Ai fini dell’individuazione della nozione di “professione intellettuale”, i civilisti hanno proposto vari criteri qualificanti, relativamente ai quali si registra unanimità di opinioni.
Non vi sono dissensi, anzitutto, nel ritenere che, ai fini dell’esercizio della professione, non è strettamente essenziale lo scopo di lucro. Infatti, nonostante il carattere generale di onerosità della prestazione professionale, e nonostante esso sia connaturato ad ogni prestazione lavorativa, la quale non si presume mai gratuita, nella libera professione a volte le prestazioni vengono erogate gratuitamente per motivi sociali altamente apprezzabili (carità, beneficenza, assistenza sociale, amicizia, parentela). Si può quindi affermare che in via normale il rapporto è oneroso, ma non lo è sempre e necessariamente, anche perché in alcuni pochi casi il professionista ha l’obbligo di prestare la sua assistenza senza compenso (ad es., è il caso del gratuito patrocinio svolto dagli avvocati, o dell’attività svolta dagli spedizionieri doganali in favore dei lavoratori che rimpatriano)[2].
Altro aspetto della professione intellettuale su cui non si rilevano contrasti in dottrina, riguarda il carattere fiduciario del rapporto tra professionista e cliente. Quest’ultimo, infatti, affida al professionista qualcosa che non è soltanto inerente alla sua sfera privata, ma è addirittura proprio della sua stessa persona. Ciò è visibile al massimo grado nelle professioni del medico e dell’avvocato (alle quali tutte le altre, nel nostro ordinamento si ispirano): al medico, il cliente affida la vita e la salute, la propria integrità fisica; all’avvocato, affida il suo onore e la sua libertà (nelle cause penali), e il suo status giuridico e la sua situazione familiare (nelle cause civili) o infine, nelle ipotesi di minor rilievo, i suoi privati interessi patrimoniali[3] [4].
Altro aspetto pacifico in dottrina è relativo al fatto che sia indifferente che il professionista svolga la propria attività in modo subordinato o autonomo[5]. Infatti, la dottrina riconosce che il rapporto di lavoro subordinato svolto dal professionista rientra nell’ambito della professione intellettuale, la quale può pertanto assumere due forme: quella autonoma (che è la forma classica, originaria), e quelle subordinata (che è una forma atipica, successiva alla precedente), la quale va progressivamente crescendo specie nel settore pubblico. A favore di tale tesi, inoltre, si pone in modo decisivo il principio di una generale iscrizione all’albo anche dei professionisti dipendenti[6] [7].
I caratteri pacifici di cui si è detto, tuttavia, non consentono per loro natura generica di distinguere la professione intellettuale all’interno della più vasta categoria della “attività lavorativa in generale”, per cui particolare attenzione si deve riservare proprio ai caratteri dell’intellettualità e della professionalità.
Il legislatore, accennando semplicemente alle “professioni intellettuali” e alla “prestazione d’opera intellettuale” (artt. 2229 c.c. e ss.), non chiarisce il concetto di intellettualità, per cui la qualifica di certe attività come professioni intellettuali deve essere necessariamente il risultato di un’indagine di fatto[8]. È necessario, pertanto, specificare cosa intenda l’art. 2230 c.c. quando afferma che l’accordo tra il professionista ed il cliente concreta un contratto di prestazione d’opera nel quale prevale l’elemento intellettuale rispetto a quello materiale.
Anzitutto, per quanto riguarda la distinzione delle prestazioni di opera manuali da quelle intellettuali, è da rilevare che non è che un requisito siffatto non sia presente nelle prestazioni d’opera aventi carattere manuale; solo che nelle professioni intellettuali esso è presente in misura maggiore. Comunque, in ogni prestazione, elementi materiali ed intellettuali necessariamente coesistono e la qualificazione della stessa è data dalla mera prevalenza dell’una o dell’altra categoria di elementi[9]. Nell’ambito delle stesse professioni intellettuali essa è presente in misura più o meno intensa: se massima essa è, ad es., nella medicina e nella chimica, minore è nella professione dei periti industriali, dei ragionieri e dei periti agrari; ma in nessun caso si può dire che essa non abbia una sua consistenza.
Quanto al carattere della professionalità, è indubbio che esso sia qui presente e che qualifichi le attività lavorative organizzate dagli enti professionali con i caratteri della stabilità e della continuità[10].
