Com’è noto, secondo l’art. 2947, co. 2, c.c., “per il risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli, il diritto si prescrive in due anni”.
A tal proposito si è ritenuto che la menzionata prescrizione biennale “contempla tutte le ipotesi di danni prodotti da fatto illecito di una persona che circola con un veicolo, senza che si debba avere riguardo né alla situazione giuridica nella quale può trovarsi il danneggiato (persona trasportata o terzo[1]) nei confronti della circolazione del veicolo danneggiante, né alla causa generatrice del danno, essendo sufficiente ad integrare l’ipotesi regolata dalla norma predetta che il danno tragga origine da un qualunque fatto illecito che sia strettamente connesso alla circolazione del veicolo”[2].[…]
E, infatti, si è ribadito che “qualora in uno scontro fra veicoli rimanga ferita una persona trasportata a bordo di uno di essi, il diritto al risarcimento del danno vantato dal trasportato nei confronti del conducente si prescrive in due anni dalla data dell’incidente”[3]. Pare davvero indubbio, quindi, che “la prescrizione biennale di cui all’art. 2947 c.c. sia applicabile anche nei casi di risarcimento del danno subìto dalla persona trasportata”[4].
Per completezza, occorre tuttavia soffermarsi sull’ultimo comma dell’art. 2947 c.c., secondo cui “se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile”.
Ebbene, volendo ipotizzare a carico di uno dei conducenti il reato di lesioni personali colpose a danno del trasportato, troverebbe applicazione l’art. 590 c.p., che punisce il reo con la reclusione (inferiore a 5 anni) o con la multa. Secondo l’art. 157 c.p., allora, il reato si prescriverebbe in 5 anni.
Si ricorda allora che, a tal proposito, secondo una parte della giurisprudenza “in caso di fatto illecito costituente reato perseguibile a querela, [solo] ove la querela non sia stata proposta, trova applicazione la prescrizione biennale di cui al comma 2 dell’art. 2947”[5], con la precisazione che in tal caso la prescrizione (biennale) comincerebbe a decorrere “in coincidenza con lo spirare del termine di tre mesi per la presentazione della querela”[6].
§ 2. L’incapacità a testimoniare.
Secondo l’art. 246 c.p.c., non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio[7].
A questo proposito, si è precisato che l’interesse di cui all’art. 246 c.p.c. che rende una persona incapace di deporre in giudizio “si identifica con un interesse personale, concreto ed attuale, a proporre una domanda giudiziale o a contraddirvi”[8].
Tuttavia, la giurisprudenza che pare maggioritaria ritiene che il terzo sarebbe incapace a testimoniare nel giudizio pendente tra i due conducenti anche se avesse dichiarato di non avere alcuna pretesa da far valere, ed anche se si fosse prescritto il diritto che egli potrebbe vantare in giudizio[9]. La giurisprudenza di merito è però in senso contrario[10]: cfr., ad es., Pretura Roma 23 luglio 1973 [11], che ammette la testimonianza del terzo il quale abbia espressamente rinunciato al proprio diritto[12].
Degna di rilievo, comunque, mi pare la seguente considerazione.
Il trasportato ha diritto di essere risarcito integralmente a prescindere dalle responsabilità dei singoli conducenti coinvolti nel sinistro, per cui la mancanza di un suo “interesse” (concreto ed attuale[13]) al giudizio in corso deriverebbe proprio dal fatto che, qualunque fosse la parte ritenuta responsabile, egli sarebbe comunque risarcito integralmente (ovviamente, ove lo richiedesse): sicché, paradossalmente, nessuno è più indifferente al processo di quanto lo sia il terzo trasportato. Aberrante mi parrebbe, quindi, negare che egli possa testimoniare nel giudizio pendente tra i conducenti, specialmente nel caso in cui avesse espressamente rinunciato al proprio diritto, ovvero quando quest’ultimo si fosse già prescritto.
NOTE:
[1] Cass. n. 1781/1982.
[2] Cass. n. 4535/1993.
[3] Cass. n. 1134/1995. Sull’azione risarcitoria del trasportato nei confronti del conducente, v. G.Franco, Infortunistica stradale, Tomo II, pag. 1345 e ss.
[4] Cass. n. 5097/1981.
[5] Cass. n. 4919/2000. Nello stesso senso: Cass. n. 5821/1999, Cass. n. 3548/1998, Tribunale Roma 15 giugno 1999, Tribunale Roma 2 luglio 1997, Tribunale Roma 22 febbraio 1989, Tribunale Genova 19 ottobre 1989. Ritengono, invece, che il diritto al risarcimento del danno si prescriva nel più ampio termine di cui all’art. 2947, comma 3, c.c. “quand’anche la querela non sia mai stata presentata” Giudice di Pace Città di Castello 19 marzo 1997, Tribunale Napoli 12 marzo 1997. Si pone in una posizione intermedia, infine, quella giurisprudenza secondo cui “nel caso in cui l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato si applica anche all’azione di risarcimento del danno, a condizione che il giudice civile accerti incidenter tantum la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi e oggettivi”: Cass. n. 9928/2000 e n. 5701/1999.
[6] Pretura Vercelli 10 marzo 1990.
[7] La dottrina si è dimostrata critica nei confronti dell’art. 246 c.p.c., ritenendolo un relitto storico del tutto incompatibile con il principio del libero convincimento: v., per tutti, Vaccarella-Verde, Commentario al c.p.c., art. 246, pagg. 334-5.
[8] Cfr. Giudice Pace Pozzuoli 31 agosto 1998. Nello stesso senso, Cass. n. 2842/2001, n. 4358/1998, n. 3432/1998, n. 3846/1995, n. 1369/1989, n. 7077/1986, secondo cui “la valutazione dell’esistenza dell’interesse del teste è riservata al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità quando sia adeguatamente motivata”. A quest’ultimo proposito, v. pure A.M. Rizzi, Il Giudice di pace, n. 1/1999, pag. 41 e ss.
[9] Cfr. Cass. n. 1580/1974, n. 1689/1964, n. 1207/1964, n. 2897/1957, nonché Appello Firenze 13 ottobre 1958. Tali sentenze sono citate da M. Taruffo, Prova testimoniale (Dir. Proc. Civ.), in Enciclopedia del Diritto, pag. 737, nonché da Vaccarella-Verde, Commentario al c.p.c., art. 246, pag. 338: il primo le critica, il secondo le condivide. V., infine, Pretura Catania 13 marzo 1995, secondo cui “la persona che, trovandosi a bordo di un veicolo, abbia subìto danni a séguito di un sinistro stradale, è incapace di testimoniare nel processo promosso dal proprietario del veicolo medesimo”.
[10] La frase riportata nel testo è di Vaccarella-Verde, Commentario al c.p.c., art. 246, pag. 338.
[11] Sentenza pubblicata in Temi Romana, 1974, pag. 301.
[12] La rinunzia all’azione è una dichiarazione negoziale di diritto sostanziale, ossia “la rinunzia al diritto sostanziale sottostante con preclusione di ogni ulteriore tutela giurisdizionale”: Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, vol. II, pag. 324, nota 10.
[13] Cfr., per tutte, Cass. n. 47/1981.
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