vigilata, divieto di soggiorno, divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche. Queste misure di sicurezza sono conseguenziali a determinati gravi reati e pertanto, appena sono comminate, determinano uno stato di fatto non compatibile con la iscrizione nell’albo. Cfr. Magrone, op. cit., pp. 136-146.
[70] Ai suddetti casi in cui si ha sospensione di diritto del professionista dall’esercizio della professione, deve aggiungersi che per i soli ragionieri è prevista la sospensione di diritto anche nel caso di recidiva generica dopo l’applicazione della censura. Cfr. Piscione, Ordini e Collegi, cit., p. 127 ss.
[71] Soluzione pacifica: cfr. C.n.f. 4 luglio 1956, in Foro it., Rep., 1956, voce Avv. e proc., n. 51. Cfr. Magrone, op. cit., p. 136-146.
[72] La sospensione cautelare dall’esercizio professionale di chi sia imputato di un reato il cui accertamento potrebbe provocare la radiazione dagli albi, deve esser e pronunziata dal Consiglio dell’Ordine senza previo esame nel merito dell’oggetto della imputazione: cfr. C.n.f., 6 febbraio 1957, in Foro it., Rep., 1957, voce Avv. e proc., n. 25. Secondo il Lega (Ordinamenti professionali, cit., p. 6 ss.), “la imputazione di un reato grave è di per sé determinativa della temporanea sospensione”.
[73] La sospensione cautelare non è soggetta a limiti di tempo (ord. forense) e non costituisce una vera e propria sanzione (Cass., S.U., 28 luglio 1964, n. 2122, in Mass. Giur. it., 1964, p. 704).
[74] Piscione (Ordini e Collegi, cit., p. 127 ss.) sottolinea che il Consiglio dell’Ordine degli avvocati e quello degli attuari devono informare il Procuratore della Repubblica qualora non intendano applicare la sospensione cautelare facoltativa.
[75] La corte di Cassazione (S. U., 21 gennaio 1971, in Rass. Forense, 1972, p. 118) ha deciso che la sentenza penale di condanna non ancora definitiva costituisce un valido motivo per un provvedimento di sospensione cautelare. La corte ha aggiunto che tale provvedimento richiede soltanto una valutazione della gravità delle imputazioni penali mosse al professionista e prescinde dalla valutazione della fondatezza delle stesse che forma oggetto del giudizio penale ed eventualmente del successivo giudizio disciplinare. Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 310 ss. Ciò è suffragato da una decisione del Consiglio nazionale forense (2 dicembre 1957, in Rass. Cons. naz. for., 1957, 218), il quale ha ritenuto che la sospensione possa essere disposta quando a carico dello iscritto sia stata pronunziata sentenza penale di condanna ancorché non passata in giudicato. Cfr. Magrone, op. cit., p. 136-146.
[76] Si deve tuttavia sottolineare quanto recentemente deciso dalla cassazione, S.U., n. 4672 del 25 maggio 1997, la quale, dopo aver affermato che “detta sospensione non è soggetta a limiti di tempo predefiniti e non è una sanzione in senso proprio”, ne ribadisce la differenza con la sospensione-sanzione quando afferma che “non esiste una norma che consenta al Consiglio dell’Ordine, dopo aver autonomamente valutato condotte ritenute violatrici di norme deontologiche, di applicare a discrezione la sospensione, e per di più senza limiti temporali”.
[77] Cfr. C.n.f. 2 dicembre 1957, in Rassegna Cons. naz. forense, 1957, 193.
[78] Cfr. Magrone, op. cit., p. 136-146.
[79] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 310 ss.
[80] V. su quest’ultimo punto Cass., S. U., 26 marzo 1977, n. 1977, n. 1189, in Foro it. Rep., 1977, 2184, che ha appunto ritenuto che “la cancellazione dall’albo professionale disposta dal Consiglio dei geometri per sopravvenuta incompatibilità” non costituisce sanzione disciplinare.
[81] Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 159 ss.
[82] Cfr. Magrone, op. cit., p. 136-146.
[83] V. art. 41 legge forense, art. 13 legge sugli attuari, art. 41 reg. to sui sanitari, art. 37 ordinamento dei dottori commercialisti, art. 38 ordin
amento dei ragionieri e periti commerciali, art. 122 legge notarile. Tali norme, secondo quanto deciso dalla Cassazione, S.U., 11 aprile 1959, n. 1070, in Mass. Foro it., 1959, non sono in contrasto con l’art. 4 della Costituzione.
