L’arbitraria condanna dell’avvocato, in solido con il cliente, al pagamento delle spese legali (e per lite temeraria)

(articolo aggiornato il 18/12/2013)
Con decisione difforme dal consolidato, contrario orientamento della giurisprudenza[1], il Tribunale di Cagliari (sentenza n. 2247 del 19 giugno 2008) ha condannato – ai sensi dell’art. 94 c.p.c. – l’avvocato difensore, in solido con il cliente, al pagamento delle spese processuali in favore della controparte, per aver intrapreso una lite senza la prudenza minima che impone l’art. 96 c.p.c. (Nella specie, era stata proposta una domanda giudiziaria nonostante la materia del contendere fosse già coperta dal “giudicato” di un decreto ingiuntivo definitivo).
Questa pronuncia, subito stigmatizzata dal locale Ordine forense, trova ora implicita (ma amara) smentita anche nel ddl delega (collegato alla legge di stabilità 2014) approvato il 17/12/2013 dal Consiglio dei Ministri, in cui si prevede(rebbe) la responsabilità dell’avvocato in solido con il cliente che fosse condannato per lite temeraria ex art. 96 cpc: tale norma (se mai dovesse divenire tale) conferma -a contrario- che in difetto di essa, cioè de jure condendo, tale solidarietà  non è neppure ipotizzabile, essendo appunto necessaria, secondo lo stesso Consiglio dei Ministri, una espressa disposizione di legge. La vigenza di quest’ultima, qualora approvata, sarebbe peraltro temporalmente limitata alla sua inevitabile dichiarazione di incostituzionalità: si ricorda, infatti, che la Consulta (sentenza n. 120 dell’8 luglio 1972) ha già dichiarato incostituzionale la norma che prevedeva una tale forma di solidarietà degli avvocati con le parti in causa (nella specie trattavasi del pagamento delle tasse giudiziali).
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Con il consenso del Prof. Avv. Francesco Volpe, pubblico a stralcio in calce a questo articolo la email che lo stesso ha inviato al presidente dell’ordine forense di Padova, perché riassume -come meglio non si potrebbe fare- i punti della questione.
Caro Presidente,
i quotidiani riferiscono che ieri sarebbe stato approvato, dal Governo, un disegno di legge, nel quale sarebbe prevista una sorta di “responsabilità in solido” dei patroni con i loro Clienti.
Reputo che una tale misura sia oltraggiosamente pregiudizievole della funzione dell’Avvocatura, della sua indipendenza e della sua nobiltà.
Questi tre attributi del Foro meritano, invece, di essere protetti non solo in sé, ma soprattutto perché essi concorrono largamente a garantire il diritto di difesa. E vale rammentare che questo diritto, prima ancora che nella Costituzione, si fonda sui più fondamentali principi della civiltà giuridica.
Di fatto, se detto progetto diventasse legge, l’Avvocatura sarebbe messa alla mercé dell’organo giudicante, perché il singolo patrono diventerebbe egli stesso parte sostanziale del processo.
In disparte l’uso distorto che dello strumento potrebbe essere praticato e che non può essere aprioristicamente escluso, l’instaurazione di una lite comporterebbe in ogni caso una assunzione di corresponsabilità del difensore con il suo Cliente. Cosicché quest’ultimo, quand’anche fosse titolare di un principio di buon diritto, potrebbe ugualmente non trovare un avvocato disposto ad accettarne la difesa, di fronte al pericolo di condividere l’esito della lite, ormai troppo spesso imprevedibile. La convergenza degli interessi personali del patrono con quelli del Cliente, inoltre, potrebbe generare potenziali conflitti di interessi tra la parte e il suo difensore, sì favorire l’assunzione, da parte del secondo, di comportamenti processuali non voluti dal primo e per lui dannosi.
Per la specifica disciplina che io professo, poi, la misura sarebbe oltremodo afflittiva, tenuto conto che, nel processo amministrativo, la parte resistente è normalmente una pubblica Amministrazione, già titolare in sé di una posizione di supremazia, di fronte alla quale la possibilità di difesa del singolo è costitutivamente più debole.
Sono consapevole degli sforzi che il nostro Ordine, da Te così onorevolmente rappresentato, già compie a difesa del Foro e quindi dei cittadini.
Proprio per questo, mi permetto di chiederTi se Tu ritenga utile avviare qualche iniziativa per contrastare questo, ennesimo, riprovevole, disegno.

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NOTA:
[1] Fatta eccezione per Tribunale di Reggio Emilia 4 giugno 2007 (pubblicata per esteso e massimata da ilcaso.it), la giurisprudenza non ritiene possibile una condanna del difensore ai sensi dell’art. 94 c.p.c.: in tal senso si veda, ad esempio, una pronuncia dello stesso Tribunale Cagliari (del 7 maggio 1997), nonché Corte costituzionale, 30 novembre 2007, n. 405, secondo la quale ultima: “È manifestamente infondata la q.l.c. degli art. 82 e 91 c.p.c., censurati, in riferimento agli art. 3 e 24 cost., nella parte in cui – secondo il “diritto vivente costituito dalla costante giurisprudenza di legittimità” – dispongono che le spese di lite vanno comunque poste a carico della parte soccombente e non del difensore, anche quando la soccombenza è ascrivibile esclusivamente alla intempestiva proposizione dell’appello da parte dell’avvocato, in violazione dell’obbligo di normale diligenza professionale. La scelta del legislatore di mantenere separato il piano sostanziale del rapporto tra cliente e difensore, regolato dalle norme civilistiche del mandato che prevedono, in caso di colpa del mandatario, un risarcimento del danno non commisurato necessariamente al solo costo del processo, da quello tra parte, difensore e giudice, funzionale alle esigenze proprie del giudizio, nel quale confluiscono aspetti pubblicistici riguardanti anche l’esigenza di assicurare la difesa tecnica e di garantire una equilibrata posizione delle parti in lite, non è infatti irragionevole, né può essere evocato come “tertium comparationis” l’art. 94 c.p.c., il quale attiene all’istituto – del tutto distinto dalla rappresentanza tecnica – della “parte in senso formale”, che assume la qualità di parte per rappresentare quella “sostanziale” o per integrarne la capacità, mentre è del tutto infondata la dedotta violazione dell’art. 24 cost., essendo sempre fatto salvo il diritto della parte di agire in separata sede nei confronti del difensore negligente, in base alle regole della responsabilità professionale”.

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