Riassumendo, la professione intellettuale consiste nello svolgimento di un’attività lavorativa a carattere prevalentemente intellettuale, anche se non sempre con fine di lucro, realizzata in modo stabile ed abituale da determinati prestatori d’opera (c.d. professionisti), anche se subordinati ad un datore di lavoro.
Tali caratteri, seppur necessari a definire la professione intellettuale, non appaiono sufficienti a distinguerla nettamente dalle altre attività lavorative (che, per semplicità, abbiamo definito “mestieri”) per le quali l’ordinamento predispone una diversa regolamentazione.
A mio avviso, un criterio di qualificazione della libera professione che individui con certezza, ed alla stregua di dati obiettivi, la posizione del libero professionista potrebbe essere proprio quello che si basa sull’iscrizione del professionista nell’albo, con la conseguente sua inserzione nel gruppo professionale entificato[11] [12].
In sostanza, è necessario rifarsi a dati offerti dal diritto positivo, in quanto lo stesso codice civile dispone che “la legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi”. A dire il vero, dalla terminologia impiegata dal legislatore sembra trasparire che esista una categoria ulteriore di “professione intellettuale”[13], all’interno della quale deve estrarsene una specie per la quale sia dal legislatore prevista come necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi. Pertanto, qui è sufficiente evidenziare che, all’interno della generale categoria della “attività lavorativa”, esiste una sottocategoria denominata “professione intellettuale”, per la quale l’ordinamento prevede una specifica regolamentazione, caratterizzata dall’istituzione di un albo, o elenco professionale, e dalla creazione di un organismo collettivo (l’ente professionale) a cui vengono demandate particolari funzioni organizzatorie[14].
[1] Il legislatore, infatti, si occupa delle professioni intellettuali nel Capo II del titolo dedicato al lavoro autonomo, agli artt. 2229 ss. del c.c., senza tuttavia darne una definizione.
[2] Cfr. Lega, Le libere professioni intellettuali nelle leggi e nella giurisprudenza, Milano, 1974, p. 23 ss.. Secondo Maviglia (Professioni e preparazioni alle professioni, Milano, 1992, p. 31 ss.) ci può essere professionalità anche nella gratuità delle prestazioni, come, del resto, la retribuzione di prestazioni lavorative non comporta automaticamente la professionalità (come accade per i pubblicisti, che sono appunto giornalisti non professionisti). A conforto della dottrina si riporta la decisione Cass., sez. civ., 2185/1961, in cui si afferma che, ai fini dell’esercizio professionale, “non è indispensabile il fine di lucro, potendo l’esercizio di un’attività essere determinato anche da solo scopo scientifico od umanitario ed essere del tutto gratuito”.
[3] Cfr. Catelani, Gli ordini e i collegi professionali nel diritto pubblico, Milano, 1976, p. 2 ss.<
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[4] Il carattere fiduciario del rapporto in questione, emerge con chiarezza dalla disposizione dell’art. 2232 c.c. in cui si prevede che “il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto”. Sempre ai fini di valorizzare (quasi estremizzandolo) il carattere personale della prestazione professionale (ai fini di tutela del cliente), deve aggiungersi che è fatto obbligo dalla legge (art. 1 L. n. 1815 del 23 novembre 1939) di indicare esplicitamente i singoli nomi dei professionisti che offrono i propri servigi attraverso la struttura dello studio associato. Deve qui ricordarsi che l’art. 24, comma 1, dell’art. 24 della c.d. legge “Bersani”, n. 266 del 7 agosto 1997 (intitolata “Interventi urgenti per l’economia”) ha abrogato il divieto di istituire società professionali. Sul tema specifico delle associazioni professionali, studi associati e società professionali, cfr. Di Cerbo, Le professioni intellettuali nella giurisprudenza, Milano, 1988, p. 23-31; Latella, Le professioni intellettuali. I profili costituzionalistici, in AA. VV., “Le professioni intellettuali”, Torino, 1987, p. 60 ss.; Meloncelli, Le professioni intellettuali nella Costituzione italiana, in “Scritti per M. Nigro”, vol. I, Milano, 1991, p. 430 ss.; Roversi Monaco, Aspetti pubblicistici della organizzazione delle libere professioni, in F. Carinci e L. Persico (a cura di), “La disciplina delle forme associate tra liberi professionisti nell’ordinamento italiano”, Bologna, 1977, p. 177 ss.; Lega, Le libere professioni intellettuali, op. cit., p. 587 ss.