[84] Cass., S.U., 19 maggio 1959, n. 1504, in Mass. Foro it., 1959, 281.
[85] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 310 ss.
[86] Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 159 ss. Piscione, Ordini e Collegi, cit., p. 127 ss.
[87] Si tratta di condanne per reati che possono essere occasionati o facilitati dall’esercizio di determinate professioni. Così nell’ordinamento forense (art. 42 legge forense modificato dalla legge 17 febbraio 1971, n. 91) le condanne per: falsa testimonianza, falsa perizia o falsa interpretazione delle norme, frode processuale, subornazione di testimoni, patrocinio infedele e altre infedeltà del patrocinatore. La condanna definitiva riportata per uno di questi reati comporta la radiazione dagli albi: si tratta di reati nella massima parte ben qualificati, che fanno venir meno l’onorabilità della persona che li commette e che, quindi, rendono incompatibile l’appartenenza di tale persona all’Ordine forense. Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 310 ss.
[88] Piscione, Ordini e Collegi, cit., p. 127 ss.
[89] Si tratta di pronunzie conseguenti a proscioglimento per infermità psichica, o per intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti ecc., e quindi di situazioni incompatibili con l’esercizio della professione. Parimenti si dica per l’assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro: anche qui si tratta di pronunzie che presuppongono uno stato fisico o psichico che non consente la permanenza nell’albo professionale. Cfr. Magrone, op. cit., p. 136-146.
[90] Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 159 ss. Piscione, Ordini e Collegi, cit., p. 127 ss.
[91] La questione che qui trattiamo ha origini remote, dato che già agli inizi del secolo Forti (I Consigli professionali e la loro funzione disciplinare, in Giur. it., 1901, I, 1, pp. 749 ss.) affermava: “mentre in alcuni casi la natura giurisdizionale di questa funzione è evidentissima, in altri casi non si riscontra la minima traccia di giurisdizione”.
[92] Per una panoramica sugli enti professionali istituiti prima del avvento della costituzione repubblicana, cfr. l’elenco delle relative leggi professionali riportato in nota nella Sez. I, Cap. I.
[93] Cfr. Levi, Funzione disciplinare degli ordini professionali, Milano, 1967, p. 19 ss.
[94] Deve aggiungersi che nell’autodichia l’efficacia della decisione è tale nei confronti dell’intera collettività statale, globalmente considerata, perché si tratta di un atto che tutti sono tenuti a considerare vincolante. È solo il contenuto della decisione, ciò che essa può disporre, che è ristretto ai soggetti che fanno parte dell’organizzazione minore (rispetto a quella statale), alla quale appartiene l’organo giudicante: il contenuto dell’atto fa sì che esso incida solo sui soggetti facenti parte dell’organizzazione minore, mentre la sua efficacia formale è necessariamente erga omnes. In altri termini, la decisione, pur se efficace nei confronti di tutti, riguarda solo il gruppo a cui si rivolge. Cfr. Piscione, Ordini e Collegi professionali, cit., p. 127 ss.
[95] La “giurisdizione domestica” è caratterizzata dalla struttura del collegio giudicante che è costituito da professionisti della stessa categoria a cui appartiene l’imputato, per cui si potrebbe parlare di giustizia “fatta in casa”. Tale fenomeno da alcuni autori (cfr., ad es., Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 325 ss.) è considerato abnorme rispetto al concetto di giurisdizione che presuppone l’estraneità del giudice (nemo judex in re sua). Tuttavia la recente giurisprudenza costituzionale ha ritenuto che “non depone contro il principio dell’indipendenza la circostanza che i componenti del Consiglio appartengono allo stesso Ordine di professionisti nei cui confronti l’organo deve esercitare le sue funzioni, attesa la specifica idoneità dei professionisti stessi al giudizio deontologico”, anche in considerazione del fatto che “il potere del Consiglio resta circoscritto al controllo della sussistenza dei requisiti di legge” (Corte Cost. 23 dicembre 1986 n. 284, in Giur. cost., 1986, II, 2290).
[96] Cfr. Piscione, Ordini e collegi professionali, cit., p. 127 ss.
[97] Cfr. Piscione, Professioni (disciplina delle), cit., p. 1057 ss.: “sarebbe irrazionale che lo stesso provvedimento (iscrizione o cancellazione nell’albo o sanzione disciplinare) abbia natura amministrativa o giurisdizionale a seconda della sola, spesso casuale, esistenza di queste peculiarità”.
