PCT: il deposito telematico dell’atto giudiziario in formato pdf immagine anziché pdf testuale

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Con provvedimento di rigetto in data 09/06/2014, il Tribunale di Roma (est. Saracino) ha dichiarato l’inammissibilità di un ricorso per decreto ingiuntivo depositato telematicamente in formato pdf immagine (cioè scansionato dal cartaceo) anziché pdf testuale (cioè convertito in pdf direttamente dall’editor di testi).

L’iter logico-giuridico e quindi l’argomentazione addotta dal giudice capitolino può così sintetizzarsi:
1) gli atti del processo sono a forma libera, cioè possono essere redatti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo, solo ove la legge per essi non richieda forme determinate (art. 121 cpc);
2) l’atto giudiziario telematico deve essere redatto secondo le specifiche tecniche della DGSIA del Ministero Giustizia (art. 11 DM 44/2011), le quali stabiliscono che deve trattarsi di un pdf testuale (art. 12);
3) ove la legge richieda forme determinate (cfr. n. 1), come appunto nel caso del PCT (cfr. n. 2), allora il criterio del raggiungimento dello scopo non sana l’eventuale invalidità dell’atto compiuto senza il rispetto delle forme stesse;
4) tale invalidità (non sanata dal raggiungimento dello scopo: cfr. n. 3) si traduce in inammissibilità, mancando l’atto “dei requisiti genetici indispensabili” (ovvero: l’atto giudiziario in pdf immagine “non consente operazioni di selezione e copia di parti”), tanto è vero che “l’ultimo aggiornamento del sistema SICID per il contenzioso civile prevede opportuni accorgimenti tecnici in grado di sbarrare l’accesso al file “intruso” perché non corrispondente al formato richiesto per il tipo di atto”;
5) infine, “non avrebbe senso ipotizzarne la rinnovazione (art. 162 cpc) a fronte della riproponibilità senza limitazioni del ricorso per decreto ingiuntivo (art. 640 u.c., c.p.c.)”.

La pronuncia che qui si annota è certamente di grande interesse, avendo il pregio di esplicitare con diffusa motivazione una inammissibilità che invece altri tribunali si sono finora limitati a dichiarare apoditticamente. Ciò non vuol dire, ovviamente, che la -seppur motivata- decisione romana de qua possa perciostesso condividersi, anzi.

Appare infatti giuridicamente infondato -in quanto esplicitamente smentito dall’art. 156 cpc- l’assunto di cui al citato numero 3, secondo cui la violazione delle forme prescritte dalla legge comporterebbe una invalidità non sanabile dal raggiungimento dello scopo.
Nel caso del PCT, peraltro, la nullità per violazione della forma dell’atto non solo non è espressamente prevista dalla legge (art. 156, co. 1, cpc) ma, quand’anche lo fosse, sarebbe sanata eccome per il raggiungimento dello scopo (art. 156, co. 3, cpc).

Parimenti infondato è l’assunto di cui al citato numero 4, secondo cui in ogni caso l’atto in pdf immagine non raggiunge lo scopo, che -per candida ammissione dello stesso estensore- consisterebbe nelle operazioni di copia/incolla, possibili solo con il pdf testuale: tale affermazione è ancor più sorprendente se sol si pensa che i dati dell’ingiunzione da inserire nel decreto tramite Consolle magistrato sono automaticamente “pescati” dalla nota di iscrizione a ruolo e non dal ricorso (con conseguente inutilità di effettuare dei copia/incolla); ma, se anche così non fosse, e cioè se il giudice del monitorio volesse comunque divertirsi a copincollare il testo del ricorso, appare comunque quantomeno curioso che la violazione di un tale scopo comporti addirittura la sanzione processuale più grave che l’ordinamento prevede: l’inammissibilità della domanda. Inoltre, a nulla rileva -se non come dato controproducente per la stessa tesi qui avversata- che il sistema SICID rifiuti l’atto “intruso”: è, semplicemente, un rifiuto arbitrario anche questo ed anzi ancor di più, poiché aggravato dal fatto che il sistema tecnico del PCT non è legittimato da alcuna norma a sindacare il merito del deposito, fino al punto di poterlo addirittura rifiutare in una sorta di inammissibilità ante causam.

Per quanto riguarda infine l’asserita inoperatività della norma in tema di rinnovazione dell’atto nullo (art. 162 cpc) sol perché il ricorso monitorio è comunque riproponibile senza limitazioni (art. 640 cpc), è sufficiente rilevare che la mera possibilità di riproporre una domanda rigettata ovviamente non giustifica né legittima di per sè il rigetto stesso (il quale potrebbe riguardare anche la domanda riproposta, e così via all’infinito, finché il ricorrente rinunci per stanchezza alla domanda, pur potendo certamente riproporla, ovviamente corrispondendo ogni volta il dovuto contributo unificato). Diversamente ragionando, cioè ritenendo senza alcun valore il tempo ed il costo necessari a proporre una domanda giudiziale sol perché “riproponibile senza limitazioni”, si violerebbe il principio del giusto processo e della ragionevole durata dello stesso (art. 111 Cost.), principio che -incredibilmente- il giudice capitolino ritiene invece violato dall’atto in formato pdf immagine anziché testuale.

In definitiva, la decisione qui in commento non può condividersi, giacché:
a) la nullità per violazione del formato pdf (immagine anziché testuale) non è espressamente prevista da alcuna norma (art. 156 co. 1 cpc);
b) qualora la si volesse ricavare per implicito dall’ordinamento, la nullità stessa sarebbe comunque sanata per raggiungimento dello scopo (art. 156, co. 3, cpc), giacché la finalità processuale del ricorso monitorio non è certo quella di consentire al giudice di fare il copia/incolla del ricorso stesso;
c) in estremo subordine, cioè quand’anche vi fosse una nullità e questa non fosse sanata dal raggiungimento dello scopo, il giudice dovrebbe comunque disporre la rinnovazione dell’atto nullo (art. 162 cpc) e non certo ritenerlo inammissibile, giacché vi è un’ontologica differenza tra invalidità e inammissibilità dell’atto, la quale ultima peraltro -come acutamente rilevato da Reale– è stabilita dal nostro ordinamento processuale in maniera tassativa e nella specie non risulta ovviamente prevista da alcuna norma.

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