Ma, prima di esaminare in dettaglio tale ultima disposizione codicistica, occorre ovviamente chiarire cosa debba intendersi per “decoro architettonico”.
Ebbene, con tale espressione ci si riferisce, ormai costantemente, alla “estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato e gli imprimono una determinata, armonica, fisionomia”[2], avendo riguardo, in particolare, “non solo alla piacevolezza ed all’armonia dell’aspetto architettonico dell’edificio condominiale, ma anche alla rispettabilità e alla dignità dello stesso”[3].
Il decoro deve quindi valutarsi con riferimento alle caratteristiche proprie dell’edificio[4], e la relativa tutela non è certo limitata alle abitazioni eleganti e signorili, poiché “il decoro architettonico sussiste per tutti gli edifici, anche per quelli popolari, risultando esso dall’insieme delle linee e delle strutture che costituiscono le note uniformi e dominanti dell’edificio, cui imprimono una determinata fisionomia unitaria ed armonica, nonché, dal punto di vista estetico, una certa dignità più o meno pregiata”[5].
La nozione di decoro è pertanto strettamente legata alla comune coscienza sociale nei vari periodi storici[6], e stabilire se, in concreto, vi sia stata una lesione del decoro architettonico “si risolve in un apprezzamento discrezionale istituzionalmente demandato al giudice di merito e, come tale, se congruamente motivato, incensurabile in cassazione”[7].
Ciò premesso, stante il principio generale in tema di condominio, secondo cui è preminente l’interesse collettivo rispetto a quello dei singoli condomini[8], a nulla rileva – ex art. 1122 c.c. – il fatto che l’opera ritenuta “indecorosa” sia installata nel piano o porzione di piano in proprietà individuale del singolo condomino, il quale non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell’edificio[9], e quindi anche e soprattutto al bene comune del decoro architettonico[10].
In altri termini, l’articolo 1122 c.c., ispirato al dovere di solidarietà e cooperazione che informa l’istituto del condominio[11], ha inteso stabilire che non può arrecarsi pregiudizio alle parti comuni nemmeno ove si operi sul proprio[12], poiché “l’utilizzazione della propria porzione individuale di immobile, deve essere riguardata nel modo ritenuto più conveniente alle parti comuni dell’edificio e non deve arrecare pregiudizio e alterare il decoro architettonico”[13].
Con specifico riferimento ai balconi, ad esempio, si è ritenuto che nonostante essi siano elementi accidentali e non portanti della struttura del fabbricato, non costituiscano parti comuni dell’edificio e appartengano ai proprietari delle unità immobiliari corrispondenti[14], ineriscono alla facciata e concorrono quindi a conferire all’immobile, attraverso l’armonia e l’unità di linee e di stile, quel decoro architettonico che costituisce bene comune[15], per cui si è ritenuto che la trasformazione di un balcone in veranda, con chiusura in alluminio e vetri chiari, leda il decoro architettonico dell’edificio, poiché muta l’armonia cromatica della facciata[16].
A tal proposito, deve altresì sottolinearsi che “le modificazioni apportate da uno dei condòmini al proprio appartamento in assenza della preventiva autorizzazione dell’assemblea condominiale, vale a far qualificare presuntivamente dette opere come abusive e pregiudizievoli al decoro architettonico della facciata dell’edificio ed a configurare l’interesse processuale del singolo condomino che agisca in giudizio a tutela della cosa comune”[17], con conseguente obbligo del condomino “alla rimessione in pristino”[18] pena il risarcimento del danno, che non è soltanto quello materiale ma anche quello estetico[19] o di ordine edonistico[20].
Si ricorda, infatti, che nel caso di esecuzione, nei locali di proprietà individuale, di opere e lavori lesivi del decoro dell’edificio condominiale, ciascun condomino ha diritto di chiedere, in via di adempimento dell’obbligazione specifico di non fare (art. 2932 c.c.), la demolizione delle opere illegittimamente eseguite[21], e, in tal caso, “l’azione, che ha natura reale e finalità recuperatoria, va proposta nei soli confronti dell’autore materiale dell’alterazione e non anche nei confronti del nudo proprietario, senza che sussista il litisconsorzio necessario nei confronti degli altri partecipanti alla comunione”[22].