[98] Ciò è confermato, ad esempio, dal ricorso straordinario al Capo dello Stato, il quale è regolato abbastanza compiutamente nella legge, ed ha, ciò nonostante, natura amministrativa. Cfr. Catelani, op. cit., p. 222-261.
[99] Deve sottolinearsi, infatti, che si è verificato un ampio assorbimento di istituti processuali nel procedimento disciplinare amministrativo, quale l’interrogatorio del professionista, l’audizione dei testimoni, l’astensione o la ricusazione dell’organo giudicante, la notifica degli addebiti e il termine, che deve essere accordato per preparare la difesa e per presentare deduzioni.
[100] Cfr. Catelani, op. cit., p. 222-261.
[101] Cfr., sul punto, Sandulli A. M., Manuale di diritto amministrativo, XV ed., Napoli, 1989, p. 1534.
[102] Cfr. Pelaggi, Orientamenti della giurisprudenza sugli Ordini professionali, in Rass. Dir. pubbl., 1970, p. 576 ss., il quale, a differenza di quanto sosteneva pochi anni prima (Sindacati e ordini professionali, in Giur. agr. it., 1966, p. 592-599), riconosce che la Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie è organo di giurisdizione speciale. Cfr., inoltre, Di Cerbo, op. cit., p. 79 ss.: “Le decisioni del consiglio nazionale forense e della Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie sono attualmente impugnabili solo dinanzi alle Sezioni Unite della Cassazione ex art. 362 c.p.c.”.
[103] Ovviamente, la questione concerne unicamente i Consigli nazionali, dato che la natura amministrativa dei Consigli locali è indiscussa. Cfr. Cass., S.U., n. 3904 del 8 settembre 1989 (in Rep. Foro it., 1989, voce “Professioni intellettuali”, n. 77), in cui si afferma esplicitamente che “il procedimento dinanzi al Collegio provinciale dei geometri ha natura di procedimento amministrativo”, a differenza di quello che, invece, è svolto dinanzi al relativo Consiglio nazionale (su quest’ultimo punto, v. oltre).
[104] Come meglio vedremo oltre, questo accade in tutte le ipotesi in cui si è voluto creare, successivamente all’entrata in vigore della Costituzione, un sistema ad essa conforme: cfr. art. 58 L. 7 gennaio 1976 n. 3 sui dottori agronomi e forestali; artt. 54-60 L. 28 marzo 1968 n. 434 sui periti agrari; art. 29 L. 24 maggio 1967 n. 396 sui biologi; art. 16 L. 25 luglio 1966 n. 616 sui geologi; artt. 60-65 L. 3 febbraio 1963 n. 69 sui giornalisti; art. 28 DPR 27 ottobre 1953 nn. 1067 e 1068, rispettivamente, sui dottori commercialisti, e sui ragionieri e periti commerciali; art. 17 della legge n. 56 del 18 febbraio 1989 (relativa alla professione di psicologo); art. 49 della legge n. 59 del 18 gennaio 1994 (relativa alla professione di tecnologo alimentare).
[105] Cfr. Cass., S.U., n. 5702 del 12 giugno 1990 (in Rep. Foro it., 1990, voce “Professioni intellettuali”, n. 148), in cui si afferma che “i provvedimenti (amministrativi) adottati in materia disciplinare dai Consigli degli Ordini provinciali degli architetti e ingegneri possono essere impugnati, ai sensi del R. D. 23 ottobre 1925, n. 2537 (di approvazione del regolamento professionale) soltanto innanzi al Consiglio nazionale dell’Ordine, che g
iudica quale organo di giurisdizione speciale”. Conformi Cass., S.U., n. 5933 del 11 novembre 1982, in Rep. Foro it., 1982, voce “Professioni intellettuali”, n. 64, e n. 4210 del 19 luglio 1982, ivi, 1982, voce id., nn. 60-62.
[106] Cfr. Dallari, Sulla funzione giurisdizionale dei consigli nazionali degli ordini professionistici (nota a Cass., 24 marzo 1974, n. 1030), in Giur. it., 1978, I, 1, 673 ss.
[107] Deve, comunque, precisarsi che il termine per la revisione degli organi speciali di giurisdizione esistenti non è ritenuto perentorio. Cfr. Levi, Libertà fondamentali del professionista e ordini professionali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, p. 906 ss.; cfr., inoltre Cass., S. U., 19 gennaio 1970, n. 109, in Giur. it., 1970, I, 1, 869, e Corte Cost. 23 dicembre 1986 n. 284, in Giur. Cost., 1986, II, p. 2290.
