Due decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in tema di libera manifestazione del pensiero mi sembrano interessanti.
Una premessa: affinché la limitazione statuale al diritto di manifestare il pensiero non contrasti con la Convenzione (art. 10) è necessario che la “ingerenza”, oltre ad essere prevista dalla legge e perseguire uno scopo legittimo (ad es., tutela dell’onore altrui), sia “necessaria in una società democratica“. […]
Con la prima decisone (ricorso n. 42211/07) l’Italia è stata condannata a risarcire con € 60000 il sig. Claudio Riolo, condannato in via definitiva dalla Cassazione per diffamazione, avendo scritto di alcuni presunti intrecci malavitosi tra politica siciliana e mafia. La motivazione della CEDU: la condanna per diffamazione di Riolo è ingiusta perché non “necessaria in una società democratica”, che deve anzi dare massima tutela per chi scrive del rapporto tra mafia e politica.
Con la seconda decisione (ricorso n. 36109/03), la CEDU ha ritenuto legittima la condanna per apologia di reato inflitta dalla magistratura francese ad un vignettista di un quotidiano che aveva disegnato l’attacco alle torri gemelle con una didascalia contenente affermazioni di plauso. La motivazione della Corte Europea: la condanna del vignettista per apologia di reato è giusta perché “necessaria in una società democratica”, che non può tollerare solidarietà morale nei confronti del predetto attentato.
Prescindendo dalla (ovvia) condivisibilità delle relative conclusioni cui è giunta la Corte, questi casi dimostrano che (anche) dinanzi alla CEDU la libertà di manifestare il pensiero è consentita entro dei limiti di valore e quindi di contenuto assai relativo (criterio soggettivo e spazio/temporale) insito ed imprescindibile nella stessa valutazione della ingerenza “necessaria in una società democratica”.
Anche dinanzi alla CEDU il tutto – mi pare – si risolve quindi in una ulteriore valutazione (non di legittimità ma) di merito, sicché non si vede perché le decisioni di quella Corte Europea debbano ritenersi senz’altro più giuste di quelle della Cassazione, che magari abbia condannato in via definitiva, dopo 3 gradi di giusto e civile processo, quel sig. Claudio Riolo per diffamazione.
Insomma, in un ordinamento giuridico ideale, la libertà di manifestare il pensiero non dovrebbe essere condizionata dal grado di condivisione che il giudice – in un dato momento storico e luogo geografico – abbia delle affermazioni da sindacare, perché in tal modo ogni idea rivoluzionaria (nell’accezione non solo negativa ma più ampia) rischierebbe di non potere essere legittimamente espressa, proprio perché difficilmente condivisibile dall’autorità chiamata a sindacarla.
Dirò di più: in un ordinamento giuridico ideale (che sia specchio di una società civile altrettanto ideale) i reati di opinione non avrebbero probabilmente motivo di esistere: a tutela e presidio della verità, dell’onore, ecc. di volta in volta (ingiustamente) lesi da affermazioni false o soltanto sbagliate non dovrebbe esservi una norma penale, essendo sufficiente la sanzione sociale frutto della stessa libera e virtuosa informazione, capace di sbugiardare da sè – proprio perché libera – eventuali dolosi o colposi avvelenatori di pozzi.
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