Per finire, si rammenta pure che “l’azione contro il condomino di un edificio, diretta a conseguire la rimozione di un manufatto da questi realizzato, in quanto pregiudizievole dell’estetica dell’edificio, può essere esperita dall’amministratore condominiale senza necessità di autorizzazione assembleare, atteso che ex artt. 1130-1 c.c. integra un atto conservativo dei diritti inerenti alle cose oggetto di comproprietà nei limiti delle attribuzioni dell’amministratore stesso”[23].
NOTE:
[1] A questo proposito, si ricorda che “costituisce innovazione qualunque opera nuova che implichi una modificazione notevole della cosa comune, alterandone l’entità sostanziale o la destinazione originaria” (Cass. n. 10602/1990), ed “esula dai poteri istituzionali dell’assemblea dei condomini – né le può essere attribuita per regolamento condominiale – la facoltà di deliberare o consentire opere lesive del decoro dell’edificio condominiale” (Cass. n. 175/1986, nonché Dogliotti, Il condominio, Collana Bigiavi, pag. 197).
[2] V., per tutte, Cass. 3/9/98 n. 8731.
[3] Corte Appello Milano 17/6/1997.
[4] Tribunale Ancona 1/9/94.
[5] Tribunale Napoli 9/2/1978 e Corte Appello Napoli 6/6/96. Si ricorda, tuttavia, che “la valutazione delle innovazioni, al fine della salvaguardia del decoro architettonico, è meno rigorosa per un edificio di architettura moderna, rispetto a quella necessaria per un immobile antico o d’epoca” (Tribunale Milano 8/5/89, nonché Cass. 29/7/89 n. 3549).
[6] Dogliotti, Il condominio, Collana Bigiavi, pag. 200.
[7] Cass. 11/1/79 n. 205. Cfr., pure, Cass. 7/2/98 n. 1297, secondo cui “in tema di edifici in condominio la tutela della facciata è apprestata non in modo astratto ed in via generale, ma nei soli casi in cui il condomino ne faccia un uso illegittimo, compromettendone l’aspetto esteriore con innovazioni che alterino il decoro architettonico del fabbricato; l’indagine rivolta a stabilire se in concreto ricorra il denunciato danno all’aspetto della facciata, rientra nei poteri del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata”. Cfr., infine, Trib. Napoli 9 febbraio 1978, secondo cui “costituisce alterazione del decoro architettonico di un edificio ogni mutamento idoneo ad apportare una disarmonia nell’insieme, senza assurgere però a deturpazione, che rappresenta un quid pluris rispetto all’alterazione, perché deturpare significa deformare, rendere brutto o addirittura ripugnante”.
[8] “L’esigenza di un opportuno contemperamento del criterio estetico con quello utilitario, nella valutazione del concetto di alterazione del decoro architettonico di un edificio, non esclude l’illiceità dell’alterazione quando questa si traduca in un mutamento tale da turbare o ledere in maniera appariscente ed apprezzabile l’armonia dell’insieme; se così non fosse, il criterio utilitaristico prevarrebbe su quello estetico, il che non sarebbe giuridicamente ammissibile” (Tribunale Napoli 9/2/
1978).
[9] Cfr. art. 1122 c.c.
[10] Pretura Roma 11 febbraio 1989.
[11] Peretti Griva, in Cendon, Commentario al codice civile, Vol. III, art. 1122, pag. 530.
[12] Cfr. Cass. n. 1132/85.
[13] Cass. 20/6/77 n. 2589.
[14] Cass. 7/9/96 n. 8159.
[15] Tribunale Napoli 27/10/93. V., pure, Tribunale Pescara 30/3/1995.
[16] Appello Napoli 28 gennaio 1998.
[17] Cass. 9/6/88 n. 3927.
[18] Tribunale Milano 16/6/88. Cfr., altresì, Pretura Roma 11 febbraio 1989, secondo cui “la realizzazione, da parte di un condomino, nel piano o nella porzione di piano di proprietà esclusiva, di un manufatto tale da danneggiare il decoro dello stabile è sanzionabile con l’azione di manutenzione ex art. 1170 c.c.
[19] Cass. n. 2543/76.
[20] Cass. n. 1947/89.
[21] Cass. n. 175/86.
[22] Cass. n. 869/66.
[23] Cass. n. 3510/1980.
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