Sul potere di autentica dell’avvocato in proprio

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Con l’ordinanza n. 10941/2018, la Cassazione è tornata ad occuparsi delle autentiche in proprio dell’avvocato, ribadendo un principio ed affrontandone un secondo ancora piuttosto controverso.

A) Il principio ribadito è il seguente:
l’avvocato può (rectius, deve) autenticare anche quanto ricevuto in notifica.
Si tratta di un principio che va ormai consolidandosi in Cassazione e che colma in via interpretativa una lacuna normativa, ovvero:
1) il potere di autentica dell’avvocato non è generale (come invece, ad es., quello del notaio), ma sussiste nei soli casi in cui gli è espressamente attribuito;
2) l’art. 9 L. n. 53/1994 attribuisce all’avvocato il potere di autentica, che tuttavia deve riguardare anche le ricevuta pec di accettazione e quella di consegna (comma 1-ter, art. 9 cit);
3) le predette ricevute PEC sono in possesso del solo avvocato notificante e non pure di quello che abbia ricevuto la notifica, quindi il potere di autentica pare essere espressamente attribuito al primo e non pure al secondo.
In conclusione, l’interpretazione “estensiva” della Cassazione -certamente apprezzabile in astratto perché vòlta ad estendere il potere dell’avvocato- finisce per produrre effetti molto gravi, perché il principio è applicato al fine di produrre (non l’ammissibilità del ricorso nel caso di autentica fatta dall’avvocato che riceva la notifica, bensì) l’inammissibilità del ricorso ex art. 369 cpc nel caso in cui l’avvocato che abbia ricevuto la notifica non la abbia autenticata. Se le conseguenze sono queste, l’interpretazione estensiva non (mi) pare purtroppo molto condivisibile: nell’insanabile contrasto tra l’art. 369 cpc (che richiede l’autentica) e l’art. 9 L. n. 53/1994 (che non consente all’avvocato ricevente di produrla), la Corte anziché dichiarare l’inammissibilità del ricorso dovrebbe magari sollevare qlc.

B) Il secondo principio è il seguente (che riporto testualmente):
il citato art. 9 della legge n. 53 del 1994 non prescrive che l’attestazione di conformità debba essere sottoscritta dal medesimo difensore che assiste le parti nel grado di giudizio nel quale la copia analogica del documento digitale viene prodotta. Invero, il potere di certificare la conformità della stampa cartacea all’originale digitale va ravvisato in capo al difensore che è munito di procura alle liti al momento in cui l’attestazione viene redatta.“.
Il principio è di rilievo per le indicazioni -eventualmente, anche a contrario– che può fornire con riferimento al potere di autentica degli atti e provvedimenti presenti nel fascicolo informatico (e quindi a prescindere dall’eventuale notifica in proprio).
A tal proposito, infatti, l’art. 16-bis, co. 9 bis, DL n. 179/2012(*) attribuisce il potere di autentica (non all’avvocato, ma) al “difensore”.
La questione rileva, ad esempio, nel caso in cui la parte revochi l’incarico all’avvocato (rectius, “difensore”) che lo abbia assistito in primo grado, e per l’appello incarichi un nuovo avvocato: a poter/dover autenticare la sentenza da appellare, è l’avvocato che in quel grado non era (ancora) difensore, o l’avvocato che non lo è più?

(*) Scusate la pignoleria, ma vi pare normale che la norma cardine del processo civile telematico sia contenuta in: a) un “comma-bis” b) di un “articolo-bis” c) di un decreto legge?