Il pessimo stato in cui in Italia versa la Giustizia (quella celebrata negli omonimi Palazzi) dipende dal notevole grado di evoluzione teorica del diritto.
La tesi, in apparenza paradossale, può spiegarsi con un esempio concreto.
E, siccome la funzione del diritto è quella di dare certezza, ossia risposte preventive al fine evitare che i cives litighino – in tribunale o con i fucili – nella convinzione di avere ciascuno ragione, l’esempio concreto di cui sopra è costituito da una semplice domanda.
Il proprietario di un fondo ha diritto di recintarlo?
La risposta, lapidaria, si trova nell’unico comma dell’art. 841 c.c.: “Il proprietario puo` chiudere in qualunque tempo il fondo”.
Si tratta di una norma che definirei “primordiale”, non solo nel suo contenuto (che sembra quasi riconoscere il diritto naturale alla proprietà privata) ma anche nella sua assolutezza (ivi non si prevede, infatti, alcuna eccezione esplicita).
Ma ecco che un Ordinamento leggermente più evoluto, e quindi più dettagliato nella disciplina delle astratte ipotesi che possano dar luogo a controversie, contempla l’ipotesi della caccia.
Così, “il proprietario del fondo recintato non puo` impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia” (art. 842 c.c.).
Facendo una rapida ricerca, la “legge sulla caccia” è la L. n. 968/1977.
Anzi, era. Visto che è stata abrogata dalla L. n. 157/1992. Il cui articolo 15, comma 8, prevede che i recinti idonei ad escludere l’accesso ai cacciatori sono solo quelli “di altezza non inferiore a metri 1,20“.
Ma un Ordinamento ancora più evoluto, e quindi più complesso, non può non disciplinare anche le ipotesi in cui il fondo che si intenderebbe recintare sia gravato, ad esempio, da una servitù.
Così, il recinto non può rendere più gravoso l’esercizio del diritto di servitù (art. 1067 c.c.), sicché – secondo la giurisprudenza – si deve quantomeno dare la chiave del cancello al proprietario del fondo dominante.
Ma un ordinamento ulteriormente più evoluto non può disinteressarsi dell’urbanistica, sicché la recinzione può essere soggetta – a seconda del Comune in cui si trovi il fondo – a concessione amministrativa (T.A.R. Lombardia Milano, 07 settembre 1987 , n. 303).
Un Ordinamento molto, molto evoluto come il nostro, inoltre, può anche prevedere una particolare attenzione per l’ambiente e l’estetica in generale, sì da individuare particolari modalità costruttive da adottare e disporre altresì l’uso di specifici materiali (T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 05 febbraio 2008 , n. 40).
Ovviamente, nella recinzione del fondo bisognerà inoltre tenere conto della eventuale presenza di strade nelle vicinanze, giacché l’art. 26 commi 2 quater e quinquies del Regolamento codice strada impone il rispetto di alcune distanze dei muri di cinta dalle strade urbane ed extraurbane.
Manco a dirlo, la recinzione non dovrà poi essere costruita provocando rumore intollerabile per i vicini, né utilizzando materiale pericoloso (amianto) o di illecita provenienza (ricettazione), né impiegando lavoratori in nero e/o extracomunitari irregolari e/o infraquattordicenni.
E’ parimenti consigliabile, infine, che i veicoli utilizzati per la costruzione del muro di cinta (meglio se in regola con l’assicurazione, il bollo e la revisione periodica) durante i lavori non siano parcheggiati in divieto di sosta, proprio di fronte il garage del vicino, che ha un fucile da cacciatore, è titolare del fondo dominante, ed ha una gran voglia di farvi causa, a prescindere.
Se volete ancora recintare il fondo, regolatevi.
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