Sul dovere di autentica della PEC di notifica da parte del destinatario della stessa

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E’ noto -ed in proposito è quindi del tutto inutile argomentare o riportare bibliografia- che l’avvocato non abbia poteri certificatori generali: il suo potere di autentica, infatti, è limitato ai soli casi in cui gli venga espressamente attributo dalla Legge, e cioè:
1) per la firma del cliente nella procura alle liti;
2) per gli atti e i provvedimenti presenti nel fascicolo PCT;
3) per il pignoramento, il titolo ed il precetto da depositare nelle procedure esecutive;
4) per gli atti e i provvedimenti da notificare in proprio;
5) per le notifiche telematiche da usare poi in cartaceo (ad es., iscrizione a ruolo in uffici senza PCT, richiesta di pignoramento, trascrizione di domanda giudiziale, ecc.).

Con particolar riferimento all’ultimo punto, altrettanto pacificamente si è finora ritenuto che il potere di autentica delle notifiche telematiche (nella specie previsto dall’art. 9 L. n. 53/1994) riguardi esclusivamente le notifiche effettuate dall’avvocato e non pure quelle ricevute.

Non che tale riferita interpretazione, a dire il vero, si fondi su una espressa limitazione normativa in tal senso da parte dell’art. 9 cit., ma piuttosto su una implicita interpretazione sistematica della normativa in tema di notifiche in proprio, che sin dalla sua rubrica sembra infatti riferirsi al soggetto attivo delle notifiche stesse.

Da tale interpretazione -per così dire- restrittiva della riferita norma discendono alcune conseguenze, tra cui quella dell’impossibilità per l’avvocato destinatario della notifica PEC della sentenza di appello di poter autenticare la notifica stessa al fine di depositarla (in cartaceo) in Cassazione quale allegato del relativo ricorso, a pena di improcedibilità dello stesso ex art. 369 cpc (il problema non sussiste invece in appello, per un minor formalismo del relativo giudizio, qualora l’appellante ometta di produrre copia autentica della sentenza impugnata, ma anche qui rimane il problema di dover provare la tempestività dell’appello nel caso di termine breve, come appunto nel caso di notifica della sentenza al difensore).

La predetta interpretazione restrittiva, secondo cui l’avvocato destinatario della notifica PEC non potrebbe autenticare la notifica stessa per mancanza dei relativi poteri certificatori, deve tuttavia fare i conti con una recente serie di pronunce giurisprudenziali, tutte conformi nel sostenere l’improcedibilità del ricorso qualora l’avvocato destinatario della notifica PEC non provveda ad autenticarla(*).

Da tali decisioni non si può ovviamente prescindere.
Mi pare, tuttavia, che l’argomento dalle stesse addotto per sostenere tale tesi non sia troppo pertinente.
Sostenere, sic et simpliciter, che il potere d’autentica in capo al destinatario della notifica deriverebbe dall’obbligo di depositare copia autentica della notifica stessa, mi pare infatti un po’ azzardato, salvo ricorrere ad una interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto dell’art. 369 cpc (che prevede l’obbligo in parola) e dell’art. 9 L. n. 53/1994 (che prevede il potere di autentica relativamente alle notifiche in proprio).
Sostenere, inoltre, che il potere d’autentica in parola deriverebbe in qualche modo dalle norme in tema di PCT, mi sembra parimenti azzardato, visto che i file oggetto di autentica non sono estratti dal fascicolo telematico ma dalla casella di posta elettronica del destinatario, salvo ancora una volta ricorrere ad una interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto dell’art. 16 bis DL. n. 179/2012 (che prevede il potere di autentica del difensore in ambito PCT) e dell’art. 9 L. n. 53/1994 (che prevede il potere di autentica relativamente alle notifiche in proprio).

Insomma, alla luce dell’obbligo previsto dall’art. 369 cpc e della relativa sanzione (improcedibilità), è senz’altro auspicabile estendere i poteri di autentica al destinatario della notifica telematica anche mediante il ricorso alla panacea di ultima istanza, rappresentata dall’interpretazione costituzionalmente orientata. Ma tale rimedio dovrebbe riguardare il caso in cui la dichiarazione di autentica esistesse, cioè fosse effettuata dal destinatario della notifica pur in assenza di una espressa attribuzione dei poteri stessi da parte del diritto positivo. Ove, invece, come appunto nei casi sottoposti al giudizio della Cassazione, quella autentica mancasse, sarebbe forse  meglio sollevare questione di legittimità costituzionale, anziché pronunciare l’improcedibilità del ricorso per mancato esercizio di un potere doveroso (art. 369 cpc) ma plausibilmente inesistente (art. 9 L. n. 53/1994). Diversamente, si trasformerebbe il potere di autentica in un dovere, attribuendo per via pretoria la qualifica di pubblico ufficiale in una fattispecie non contemplata dalla norma e quindi eccezionale (senza possibilità di interpretazione analogica).

Aggiungo, infine, che il problema dell’improcedibilità si pone ora, ma continuerà a porsi anche quando il PCT arriverà in Cassazione, perché il deposito telematico della notifica PEC eliminerà il problema dell’improcedibilità per i soli depositi -appunto- telematici (per i quali non è infatti necessario autenticare i file delle PEC), ma il problema persisterà per i depositi cartacei, ancora teoricamente possibili (la prima costituzione della parte è effettuabile anche cartaceamente) ma di fatto impediti dal difetto del potere di autentica in parola, con conseguente disparità di trattamento che pertanto richiederebbe comunque, anche con il PCT in Cassazione, una diversa soluzione al problema, sperabilmente di fonte normativa e non giurisprudenziale.

Juri Rudi

(*)
Corte di Cassazione n. 24422/2017, Corte di Cassazione n. 24292/2017, Corte di Cassazione n. 23668/2017, Corte di Cassazione n. 17450/2017.