Chi cerca di minimizzare le perdite e massimizzare i guadagni al minor costo, si comporta in modo razionale.
E’ il cosidetto “principio di razionalità”, che è alla base della “teoria dei giochi” (detta anche “delle decisioni”), il cui compito è quello di studiare che cosa accade se le persone si comportano in maniera razionale (senza cioè presumere che le persone si comportino senz’altro in modo razionale ma limitandosi appunto a studiare cosa succede nell’ipotesi in cui lo facciano), giacché in presenza di contendenti irrazionali non sarebbe possibile giungere a conclusioni inquadrabili in un modello matematico.
In particolare, tale scienza matematica pare consenta di individuare la migliore scelta da fare in uno specifico “conflitto”, intendendosi per tale una qualsivoglia situazione in cui i vari soggetti coinvolti possono perdere o guadagnare qualcosa in base alle decisioni proprie e degli altri partecipanti al conflitto stesso.
Per quanto qui interessa, uno speciale tipo di “conflitto” è quello tra avvocato e cliente. […segue]
Mi riferisco, in particolare, alla determinazione del compenso professionale: al conferimento dell’incarico, uno dei due “giocatori” (non necessariamente l’avvocato) propone all’altro un certo corrispettivo, poniamo un “patto di quota lite”, che l’altro “giocatore” può appunto accettare o rifiutare.
In teoria dei giochi, tale tipo di conflitto risponde ad un ben preciso modello matematico, definito “gioco dell’ultimatum“: un giocatore sceglie come dividere una certa somma e l’altro giocatore può accettare o rifiutare questa proposta: se rifiuta, nessun giocatore riceve nulla; se invece accetta, il denaro è suddiviso in base alla proposta del primo giocatore.
Ora, secondo la teoria dei giochi, se il cliente non ha (o crede di non avere) alternative a quel particolare professionista, quest’ultimo dovrebbe puntare alla fetta più grossa della quota lite e quindi lasciare un importo assolutamente minimo al Cliente, che dovrebbe a sua volta accettare, perché quel poco sarebbe comunque pur sempre meglio di niente.
Nonostante le peculiarità delle professione forense, che in un certo senso limitano la libera concorrenza (si pensi al regime delle tariffe pressoché obbligatorie, al requisito dell’iscrizione all’albo, all’incapacità del cliente medio di valutare l’effettiva competenza tecnica del proprio difensore), l’ipotesi appena fatta, cioè quella dell’avvocato monopolista capace di imporre al proprio cliente compensi esorbitanti, è una mera ipotesi di scuola (peraltro deontologicamente rilevante oltreché probabilmente suscettibile di rescissione per lesione ultra dimidium).
Nella realtà, infatti, risultati sperimentali finora condotti in casi del genere hanno dimostrato che la proposta economica tende ad essere “equa”, altrimenti viene rifiutata con una probabilità di circa il 50%.
Si tratta quindi di stabilire quando una proposta economica di quota lite possa ritenersi “equa”.
Ebbene, se nel gioco dell’ultimatum classico i due giocatori vantano in astratto sulla somma da ripartire pari diritti ditalché -come sperimentalmente dimostrato- è ritenuta “equa” la ripartizione al 50%, nel caso del patto di quota lite si dovrà tener conto del fatto che sulla somma da dividere, in sè e per sè, l’avvocato non vanta alcun diritto, ma il suo intervento è comunque determinante affinché il cliente la possa incassare.
Nella determinazione del compenso professionale bisognerà quindi contemperare la citata quota “equa” del 50% con le probabilità circa l’esito del giudizio e il valore professionale del legale.
Ad esempio:
– A) fatto 100 il valore da dividere astrattamente al 50% tra cliente ed avvocato
– B) stimate in 70% le probabilità di successo nella causa
– C) valutate in medio-alte (60%) le capacità professionali dell’avvocato
Ne consegue che, secondo tali parametri (eventualmente integrabili con ulteriori), nell’esempio di cui sopra la quota lite sarà pari a:
A x B x C, ossia: 50/100 x 70/100 x 60/100 = 21%
Tale percentuale è la quota lite “equa”, che varierà al variare delle probabilità di successo e delle capacità professionali dell’avvocato.
Una volta determinata in tal modo la percentuale spettante ai “giocatori”, questi potranno accettare o rifiutare l’offerta, ovvero temperarla con clausole di salvaguardia, quali “…e comunque un importo non inferiore a X, né maggiore di Y” per le ipotesi in cui l’importo da dividere all’esito della causa risulti troppo esiguo o, rispettivamente, molto elevato.
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