[5] Per quanto la professione sia tradizionalmente configurata come attività lavorativa autonoma (del resto, lo stesso cod. civ. si occupa di essa sotto il titolo dedicato a questo tipo di lavoro), è stato sempre pacificamente ammesso e, via via, va sempre più diffondendosi il suo svolgimento nel quadro di rapporti di lavoro subordinato. Cfr. Maviglia, op. cit., p. 40 ss.
[6] Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 3 ss.
[7] Considerazioni particolari devono, però, essere fatte per le professioni del giornalista e dell’attuario, che di consueto si svolgono stabilmente alle dipendenze di un terzo. Per tali professionisti, alla subordinazione si è giunti per ragioni particolari, essendo essa imposta da leggi dell’economia, le quali richiedono che il soggetto che esercita la relativa attività disponga di un’ampia organizzazione, organizzazione che ben difficilmente potrà essere posseduta dal professionista in quanto tale. In sostanza, si tratta di circostanze particolari e, in un certo senso, puramente accidentali, che rendono necessaria la subordinazione di attività che per loro natura dovrebbero essere svolte autonomamente. Cfr. Catelani, op. cit., p. 2 ss.
[8] Secondo Maviglia (op. cit., p. 44) “l’intellettualità individua anzitutto l’attinenza dell’attività posta in essere dall’esercente una professione all’intelletto, alla facoltà di concepire con la mente, alla capacità di rappresentazione del mondo oggettivo attraverso la ragione”.
[9] Ogni prestazione, anche se intellettuale, non può andare disgiunta da elementi materiali e non può pertanto essere tale, per così dire, allo stato puro. Cfr., sul punto, Catelani, op. cit., p. 2 ss.
[10] A tal proposito è rilevante la decisione Cass., sez. civ., 2185/1961, secondo cui “non può aversi esercizio professionale di un’attività, se questa sia soltanto saltuaria e priva del carattere di abitualità che è insito in ogni professione”.
[11] Cfr. Lega, Le libere professioni, op .cit., p. 23 ss. Secondo la Cass., sez. I, 3679/1981: “Perché l’esercizio di un’attività venga ricondotta alla categoria delle professioni intellettuali di cui all’art. 2229 c.c. non è sufficiente la sua qualificazione legislativa quale ‘professione’; elemento a tal fine rilevante è, invece, l’autonomia riconosciuta dalla legge al Consiglio dell’Ordine o Collegio professionale in materia di formazione degli albi e di disciplina degli iscritti”.
[12] Senza avere pretese esaustive, può essere utile fornire un elenco delle principali professioni intellettuali attualmente praticate nel nostro Paese, indicando per ognuna di esse la più importante fonte normativa: Agente di cambio: L. 402/1967; Assistente sanitario: D.Lg.C.P.S. 233/1946; Assistente sociale: L. 84/1993; Attuario: L. 194/1942; Avvocato: L. 36/1934; Biologo: L. 396/1967; Chimico: R.D. 842/1918; Consulente del lavoro: L. 12/1979; Consulente fiscale: DPR 645/1958; Consulente in proprietà industriale: L. 260/1978; Dottore agronomo e forestale: L. 3/1976; Dottore commercialista: R.D. 103/1924; Farmacista: D.Lg.C.P.S. 233/1946; Geologo: L. 112/1963; Geometra: R.D. 274/1929; Giornalista: L. 69/1963; Ingegnere e architetto: L. 1395/1923; Mediatore: L.253/1958; Mediatore marittimo: L.478/1968; Medico chirurgo: D.Lg.C.P.S. 233/1946; Notaio: L. 89/1913; Ostetrica e infermiere: D.Lg.C.P.S. 233/1946; Patrocinatore legale: L. 283/1901; Perito agrario: R.D. 2365/1929; Perito industriale: L. 275/1929; Perito tecnico: D.L. 9/1969; Psicologo: L. 56/1989; Ragioniere e perito commerciale: DPR 1068/1953; Revisore ufficiale dei conti: R.D.L. 1548/1936; Spedizioniere doganale: L. 1612/1960; Tecnico sanitario di radiologia medica: L. 1103/1965; Tecnologo alimentare: L. 59/1994; Veterinario: D.Lg.C.P.S. 233/1946.
[13] Una categoria, cioè, per la quale non sia invece obbligatoria alcuna iscrizione.
[14] Cfr. Di Cerbo, op. cit., p. 3 ss.
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