La cosiddetta immunità giudiziale

Secondo l’art. 598, co. 1, c.p., non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori[1] nei procedimenti dinanzi all’autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un’autorità amministrativa[2], quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo.[…]

Tale causa di non punibilità (in senso stretto[3]) ha il suo fondamento nella libertà di discussione e di difesa (libertas convicii)[4], che per tradizione è riconosciuta alle parti ed ai loro patrocinatori nei dibattiti giudiziari per la tutela dei propri interessi[5].

La menzionata esimente opera ancorché colpisca persona estranea alla causa[6] o addirittura lo stesso giudice[7], ma – in ogni caso – è necessario che le offese abbiano un contenuto di verità[8] e che riguardino in modo diretto ed immediato l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo[9], dovendo infatti sussistere un vero e proprio nesso logico tra le prime ed il secondo[10]. È pure necessario, inoltre, che gli scritti contenenti espressioni offensive siano inviati solo a coloro che ne debbono essere i destinatari nell’ambito del processo e non pure ad altre persone[11].

Nonostante l’opinione contraria di certa giurisprudenza[12], deve ritenersi che l’esimente in parola non operi quando le offese siano contenute in un atto di citazione, perché “questo atto viene notificato prima della costituzione delle parti e quindi prima che sia instaurato un procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria”[13]. Tale esclusione ha fatto sorgere dubbi di illegittimità costituzionale[14], la quale è stata tuttavia ritenuta manifestamente infondata dal Giudice delle Leggi[15].

Secondo l’art. 598, co. 2, c.p., infine, al giudice è data facoltà di disporre sia provvedimenti disciplinari nei confronti dell’avvocato che abbia usato espressioni offensive[16], sia la cancellazione delle frasi offensive stesse, sia che alla persona offesa sia risarcito il danno non patrimoniale[17]. Ciò dimostra che la esimente in parola non implica la completa liceità del fatto, ma ne esclude soltanto l’antigiuridicità penale[18].

 

Bibliografia di approfondimento:

Gaito, Ambito applicativo e natura giuridica della cosiddetta “immunità giudiziale”, in Archivio Penale, 1968, II, pag. 110.

Majani, Fondamento e valore dell’esimente prevista dall’art. 598 c.p., Milano, 1970.

Musco, Diffamazione non punibile ai sensi dell’art. 598 c.p. e formula di proscioglimento, in Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 1970, pag. 208.

Tassinari, Nota a Pret. Bologna 9 dicembre 1998, in Dir. pen. e processo, 1999, pag. 1172.

 
NOTE:
[1] Cfr. Corte Cost. n. 128/1979, secondo cui l’art. 598 c.p. non opera quando le offese siano pronunciate dal consulente tecnico.

[2] V. Cass. Pen. 27 ottobre 1998, che ha correttamente escluso l’applicabilità dell’art. 598 c.p. in un caso in cui l’ingiuria era stata rivolta da una parte alla propria controparte nella sala d’attesa di un’udienza civile. In arg., cfr. pure Cass. Pen. 12 dicembre 1986 e Cass. Pen. 10 febbraio 1989, secondo cui “la non punibilità del difensore prevista dall’art. 598 c.p. è limitata agli scritti presentati e ai discorsi pronunciati nei procedimenti davanti agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa e non si estende agli scritti che, pur redatti dal difensore, abbiano altra destinazione” (caso relativo ad una lettera inviata dal legale ad un giornale).

[3] Cfr. Siracusano, Ingiuria e diffamazione, in Dig. Disc. Pen., pag. 46.

[4] Corte Cost. n. 380/1999.

[5] Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte Speciale, I, pag. 177. Siracusano, op. cit., pag. 46.

[6] Cfr. Cass. n. 12057/1998, secondo cui le frasi offensive rivolte a terza persona possono essere necessarie per la prospettazione dei fatti o per la dimostrazione della fondatezza della domanda.

[7] Cass. Pen. 7 dicembre 1988.

[8] Cass. 27 ottobre 1988, 12 febbraio 1987, 30 marzo 1979. In dottrina, v. Spasari, Diffamazione e ingiuria (dir. vig.), in Enc. Dir., pag. 493.

[9] Cass. 7 dicembre 1988, in Riv. Pen. 1990, pag. 389, Cass. Pen. 18 gennaio 1979, Cass. 4 dicembre 1962, nonché Cass. 5 febbraio 1962.

[10] Pret. Tolmezzo 17 ottobre 1996, Cass. Pen. 12 febbraio 1987.

[11] Cass. Pen. 26 novembre 1986

[12] Pret. Bologna 9 dicembre 1998.

[13] Cass. Pen., sez. II, 1978 (senza data in Jurisdata).

[14] Pret. Milano 12 febbraio 1987.

[15] Corte Cost. n. 889/1988.

[16] Cfr., proprio a tal proposito, Cons. Naz. For. 29 novembre 1995, secondo cui “la funzione del procedimento disciplinare è diversa da quella del procedimento penale, sicché anche fattispecie non aventi la caratteristica di un reato possono avere rilevanza deontologica”

[17] Interessante, a tal proposito, è il confronto con l’art. 89 c.p.c. Cfr., infatti, Cass. n. 5991/1979 cit. secondo cui “ai sensi dell’art. 89 c.p.c., il giudice con la sentenza che decide la causa può assegnare alla persona offesa dalle frasi offensive contenute negli scritti difensivi della controparte o del suo patrocinatore una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto, solo quando le espressioni non riguardano l’oggetto della causa; non si applica, pertanto, nel processo civile l’art. 598 c.p. [ult. comma!], che per l’assegnazione di una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, richiede la pertinenza delle frasi offensive all’oggetto della causa e [o!] del ricorso amministrativo”. Nello stesso senso, Cass. n. 1998/1979.

[18] Antolisei, op. cit., pag. 177; Spasari, op. cit., pag. 494.

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