[108] Cfr. Giuliano, Ordini ed albi professionali. La retribuzione ai professionisti di fatto, Roma, 1960, p. 24 ss., il quale tuttavia, se da un lato ammette che non possa aversi caducazione automatica delle giurisdizioni speciali, dall’altro sottolinea come con la parola “revisione”, il Costituente intendeva invece accennare alle opportune trasformazioni delle giurisdizioni speciali per farle rientrare nell’ambito della giurisdizione ordinaria. Inoltre, l’autore aggiunge (p. 157 ss.) che “fino a quando il legislatore non provvederà al riguardo, è esatto che il Consiglio nazionale forense debba continuare a considerarsi, in via transitoria, giurisdizione speciale, ma quando il legislatore vorrà provvedere, non potrà considerare in tal modo il Consiglio stesso, a meno che non intenda violare l’art. 102 Cost. nonché la cit. VI disp. transitoria della Costituzione”. Secondo tale autore sarebbe pertanto da criticarsi l’atteggiamento secondo cui si sarebbe semplicemente conservato al Consiglio nazionale forense il carattere di giurisdizione speciale (in quanto già lo possedeva), e ciò ritenendo che, in base alla disp. VI Cost., sarebbe lecito il mantenimento delle giurisdizioni speciali, sebbene ne sarebbe anche opportuna la revisione.
[109] Cfr. Catelani, op. cit., p. 167 ss.
[110] Il 2° comma dell’art. 111 della Costituzione conferma inoltre l’interpretazione che si è data circa il permanere in vita delle giurisdizioni speciali (professionali), in quanto, prevedendo il ricorso in Cassazione contro le sentenze dei giudici speciali per violazione di legge, mostra di considerare detti giudici come una stabile componente del nostro sistema di giurisdizione. Cfr. Dallari, Sulla funzione giurisdizionale dei Consigli nazionali degli Ordini professionistici (nota a Cass., 24 marzo 1974, n. 1030), in Giur. it., 1978, I, 1, 673 ss.
[111] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali, cit., p. 325 ss.; Levi, Libertà fondamentali del professionista e ordini professionali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, p. 906 ss.; Meloncelli, Le professioni intellettuali nella Costituzione italiana, in “Scritti per M. Nigro”, Vol. I, Milano, 1991, p. 424 ss.. Levi, Funzione disciplinare degli ordini professionali, Milano, 1967, p. 12 ss., sottolinea come i Consigli nazionali istituiti prima della Costituzione offrono uno dei rari ed eccezionali casi di giurisdizione speciale non incardinata nell’apparato statale, in deroga al criterio fondamentale per cui la funzione giurisdizionale appartiene allo Stato.
[112] La recente giurisprudenza costituzionale sostiene che “i Consigli nazionali professionali previsti dalle normative anteriori all’entrata in vigore della Costituzione hanno natura di giurisdizioni speciali sopravvissute in forza della VI disp. trans. Cost.”: cfr. Corte Cost. 23 dicembre 1986 n. 284, in Giur. cost., 1986, II, 2290.
[113] Cfr. Catelani, op. cit., p. 167 ss., secondo cui “è il gruppo medesimo che decide, quale custode delle norme di deontologia professionale, circa l’osservanza dei doveri che derivano al singolo dall’appartenenza alla sua organizzazione. Si ritiene che gli organi esponenziali di una categoria, in quanto composti da professionisti, meglio di ogni altro siano in grado di valutare la condotta professionale dei propri aderenti e di conoscere le regole che devono essere seguite nel compimento delle relative prestazioni”.
[114] Rilevante, al riguardo, è Cass., S.U., n. 5673 del 26 giugno 1987 (in Rep. Foro it., 1987, voce “Avvocato”, n. 40), secondo cui “le valutazioni del Consiglio nazionale sulla non conformità dei fatti addebitati [contestati, quindi, in un procedimento disciplinare] ai principi della deontologia professionale non possono formare oggetto di sindacato in sede di legittimità, in quanto costituiscono accertamento di merito”.
[115] “Tale sindacato sarebbe forse opportuno ma non ammissibile allo stato attuale della competenza della Cassazione”: cfr. Levi, Libertà fondamentali del professionista e ordini professionali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, p. 906 ss.
[116] Sandulli, Regole di deontologia professionale e sindacato della Corte di Cassazione, in Giust. civ., 1961, I, p. 616 ss. (Nota a Cass., sez. I, 27 gennaio 1961, n. 125, ivi).
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