§ 1. La morte della parte nel processo di cognizione.
§ 2. La morte della parte nei procedimenti esecutivi.
§ 3. Le azioni esperibili.
§ 1. La morte della parte nel processo di cognizione.
§ 1.1. Premessa.
Secondo l’art. 110 c.p.c., “quando la parte viene meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto”[1].
In tal modo, il legislatore prende atto che il successore universale, così come subentra in tutti i diritti del soggetto estinto, subentra anche nella sua posizione processuale[2], salvi ovviamente i casi in cui la morte della parte provochi la cessazione della materia del contendere[3].
Il subingresso del successore non avviene però in modo automatico, ma secondo la disciplina contenuta negli artt. 299 e ss. c.p.c., relativi all’interruzione del processo per morte di una delle parti[4].
§ 1.2. La riassunzione del processo.
Nonostante l’art. 299 c.p.c. si riferisca ad una “citazione in riassunzione osservati i termini di cui all’art. 163 bis c.p.c.”, in realtà, a mente dell’art. 303 c.p.c. più che di citazione si tratta di ricorso (con cui si chiede al Giudice la fissazione dell’udienza), da notificare[5] – unitamente al pedissequo decreto – agli eredi[6].
In particolare, si è ritenuto che, per realizzare la tempestiva riassunzione del processo sia sufficiente che nel termine perentorio di sei mesi[7] sia presentata l’istanza per la fissazione dell’udienza, non essendo altresì necessario che entro quel termine siano notificati l’istanza stessa ed il decreto del giudice, “salva comunque per la parte che procede alla riassunzione, ove alcune delle controparti siano litisconsorzi necessari ed altre in situazione di litisconsorzio facoltativo, la facoltà di riassumere il processo nei confronti soltanto delle prime, con conseguente estinzione del giudizio nei rapporti con le seconde”[8]. Infatti, l’atto di riassunzione notificato in termini ad uno solo dei contraddittori di un giudizio plurilaterale esplica, nell’ipotesi di litisconsorzio facoltativo, la propria efficacia limitatamente ai soggetti della riassunzione e non impedisce l’estinzione nei confronti degli altri[9].
A tal proposito, si ricorda che la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio ha l’onere di indicare le persone che debbono partecipare al giudizio quali litisconsorzi necessari[10].
§ 1.3. La prosecuzione del processo.
La prosecuzione del processo interrotto deve avvenire (come la riassunzione) in un termine perentorio di 6 mesi, decorso il quale inutilmente, il processo si estingue ex art. 305 c.p.c. (salva riassunzione nei termini)[11].
Qui basti notare che l’atto di prosecuzione volontaria, ancorché compiuto da alcuni soltanto degli eredi, è sufficiente a ricostituire il rapporto processuale, salvo l’obbligo del giudice di ordinare l’integrazione del contraddittorio[12] nei riguardi degli eredi che non abbiano proseguito volontariamente il processo e nei cui confronti non sia avvenuta la riassunzione[13].
A tal proposito, si nota che è irrilevante la mancata interruzione del processo per l’assenza della comunicazione del decesso ex art. 300 c.p.c., ove uno o taluno degli eredi di detta parte si siano volontariamente costituiti in giudizio, “poiché in questa costituzione, preclusiva dell’effetto interruttivo, è insita la suindicata comunicazione, con la conseguente necessità dell’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi non costituitisi”[14].
Si ricorda inoltre che, secondo Cass. n. 1129/1976, “per i figli della parte defunta, la legittimazione alla prosecuzione del processo va riconosciuta sulla sola base della prova del rapporto di filiazione, comportando questa, di per sé, l’attribuzione della qualità di eredi necessari, e cioè di successori universali”, cosicché gli eredi succedono tutti nel processo alla parte defunta, anche se la domanda riguardi un bene nella proprietà del quale uno solo di essi sia succeduto per testamento, poiché ciascuno di essi subentra al de cuius nella universalità del patrimonio[15].
§ 2. La morte della parte nei procedimenti esecutivi.
È pacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza, che l’istituto dell’interruzione è inapplicabile nel processo esecutivo[16], poiché “in esso – quale che sia la fase in cui si trova – non si svolge un accertamento che richieda la costante attuazione di un formale contraddittorio, ma più semplicemente si attua un procedimento senza giudizio”[17].
Vale quindi la pena di ricordare che il titolo esecutivo contro il defunto ha efficacia contro gli eredi[18] e contro i successori a titolo particolare[19], per cui è possibile iniziare l’esecuzione forzata utilizzando il titolo contro il defunto senza che sia necessario l’accertamento giudiziario della qualità di erede[20], né l’individuazione[21].
§ 3. Le azioni esperibili.
Poiché la morte della parte potrebbe essere fonte di pregiudizio (anche solo potenziale) per il creditore del de cuius, può essere interessante valutare l’opportunità di ricorrere ad alcune cautele giudiziarie, cui di seguito accenneremo, ferma restando comunque la possibilità di agire in revocatoria[22], ove ne ricorrano i presupposti in concreto.
§ 3.1. Il sequestro conservativo.
Secondo l’art. 671 c.p.c., “il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito[23], può autorizzare il sequestro conservativo di beni immobili o mobili del debitore o delle somme e cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento”[24].
Circa l’ammissibilità in astratto di tale norma cautelate nel giudizio di cognizione non vi sono dubbi, mentre tuttora dibattuto resta il problema relativo all’ammissibilità del sequestro conservativo a favore del creditore già munito di titolo esecutivo[25]: l’opinione positiva trova fondamento nei diversi presupposti, diversa natura e diversa finalità dell’azione esecutiva e dell’azione cautelare, nonché nella sussistenza dell’interesse del creditore ad immobilizzare immediatamente i beni del debitore mediante la misura cautelare, atteso che per procedere al pignoramento è necessaria la previa notificazione del titolo esecutivo e del rispetto dei termini di cui agli artt. 480-1 c.p.c. [26].
§ 3.2. L’azione surrogatoria.
Poiché, ex art. 460 c.c., il chiamato all’eredità può esercitare azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, può compiere atti conservativi (art. 670 e ss. c.p.c.) di vigilanza e di amministrazione temporanea, e infine può farsi autorizzare alla vendita, nel caso che ci occupa non è azzardato ipotizzare l’esercizio di tali azioni in via surrogatoria, ex art. 2900 c.c., da parte del creditore del de cuius[27].
§ 3.3. L’actio interrogatoria.
L’eredità non si acquista se non con l’accettazione da parte del chiamato[28] entro il termine di prescrizione ordinaria (10 anni) di cui all’art. 480 c.c.
Può aversi tuttavia interesse a che il chiamato si decida a dichiarare se intenda o no accettare l’eredità entro uno spazio più limitato di tempo, “allo scopo di sapere contro chi è possibile rivolgersi per il pagamento”[29]. In tal caso, si può far ricorso alla speciale azione prevista dall’art. 481 c.c. (c.d. actio interrogatoria), con cui si chiede che l’autorità giudiziaria fissi un termine, trascorso il quale il chiamato perde il diritto di accettare (c.d. decadenza dal diritto all
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